INFANZIA IN CALABRIA: CRITICITÀ E DISAGI
PER DISUGUAGLIANZE SOCIO-ECONOMICHE

di PINO NANO – Bambini poveri di tutto, anche di salute. Le bambine, i bambini colpiti dalle disuguaglianze socioeconomiche, educative e territoriali, ne subiscono l’impatto anche sulla salute e sul benessere psico-fisico, e la Calabria in questo confronto con le altre regioni italiane rimane purtroppo fanalino di coda.

Sapevamo già di essere un popolo povero, conoscevamo già da tempo la realtà delle nostre risorse economiche, che non è quella opulenta delle regioni del Nord per esempio, ma dai dati ufficiali dell’Atlante dell’infanzia a rischio in Italia, presentato da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro- da questi dati viene fuori che anche in tema di politica dell’infanzia i calabresi sono ancora lontani dagli standard europei. 

Insomma, siamo ancora ultimi.

Antonio Marziale, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria non usa mezzi termini nel commentare questi dati: «Reputo inquietante l’allarme lanciato da Save the Children. Su tutti i fronti, dalle aspettative di vita in buona salute ai servizi di assistenza più elementari, il divario tra i nostri bambini e quelli del nord è pazzesco, al limite dell’incredibile». 

Marziale è un fiume in piena: «I dati del report segnano per il Sud, ma ancora più marcatamente per la Calabria, una situazione drammatica, oggettivamente riscontrabile su ogni fronte e che obbliga le istituzioni politiche ad ogni livello a rispondere, perché il rischio è quello di una popolazione sempre più anziana e incapace di progettare il futuro. Di questo passo – aggiunge il sociologo – c’è il rischio di una desertificazione del territorio che non è fantascientifica, perché chiunque abbia figli piccoli non può tendere che ad una dolorosa via di fuga da una prospettiva così disastrosa».

L’Atlante di Save the Children prova ad esplorare la salute dei bambini dal momento della nascita fino all’età adulta. Dati, mappe e interviste fotografano l’intreccio tra disuguaglianze e salute che la pandemia ha amplificato, e i tanti, troppi volti diversi di un servizio sanitario che spesso è “nazionale” solo sulla carta, per le gravi disuguaglianze territoriali e la distanza che intercorre tra le sue punte di eccellenza e i suoi baratri.

“Come stai?”, è la domanda che molti ragazzi e ragazze avrebbero voluto sentirsi rivolgere durante la pandemia e che ancora oggi non viene loro rivolta dagli adulti. 

«Abbiamo voluto dedicare l’Atlante del 2022 alla salute – spiega Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children Italia – perché è necessario assicurare a tutti i bambini e gli adolescenti una rete di servizi di prevenzione e cura all’altezza delle necessità, superando le gravi disuguaglianze territoriali che oggi incidono sul sistema. 

«Nel panorama mondiale, il nostro servizio sanitario nazionale si posiziona come una eccellenza per la cura dei bambini, ma questo non deve spingerci ad ignorare i divari e le criticità che la pandemia ha contribuito ad accentuare».

Sembra quasi incredibile, ma in Italia quasi un milione e quattrocentomila bambini vivono in povertà assoluta – il 14,2% di tutti i minori – e i divari economici pesano direttamente sull’aspettativa di vita.

Guardiamo insieme questo dato, che è a dir poco vergognoso: un bambino che nasce a Caltanissetta ha 3,7 anni in meno di aspettativa di vita rispetto a chi è nato a Firenze e per i bambini del 2021 la speranza di vita in buona salute segna un divario di oltre 12 anni tra la Calabria con 54,4 anni e la provincia di Bolzano con 67,2 anni. E tra le bambine la forbice è ancora più ampia, 15 anni in meno in Calabria rispetto al Trentino.

Ma c’è di più in questi dati. L’81,9% dei bambini vive in zone inquinate dalle polveri sottili. Il 35,2% dei bambini e il 33,7 % delle bambine nella fascia 3-10 è in sovrappeso o obeso. Un bambino su 4 non pratica sport. 

Al tempo stesso la povertà alimentare colpisce un bambino su 20 ma la mensa scolastica non è ancora un servizio essenziale gratuito per tutti i bambini dai 3 e i 10 anni. 

Per Save The Children la rete sanitaria territoriale è insufficiente, mancano 1.400 pediatri ed è crollato il numero dei consultori familiari. Gli effetti peggiorativi della pandemia sono evidenti anche nel crescente disagio mentale di preadolescenti e adolescenti. In 9 regioni italiane i ricoveri per patologia neuropsichiatrica infantile sono cresciuti del 39,5% tra il 2019 e il 2021. E noi, come calabresi, siamo interessati a questo problema più di altre regioni italiane.

«Dinanzi all’allarme lanciato da ‘Save the Children’ e alla sottolineatura del divario Nord-Sud circa le opportunità socioeconomiche ed educative – riconosce il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso – le aspettative di vita in buona salute e i servizi di assistenza più elementari per i bambini e gli adolescenti, occorre che le Istituzioni reagiscano all’unisono, per fermare un fenomeno che rende vulnerabili i minori».

Pensate che prima della pandemia, secondo gli ultimi resi noti dati di Save the Children, il tasso di mortalità infantile entro il primo anno di vita era di 1,45 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era più che doppio in Sicilia (3,34), e addirittura triplo in Calabria (4,42), con ben il 38% dei casi di decesso relativi a bambini con mamme di origine straniera. 

Quasi scandaloso, per una società civile e moderna come la nostra. 

Ma è ancora più vergognoso il dato successivo, che ci spiega per esempio come un bambino del Mezzogiorno che si ammalava nel 2019 aveva una probabilità di dover migrare in altre regioni per curarsi del 70% in più rispetto a un bambino del Centro o del Nord Italia. 

Pensate a quanti bambini calabresi, e soprattutto a quante famiglie calabresi ogni giorno lottano con i centralini e i CUP dei grandi ospedali pediatrici italiani, penso al Bambin Gesù, per esempio, che è un faro della assistenza pediatrica italiana, o allo stesso Gaslini di Genova, per prenotare una visita specialistica utile alle loro angosce. Pensate alle attese disperate e drammatiche di queste nostre mamme e di questi nostri padri.

«Assumendo l’incarico di Garante dei minori calabresi per il mio secondo mandato – ci spiega il sociologo Antonio Marziale – ero ben cosciente dei problemi con i quali avrei dovuto fare i conti dopo due anni e mezzo di vacatio di questa figura istituzionale, perché in Calabria la legge istitutiva del Garante dell’Infanzia non prevede alcuna proroga fino all’ingresso di un nuovo Garante, ma sinceramente la situazione è ancor più preoccupante di quanto avessi immaginato. In Calabria viene registrata una povertà globale sempre più acuta, e decenni di politiche che ci fanno ereditare macerie e inadempienze. Una su tutte – denuncia Marziale – la mancanza di un reparto pubblico di neuropsichiatria infantile nella regione a più elevato indice di disagio psicosociale. Fido oggi moltissimo nella volontà del governo e del consiglio regionale di rispondere concretamente, sia pur tra molteplici difficoltà, a questo stato di cose, perché la posta in gioco è altissima e quando riguarda i bambini non può prescindere dall’apporto costruttivo di tutti indistintamente, maggioranza ed opposizione per dirla in gergo politico». 

Il messaggio è chiaro, e vorrei che questo concetto non apparisse come formale o peggio ancora come retorico, quindi superficiale e inutile, ma o si affronta il problema in maniera diretta e concreta, e soprattutto subito, o per i bambini calabresi il futuro sarà ancora più triste e più tragico di quanto ci abbia raccontato il gotha di Save the Children. 

Qui non è più gioco la credibilità di una classe politica, o di una classe dirigente, ma qui è in gioco la salute dei nostri bambini, e non tutti possono permettersi di portare il proprio bambino fuori regione per una visita che si potrebbe tranquillamente fare anche a casa propria. 

Il Presidente della Regione Roberto Occhiuto ha appena avuto un bimbo, e credo che nessuno meglio di lui oggi possa capire meglio di cosa parliamo, e nessuno meglio di lui possa raccogliere meglio l’appello forte che ci viene da  Save the Children.

Non lasciamo soli i nostri bambini. 

 

COM’È INGIUSTO IL PAESE CON LA CALABRIA
E CRESCONO DISUGUAGLIANZA E DIVARIO

di SANTO STRATI – Il nuovo libro di Pino Aprile, il più strenuo difensore del Meridione e della sua gente, è un pugno allo stomaco e offre lo spunto per notare quanta disuguaglianza c’è ancora tra i due poli del Paese: il Nord cresce e corre, il Sud arretra e, inesorabilmente, ferma i sogni di migliaia di giovani, donne, laureati. Il divario è anche e soprattutto qui: nella palese sperequazione che si perpetra ogni giorno in qualunque campo, nonostante gli allarmi – appassionati – della Svimez, la eccellente associazione creata ai primi di dicembre del 1946 da un gruppo di personalità del mondo industriale ed economico. L’ultimo Rapporto Svimez – presentato qualche giorno fa e di cui parleremo nei prossimi giorni – lo dice chiaramente: il Nord riparte, il Sud fa fatica non solo a riprendersi dalla pandemia ma anche a programmare il suo futuro, nonostante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Il ragionamento che suggerisce Aprile (Tu non sai quanto è ingiusto questo Paese, edizioni Pienogiorno), in realtà, non è che la diretta conseguenza delle tante pagine che il giornalista-saggista – oggi alla Direzione della tv calabrese LaC24 – ha dedicato al “furto” continuo e costante. Uno scippo urlato molto frequentemente con grande coraggio e onestà intellettuale anche da Roberto Napoletano sulla prima pagina del Quotidiano del Sud-L’altravoce dell’Italia: un esproprio legale e legalizzato dalla ricche regioni del Nord ai danni del Mezzogiorno.

Quando il gruppo di illuminati economisti e industriali, tra cui figuravano Pasquale Saraceno, Rodolfo Morandi, Donato Menichella e altri, nell’immediato dopoguerra diede vita all’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez), non immaginava di anticipare di molti decenni l’idea che senza il Sud l’Italia avrebbe sempre marciato col freno a mano alzato. Erano industriali anche del Nord che si erano resi conto che occorreva immaginare progetti e sviluppare programmi di crescita reale per l’area più depressa del Paese, con l’obiettivo (pura illusione!) di realizzare l’unificazione anche economica dell’Italia.

Il problema è di crescita della ricchezza – per pochi – e la perdita di valore – per moltissimi. E il Covid si è rivelato un ottimo affare per i “ricchi” che sono diventati più ricchi, ma una disgrazia anche economica per i poveri che si sono ritrovati più poveri di prima. Ecco la disuguaglianza che emerge amaramente dalle pagine del libro di Pino Aprile: «la tutela sociale – scrive citando il prof. Viesti – è stata ed è in Italia più forte dove il benessere è maggiore». L’Italia era già molto disuguale da prima e il rapporto Oxfam 2020 rivela che i tre italiani più ricchi hanno quanto i sei milioni più poveri messi insieme. Il 20 per cento più ricco possiede il 70 per cento dei quasi 9300 miliardi del patrimonio nazionale; il successivo 20 per cento ha circa il 17 per cento di quei 9300 milairdi e al restante 60 per cento degli italiani rimane il 13 per cento della ricchezza. Aprile fa un esempio concreto: se fossimo una famiglia numerosa di dieci fratelli e avessimo 1000 euro, a due fratelli andrebbero 700 euro (350 a testa) ad altri due 85 a testa e ai rimanenti sei fratelli 21,60 euro a testa. Banalmente viene da pensare che forse è persino ottimistica come considerazione. Già, perché, soprattutto in Calabria, il divario, la sperequazione intollerabile, ha raggiunto livelli che dovrebbero far vergognare l’intera classe politica. E non solo quella del Mezzogiorno. Anzi è l’intera classe politica del Paese che dovrebbe fare un serio esame di coscienza sulle mancate promesse che, ad ogni elezione, vengono riproposte, salvo a rimangiarsi tutto, con la colpevole indifferenza dei parlamentari eletti al Sud.

Avevano provato con l’autonomia differenziata Emilia, Piemonte e Veneto a legittimare lo scippo con il pretesto della “spesa storica” (altra truffa ai danni delle regioni povere) secondo cui chi spende di più prende di più, chi è in difficoltà può restare a guardare. Il colpaccio dell’autonomia differenziata non è passato, anche a causa della pandemia, che ha accentuato, per altri versi, la dicotomia costante tra nord e sud, ma il divario non si è ridotto, anzi cresce, cresce continuamente e i numeri sono sconsolanti. Prendiamo i nostri giovani: «pur essendo la generazione più colta di sempre – fa notare Aprile – sono anche la prima, dall’Unità a oggi, a stare peggio dei loro genitori». È un problema di opportunità e di visione strategica.

Abbiamo quasi una generazione di inoccupati, ovvero di ragazzi che non hanno la più pallida idea di cosa sia il lavoro: con una scolarizzazione decisamente alta (abbiamo tre atenei che sfiorano l’eccellenza) la Calabria è la più grande esportatrice di cervelli. Prepara, forma i suoi ragazzi, ne fa laureati di altissimo valore, poi non offre loro alcuna occasione per esercitare una professione o un’attività di ricerca o di specializzazione. Li costringe a prendere il trolley verso le regioni intelligenti che non vedono l’ora di “utilizzare” le loro competenze, verso Paesi che fanno del merito una questione essenziale per la crescita e lo sviluppo e selezionano, per valorizzare, le capacità e le competenze che non hanno avuto costi di formazione. Dodici milioni di giovani – dice Aprile – corrono l’alto rischio di diventare i nuovi poveri, già oggi, persino se lavorano, perché è il crescita il fenomeno mondiale dei poor workers, quelli che, pur avendo un’occupazione e un reddito, non riescono a uscire dallo stato di bisogno.

Ci ha abituati all’indignazione Pino Aprile con i suoi libri, ma stavolta si supera ogni ragionevole rassegnazione: il quadro che, in modo ineccepibile, riesce a tracciare sulla disuguaglianza è terribile e amarissimo. I nostri ragazzi che vanno in Emilia, in Lombardia, in Piemonte “sopravvivono” grazie alle rimesse di genitori e nonni, mentre la Regione Calabria che spende e spande in cavolate varie non è riuscita dalla sua costituzione (era il 1970, non dimentichiamolo) a creare un percorso di sviluppo per i giovani, che metta in primo piano il problema lavoro. L’occupazione significa benessere non solo economico, ma possibilità di immaginare e costruire un futuro: ai nostri ragazzi abbiamo – tutti quanti – rubato il futuro e non ci sono scusanti. Quanti giovani calabresi vorrebbero restare nella propria terra, in famiglia, tra amici, nella sicurezza della casa dei genitori o dei nonni e devono, invece, guardare ai mercati che offrono loro opportunità di crescita. Il South Smartworking (ovvero, il lavoro da casa, fatto al Sud, nella casa di famiglia) è stato una boccata di ossigeno per molti giovani occupati che, causa pandemia, hanno lasciato momentaneamente le sedi di lavoro (chiuse) di Milano, Torino, Trieste, etc. E non vogliono, giustamente, ritornare al Nord perché hanno toccato con mano una qualità della vita che è ben differente da antipatiche routine quotidiane consumate nel ristretto di camere ammobiliate e sistemazioni di fortuna. È a loro che bisogna pensare, bisogna permettere alle nuove generazioni di disegnare il proprio futuro, immaginare una famiglia, poter crescere dei figli. Ma nel nostro Paese – grida giustamente Aprile – quello che manca è l’equilibrio: e chi più ha più trae per sé sottraendo a chi meno può.

In quest’ottica un buon utilizzo delle risorse che arrivano dall’Europa, il PNRR, potrebbe essere fondamentale per modificare almeno lo status sociale che ci sbatte in faccia l’ignobile differenza tra nord e sud: ai bambini in difficoltà, in Calabria – fa notare Aprile per chi l’avesse dimenticato – si spende undici volte meno che per quelli dell’Emilia Romagna. È desolante per non dire agghiacciante: la carenza di servizi riduce ulteriormente il potere di acquisto di chi vive al Sud. Dove – è bene rimarcarlo – non servono sussidi ma opportunità di lavoro, stabile e con un compenso dignitoso e adeguato. Ne sanno qualcosa le migliaia di precari utilizzati nella catena del commercio, sfruttati in virtù del bisogno, sottopagati e trattati come simil-schiavi che devono dire sempre di sì. È un quadro che emerge nitidamente dalle pagine di Aprile e che muove, inesorabilmente, una semplice domanda: ma quant’è ingiusto il Paese nei confronti dei calabresi? Se lo ricordino, questi ultimi, quando andranno alle urne per non premiare, nuovamente, i dispensatori professionali di speranze, soprattutto quelli ai quali della Calabria non interessa proprio niente. (s)


Stasera alle 21.30 a Reggio al Circolo del Tennis per i Caffè Letterari del Circolo Rhegium Julii Pino Aprile sarà intervistato dal direttore di Calabria.Live Santo Strati. Partecipano Enzo Filardo e Mario Musolino.