SOLDI VERI E SUBITO A BAR E RISTORANTI
IN CALABRIA A RISCHIO 25.000 OPERATORI

Da ieri il parziale lockdown che colpisce bar e ristoranti imponendo la chiusura alle 18 sta sollevando non solo le rimostranze di chi era abituato all’aperitivo serale e alla cena fuori casa (ma si può tutto sommato rinunciare senza grandi problemi) ma quelle più serie e motivate di tutto il comparto: solo in Calabria, per intenderci, rischiano all’incirca 25mila addetti. Secondo una stima realizzata da Opencalabria.com le imprese attive nella regione sono poco meno di 11 mila (il 3,2% del dato nazionale) di cui il 71% è costituito sotto forma ditta individuale (contro il dato medio nazionale del 50,2%), mentre le società di capitale rappresentano il 13% del totale regionale e le società di persona il 16%. Da osservare è che quasi il 20% delle imprese calabresi è gestito da giovani (under 35). Si tratta di un valore 5 punti percentuale superiore alla media nazionale (14,4%). I bar calabresi interessati al nuovo provvedimento del governo Conte sono 4550 (il 3,3% del totale nazionale), mentre i ristoranti sono 6200.

Secondo le stime Istat, gli occupati (valori medi annui) nel settore calabrese dei servizi di ristorazione sono pari nel 2018 a 25066, di cui 14561 nei ristoranti, 1713 nel settore del catering e poco meno di 8800 nei bar. Una massa di imprenditori, lavoratori e addetti che, improvvisamente, vedono addensarsi fosche nubi sul immediato futuro. La chiusura alle 18 significa per la stragrande maggioranza dei casi dire addio a qualsiasi redditività in grado di sostenere almeno i costi fissi. Invece le aperture “condizionate” rischiano di provocare ingenti perdite e molto probabilmente spingere alla cessazione dell’attività.

Sono stati, ancora una volta, promessi aiuti a compensazione delle perdite, ma questa volta nessuno si fida delle promesse governative. Nel momento stesso in cui si decideva la drastica chiusura degli esercizi andava contestualmente individuata la formula per un immediato ristoro dei danni. La prima fase del lockdown non ha insegnato nulla (ancora ci sono più di diecimila lavoratori in attesa dei quattrini della cassa integrazione) e c’è da aspettarsi una nuova “elemosina” che non basterà nemmeno a ripagare i costi sostenuti per l’adeguamento delle strutture secondo le indicazioni anti-covid. I locali si sono attrezzati secondo quanto richiesto dalle disposizioni di legge contro il Covid, ma evidentemente gli sforzi non sono serviti a nulla, il rispetto delle regole di distanziamento e di afflusso non bastano a limitare il rischio di contagio. E allora giù le serrande per tutti, indistintamente, alle 18, e per ricoprire le perdite… poi si vedrà.

La verità è che il provvedimento risponde alla logica dell’improvvisazione che ha caratterizzato fin dal primo momento gli interventi di natura economica annunciati per limitare i danni alle imprese e ai lavoratori. Questa volta sono stati promessi aiuti entro la metà di novembre, ma ci arriveranno a tale data i titolari di bar e ristoranti mantenendo gli attuali livelli occupazionali? C’è da crederci poco. Il rischio, dunque, non è solo la probabile cessazione delle attività con licenziamenti a catena, ma anche la forte riduzione della forza lavoro perché non utilizzabile. Dai lavapiatti agli chef, dai camerieri di sala, agli addetti alle pulizie, dai grossisti di materie prime (carne, pesce, frutta, verdure, etc) agli addetti ai fornelli, ai banconisti, ai pasticceri e via discorrendo. Una voragine per un comparto che aveva accettato senza fiatare, in nome della salute pubblica, le limitazioni e le chiusure imposte dal primo lockdown di marzo e aprile, e che oggi si trova, giustamente a domandarsi se tali provvedimenti servano effettivamente a scongiurare l’estendersi del contagio.

Anche perché i dati, com’è facile vedere, variano da zona a zona, quindi viene equiparato il bar di Lamezia Terme a quello della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, la trattoria di Catanzaro Lido al ristorante di Posillipo, a Napoli, la pizzeria di Melito Porto Salvo all’Hostaria di piazza Navona a Roma. I valori di contagio e i numeri delle prognosi di positività al covid sono evidentemente ben diversi, ma il Governo non ne ha tenuto conto. In modo indifferenziato non ha minimamente valutato le differenti situazioni, mettendo tutte le attività con lo stesso indice di rischio.

Naturalmente ristoratori ed esercenti di bar e pasticcerie/gelaterie stanno cercando di mobilitarsi per far modificare il Dpcm. A Lamezia, per esempio, i bar hanno deciso – come riferisce il Quotidiano del Sud – di restare aperti per protesta senza ovviamente servire i clienti. A Cosenza, il sindaco Mario Occhiuto ha espresso la propria solidarietà a tutto il comparto: «Sono vicino – ha dichiarato – ai ristoratori e agli imprenditori danneggiati dall’ultimo Dpcm. Sono quelli che hanno più investito per adeguare gli spazi e adesso vengono chiusi. Che senso ha una chiusura alle 18? Il virus esiste ed è pericoloso soprattutto perché mette in crisi il nostro sistema sanitario, ma come si può pensare di farne pagare le conseguenze solo a determinate categorie economiche e sociali?Perché non si è investito in questi mesi nella sanità e nella prevenzione? Per la creazione di nuovi posti letto? Per l’assunzione di personale medico e paramedico negli ospedali? Per l’individuazione e il tracciamento dei contagi? Per la protezione delle categorie fragili? Per la cura precoce della malattia? Per la didattica a distanza nelle scuole? Sono vicino a queste persone che lavorano ogni giorno della loro vita e che sono sempre i più esposti. Gente onesta che vuole lavorare, non vuole sussidi».

Secondo il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo «Il settore della ristorazione e dei bar, da sempre tassello centrale della nostra economia su ogni territorio, è stato costretto ad affrontare in questi mesi notevoli criticità, rispondendo con grande senso di responsabilità e di collaborazione a tutti gli adempimenti richiesti per assicurare la sicurezza sui luoghi di lavoro e la tutela della salute dei clienti. Lo stesso è toccato ai gestori delle palestre o a chi lavora nel mondo dello spettacolo. Dopo i tanti sacrifici economici – ha aggiunto – sostenuti proprio per rispettare tutti i protocolli, oggi si fatica a comprendere la ragione dell’ultimo, pesante divieto sancito da Conte. Sarebbe stato più opportuno immettere risorse per potenziare i servizi di controllo e di sorveglianza sul territorio, facendo rispettare le regole all’interno e all’esterno dei locali di ristorazione e nei bar, nelle palestre, nei cinema e nei teatri, piuttosto che tagliare alla radice la possibilità di lavorare e creare un indotto oggi più che mai indispensabile».

A Reggio il sindaco Giuseppe Falcomatà ha messo in evidenza la necessità di una posizione di sostegno e comprensione verso tutto il comparto dei pubblici esercizi: «Se chiudi un ristorante o una pizzeria alle 18 – ha detto  il sindaco di Reggio – stai mortificando l’attività in grandi percentuali. Venerdì, sabato e domenica siamo riusciti ad evitare una chiusura grazie ai controlli che sono aumentati e grazie al grande senso di responsabilità e rispetto delle regole che c’è stato all’esterno dei locali. Ho chiesto immediato ristoro per la perdita di fatturato, e per questo ci stiamo muovendo come ANCI. È difficile sopportare nuove misure rispettive senza una risposta immediata del Governo».

Klaus Davi, a questo proposito, non usa l’artiglieria leggera: «Anche se momentaneamente collocati fuori dal Palazzo, questa volta non consentiremo che il sindaco Falcomatà con improbabili video effetti scarichi su cittadini inefficienze, mancanza di programmazione, e anche semplici pregiudizi del comune verso commercianti artigiani e professionisti,  come invece avvenuto in primavera. Questa volta Falcomata dovrà rispondere di tutte le cose che non ha fatto in questi mesi  e su questo punto saremo presenti e incisivi. I  puerili  giochini social sono finiti e cogliamo l’occasione per chiedere cosa abbia intenzione di fare la Giunta per sostenere tutti i soggetti commerciali della città di Reggio e di tutta la cintura metropolitana  che sono già allo stremo e sull’orlo della chiusura , indeboliti dalle crisi economiche e quella dovuta al Covid. Falcomatà in campagna elettorale si è  rivenduto agli elettori la sua ‘amicizia’ con il ministro del  Tesoro. Bene di questo siamo felici  ma invece di ‘stalkerare’ i cittadini  con dirette che fanno perdere tempo a lui,  ma soprattutto a chi si aspetta risposte dall’amministrazione, prenda  subito  il primo treno per Roma e negozi con il ministro Gualtieri – che è persona preparata e ragionevole – condizioni vantaggiose per evitare che Reggio cada nel baratro. Altrimenti i reggini delle sue ‘amicizie’ non sapranno che farsene. Di tutti i soldi i promessi alzi la mano chi ha visto una sola lira, al momento».

Sempre a Reggio imprenditori e commercianti hanno promosso per venerdì a piazza Duomo una manifestazione per esprimere il disagio e l’impossibilità di continuare l’attività. A promuovere l’iniziativa il presidente della Confesercenti Claudio Aloisio, il presidente nazionale dei pasticceri artigiani (e di quelli reggini) Angelo Musolino e il presidente dell’associazione ImprendiSud Carmelo Crucitti. «Il commercio e i pubblici esercizi – hanno detto  gli organizzatori della manifestazione che sarà – se autorizzata dalla Questura –  nel rispetto di tutte le norme di distanziamento e di prevenzione anticovid – non vogliono essere il capro espiatorio di una situazione diventata incontrollabile non per colpa nostra. Non crediamo che i pubblici esercizi siano il problema di questi nuovi contagi ma che il picco sia dovuto ad una serie di concause e, soprattutto, all’apertura delle scuole e degli uffici che ha portato ad una serie di  problematiche. Non è da sottovalutare l’utilizzo dei trasporti pubblici che, non implementati come si doveva fare, in alcune fasce orarie sono stati presi d’assalto da studenti e persone che, giustamente, hanno ripreso a lavorare in presenza e non più in smartworking. Le entrate e le uscite delle scuole non controllate hanno provocato inevitabilmente assembramenti da parte dei ragazzi e questo ha portato all’aumento di positivi. Ma a pagare adesso, sono i pubblici esercenti e il commercio in genere».

Giuseppe Nucera, Presidente del Movimento La Calabria che vogliamo, si unisce con forza ai detrattori dell’ultimo Dpcm emanato dal Governo: «L’isterismo collettivo sta distruggendo l’economia della Nazione. Siamo governati da chi non ha mai lavorato, i nostri politici hanno diffuso nel paese la cultura dell’assistenzialismo e del sussidio che facilitano il piacere di rimanere comodi sul divano. Sono decine le attività bloccate che creano Pil, dando lavoro ad un’ampia fetta di italiani, che ancora aspettano gli aiuti economici promessi dal Governo a marzo.

Non ci sono ragioni sensate – sottolinea Nucera – per estendere alla Calabria le forti misure restrittive valide per le regioni più colpite del Covid-19. In diverse occasioni il Governo aveva rassicurato che con la nuova ondata di contagi sarebbe intervenuto con restrizioni locali, destinate ai territori in difficoltà. Parole che hanno avuto un seguito nei fatti, così la Calabria nonostante una situazione gestibile e non allarmante si ritrova nuovamente blindata. La scelta pare fortemente illogica anche alla luce di tutte le aziende e attività che si erano premunite, con una spesa importante, a mettere in sicurezza i luoghi di lavoro, le imprese, i centri sportivi, i bar e i ristoranti. Al danno si aggiunge così la beffa, di questo passo la Calabria è destinata inevitabilmente a naufragare».

Da Catanzaro, la presidente di Confartigianato Turismo Innocenza Giannuzzi contesta l’ultimo Dpcm: «Siamo certi – ha detto – che lo stop forzato di alcune attività possa fermare l’avanzare della pandemia? A tante di loro è stata imposta la chiusura alle 18.00, ma mi chiedo: perché non prima e non dopo? Tante sono le domande che oggi invadono gli operatori commerciali, letteralmente in ginocchio e sofferenti, mentre poi ci sono i trasporti pubblici, che creano situazioni in cui è impossibile mantenere il distanziamento e in cui anche gli eventuali contagi non possono essere tracciati: perché il Governo non ha provveduto all’aumento del numero dei mezzi in questione, prima di pensare alla chiusura di altri esercenti e altri settori? Qui in Calabria la pandemia camminerà a braccetto con la disoccupazione galoppante: la nostra regione è una polveriera pronta ad esplodere e già in epoca pre-Covid non era certamente un territorio forte dal punto di vista economico, ma in questo modo la devastazione è annunciata. Chiediamo che si intervenga prontamente, prima che la situazione possa giungere al punto di non ritorno!». (ed)

 

[foto di copertina courtesy Quotidiano del Sud]

«MANCANZA DI BUONSENSO»: ECHI DI LEGA
IN REGIONE E SPIRLÍ CRITICA IL GOVERNO

di SANTO STRATI – Non piacciono a nessuno le nuove misure introdotte dal l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm) e come potrebbero? Ci eravamo illusi che il temuto lockdown 2 fosse un’ipotesi remota, ma le cifre del contagio non lasciano scampo. Siamo di nuovo in piena epidemia, anche se – grazie al cielo – il numero dei decessi non è quello della fase acuta della pandemia di marzo-aprile, ma crescono a dismisura le prognosi di positività al virus. Le quali indicano brutalmente una cosa fin troppo evidente: il contagio non s’arresta e cresce in misura esponenziale. La tracciatura immaginata come soluzione ottimale mediante l’app Immuni non funziona perché non tutti hanno scaricato l’applicazione per lo smartphone, ma c’è da dire che anche tantissimi che avrebbero voluto farlo hanno dovuto rinunciare per l’incompatibilità con i telefonini di qualche anno fa. E, poi, non è detto che chi ha Immuni sul telefono comunichi al servizio sanitario che è positivo. Per non parlare della caotica e allucinante situazione dei tamponi la cui gestione è davvero da dilettanti allo sbaraglio. I pochi mesi di tregua e di illusoria scomparsa del virus non sono stati utilizzati dal Governo e dai ministeri coinvolti per mettere in pratica le misure di prevenzione, per attuare il rifornimento di scorte dei materiali necessari al personale medico-sanitario, per attivare, per esempio, i ventilatori polmonari acquistati e tenuti imballati alle prime timide avvisaglie di un’estate “sicura”.

In questo contesto, il presidente facenti funzioni della Regione Calabria Nino Spirlì, scaraventato in una situazione emergenziale e di gestione amministrativa alla quale non era preparato, ha tirato fuori gli artigli, subito dopo la sua prima ordinanza, e si è lanciato in una feroce invettiva contro il Governo, accusandolo di essere «privo di buonsenso». Il nuovo Dpcm? «Assolutamente inutile» – ha detto dall’ufficio ereditato inaspettatamente all’ottavo piano della Cittadella di Germaneto. «L’incapacità di questo Governo di ascoltare la voce dei territori e le urgenze di tutte le categorie sociali e produttive – da detto– non solo sorprende, ma offende il senso di unità nazionale di cui tutti gli italiani, oggi, hanno assolutamente bisogno. Mentre, con belle parole, il presidente del Consiglio e i suoi ministri chiedono, appunto, una nuova unità nazionale, al chiuso del Palazzo la umiliano fino al punto di privarla di ogni possibilità di vita futura. In questa nostra Italia il quadro sociale e politico è davvero drammatico. Purtroppo, decine di migliaia di imprese rischiano di morire inutilmente. Per ore e giorni, abbiamo tentato, purtroppo invano, di convincere l’esecutivo a non chiudere l’Italia. Ma quello che è venuto fuori è una finta vita e una vera morte».

Per poi aggiungere: «Penso a tutte quelle categorie di lavoratori che avrebbero trovato ristoro alle proprie fatiche se solo avessimo consentito lo svolgimento delle attività nelle ore più consone a ciascuna professione. Mi chiedo quali esperti abbiano individuato il luogo del contagio nella controllata e rispettosa convivialità. Mi chiedo quali studi abbiano acclarato che i teatri, i luoghi dell’arte e dello sport – che seguono, già dal primo allarme, tutte le indicazioni governative con rispetto e rigore – possano essere una minaccia alla salute pubblica». E non ha torto a proposito del teatro: secondo l’Agis nel periodo 15 giugno-10 ottobre, a fronte di 2.782 spettacoli e 347.262 spettatori, c’è stato un solo contagiato. I contagi avvengono sui mezzi pubblici – dove la gente si accalca – nei trasporti aerei e ferroviari, nonostante i lodevoli sforzi delle Compagnie: ma chi lavora e studia prende i mezzi. L’assembramento è inevitabile, il rischio di contagio altissimo.

Ma torniamo a Spirlì: un bellissimo discorso e un’apprezzabile presa di posizione a favore di esercenti e imprenditori ormai alla canna del gas, peccato che nel suo intervento riecheggino echi salviniani, lo stesso motivetto che da giorni sentiamo ripetere nei confronti del Governo da Lega e Fratelli d’Italia (Berlusconi è più moderato e suggerisce un esecutivo di unità nazionale per affrontare la nuova crisi). Del resto, quale migliore opportunità per Salvini – visto che ha un suo uomo al vertice regionale (la presidente Jole nominò Spirlì su espressa indicazione del leader della Lega) – di tentare di arrestare la frana che ha investito la Lega (4% a Reggio Calabria!) in tutto il Mezzogiorno? E Spirlì, intellettuale che merita rispetto per le sue qualche volta bizzarre idee sulla libertà di linguaggio, si presta agevolmente, dimenticando o fingendo di dimenticare che era pronta la sua sostituzione con Sergio Abramo già la scorsa settimana se non ci fosse stata la prematura dipartita della presidente Jole. L’attuale sindaco di Catanzaro sarebbe stato nominato vicepresidente, in grado di fronteggiare quella inevitabile sede vacante della presidente prevista nella prossima primavera per motivi di salute e cura. La Jole è scomparsa d’improvviso, i patti col “nemico” Salvini a favore di Abramo sono saltati. E, inopinatamente, Spirlì si è trovato nella stanza dei bottoni, dove – metaforicamente – magari non sapeva nemmeno dove fosse l’interruttore della luce. Assistito da bravi e capaci funzionari, questo senz’altro, ma una guida che abbia polso è fondamentale e irrinunciabile, perché poi l’ “esercito” sappia cosa fare.

Spirlì non ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria, ha, invece, a disposizione l’intero palcoscenico e se dovesse andare in panico bisogna comprenderlo. In realtà il neopresidente ff ha mostrato, inaspettatamente, di saper interpretare in modo adeguato gli echi leghisti che vengono da Roma: anche se accusare il Governo di mancanza di buonsenso è come sparare sulla Croce rossa. È vero che siamo di fronte al dilettantismo più sfrenato e a continui colpi di scena che rivelano, purtroppo, l’assenza di qualsiasi copione e la realtà di un’improvvisazione continua. Solo che a teatro un buon guitto con l’improvvisazione ci va a nozze, anzi spesso dà il meglio di sé, ma qui non si recita a soggetto: ci sono infelici e funeste realtà di morti, di ricoveri in terapia intensiva, di ospedali e presidi impreparati e lasciati, ancora una volta, a gestire l’emergenza facendo ricorso alle sole forze disponibili. Medici e personale sanitario che stanno mostrando ancora una volta il grande senso di abnegazione, di massima attenzione, a rischio anche della propria incolumità, per accogliere i malati da ricoverare, da intubare e da assistere.

Salvini, nonostante non ne stia azzeccando una dall’estate dello scorso anno al ‘malefico’ Papeete, ha capito che deve tentare la qualunque per rimanere a galla, ovvero al centro dell’attenzione. La Calabria era perduta? Eccola ritrovata con un Presidente pronto a difendere con le unghie e con i denti l’idea leghista , per permettere a Salvini di “riprendersi” (ma quando mai l’ha avuta?) la Calabria. Tant’è che il leader in felpa d’ordinanza sta sondando il terreno, a proposito delle prossime elezioni regionali calabresi, per tentare il colpaccio, d’intesa con Berlusconi: cedere qualche provincia importante (Napoli?) nel risiko delle discutibili spartizioni tra la coalizione dei centro-destra che ha assegnato la Calabria a Forza Italia. E nel caso ha anche l’uomo giusto da piazzare come candidato presidente: l’avvocato Cataldo Calabretta, attuale commissario straordinario della Sorical. Il quale non ha mai sfoggiato la cravatta verde nelle sue continue apparizioni in programmi televisivi che lo vedevano immancabile ospite, ma è di “area”. Espressione che significa che potrebbe anche essere digerito facilmente dalla Meloni, disposta a sacrificare Wanda Ferro – vera candidata con buone chances di successo ma non proponibile perché in quota a Fratelli d’Italia, e un po’ meno – salvo ordini da Arcore – dai forzisti calabresi. I quali, per inciso, sono senza coordinatore regionale e si muovono in ordine sparso, facendo finta di ascoltare il coordinatore provinciale reggino Francesco Cannizzaro la cui nomina, a norma di statuto, potrebbe essere considerata azzerata. Non c’è una bella aria in casa degli azzurri e le beghe interne  sembrano difficile da superare con il sorriso: non hanno bisogno di rifarsi il guardaroba per Germaneto – vestono abitualmente con molta eleganza – Roberto Occhiuto e Gianluca Gallo, allo stato vicecapogruppo a Montecitorio e attuale assessore regionale all’agricoltura, che appaiono gli unici in grado di coagulare consensi in una destra che sembra orientata – qualora non ritrovi una vera unità – a ripetere l’insuccesso di Reggio e Crotone di qualche mese fa.

La verità è che al posto di insultarsi a vicenda, i leader politici e i ministri, a cominciare dal premier Conte, dovrebbero cominciare a pensare seriamente a un “gabinetto di guerra” che il presidente Mattarella, a norma della Costituzione, dovrebbe presiedere per combattere il più insidioso dei nemici fino ad oggi apparsi sul fronte mondiale. Perché non è solo ai morti, che meritano ogni rispetto prima d’ogni altra cosa, che bisogna pensare: le vittime sono molto più ingenti. Il nuovo lockdown 2, con le sue mezze chiusure, porterà sul lastrico migliaia di esercenti e di imprenditori, ai quali bisogna ristorare immediatamente le perdite. Diversamente, ci sarà una dramma sociale dalle conseguenze inimmaginabili. Una nuova gigantesca povertà alla quale nessun Mes, nessun Recovery Fund – quando arriveranno – potrà più mettere rimedio. Troviamolo il buonsenso, da tutte le parti, e coralmente s’individuino le soluzioni non solo per i positivi e i contagiati ma anche per tutti coloro che hanno già perso molto e rischiano di perdere davvero tutto. (s)