L’EDITORIALE / Filippo Veltri: Il vero nemico del PD è il PD

di FILIPPO VELTRI – «Ci sarebbe da riflettere davvero senza scorciatoie se questo partito ha ancora una funzione e se mai l’ha avuta. Un partito che si dice di sinistra senza esserlo è un non senso, una contraddizione vivente o forse morente».

«Io penso che non serva un congresso per riconsegnare alle correnti il potere di scegliere l’ennesimo segretario da suicidare dopo qualche tempo. Io penso davvero e non senza dolore che questo PD vada sciolto e rifondato, ucciso e resuscitato, distrutto e ricostruito dalle fondamenta e con coordinate nuove, radicali, pensate e pensanti, futuribili e al passo con le nuove esigenze di giustizia sociale, ambientale, territoriale, di genere e generazionale. Non è una sconfitta come un’altra e stavolta non abbiamo neppure alibi da sventolare».

«È una sconfitta che ha il sapore di Partito socialista francese, di quel partito cioè che intendendo il riformismo come il governo per il governo ha finito per estinguersi. Ecco, io vorrei che per noi ci fosse un altro finale».

Questa lunga riflessione che poniamo oggi in testa a questo editoriale è di un giovane (ma non più giovanissimo) dirigente di quello che una volta era il Pci, poi Pds, Ds e infine PD. Si chiama Luigi Guglielmelli e viene dalla Presila Cosentina, un tempo bacino storico della sinistra calabrese e italiana, lì dove venne ospitato e nascosto Pietro Ingrao negli anni bui del fascismo.

Guglielmelli ha avuto un paio di giorni fa il coraggio di mettere i piedi nel piatto e di dire la cosa forse più vera, quando è già iniziata la folle, ennesima corsa al nuovo toto segretario e anzi ci sono già le prime candidature per sostituire Letta (poveri noi! Non hanno capito nulla!).

Non serve a nulla, infatti, cambiare il settimo segretario in 14 anni (manco la bonanima di Zamparini avrebbe fatto meglio con i suoi allenatori cambiati e riciclati!) se non cambia tutto il contesto! Il PD, questo PD, non serve a nulla, in mano a capicorrente, a Roma e poi in cascata in periferia, che hanno in mente solo la loro autoconservazione. Un partito che in tutti questi anni è sembrato vivere in una bolla, che non si è accorto minimamente di quello che agitava il corpo della società. Che non ha capito perché per troppo tempo ha vissuto al di sopra, in un circuito autoreferenziale dentro il quale non c’erano la vita e i problemi del Paese, ma una loro rappresentazione deformata. 

Ha scritto Pietro Spataro, un altro che viene da lontano e che ha fatto il caporedattore all’Unità (quella vera) e oggi scrive su Strisciarossa, il blog di quel che resta di quel meraviglioso giornale fondato da Antonio Gramsci: « …non si spiega altrimenti l’insistenza su Draghi e sulla sua misteriosa agenda. Avere immaginato che il paese fosse rimasto talmente colpito e indignato per la crisi di quel governo e per l’uscita di scena del grande finanziere da riversare i suoi voti sul Pd, è stato un errore che solo un partito sordo e cieco poteva compiere. Il Problema del Pd è il PD».

Questo è il vero problema.

Aveva ragione Massimo D’Alema (un altro che non si può, però, nemmeno citare pena la forca, a sentire quella sinistra che più sinistra non si può, che non è però mai responsabile di nulla e che il 25 settembre è arrivata all’ iperbolica percentuale dell’ 1 per cento!): quel partito, nato dall’incontro di culture politiche diverse, non ha mai definito la propria identità e si è trasformato nel tempo in una sorta di taxi sul quale si può salire per andare ognuno dove desidera. Nella maggior parte dei casi la destinazione richiesta è stata il governo, il potere: è stata questa la massima aspirazione, a prescindere spesso dai programmi e dagli alleati.

«Questa ‘torsione governista’ è stata – ha scritto Spataro – la rovina del Pd perché lo ha tenuto chiuso dentro le stanze che contano, sempre più distante dal popolo che dice di voler rappresentare e che non sa più chi è. Qual è, infatti, il blocco sociale del Pd? Chi sono i suoi referenti? Dov’è il suo insediamento? Tutte domande a cui è difficile rispondere, perché nemmeno al Nazareno lo sanno, o meglio ognuno lo sa a modo suo. Ma senza identità un partito non esiste. Non è niente, oppure è tutto e il contrario di tutto: si può essere il partito del Jobs Act e quello contro il precariato e contro le disuguaglianze, per fare un solo esempio».

«Insomma,a 14 dalla sua nascita ancora non è chiaro se il Pd è un partito di sinistra, un partito centrista, una nuova Dc, un partito socialdemocratico, un partito liberale. L’idea di voler essere tutto questo insieme costituisce il male oscuro che lo sta corrodendo. Pensare che cambiando di nuovo segretario si possa risolvere ogni problema è una grande illusione. Pensare che Stefano Bonaccini o Elly Schlein o chissà chi altro possa salvare un partito in crisi solo con la sua bella presenza è un’idea completamente sbagliata e fuorviante».

«Il Pd, infatti, si trova difronte a un bivio. O meglio, si trova in una situazione da anno zero. Se non scioglie i nodi che abbiamo tratteggiato e non riesce a capire finalmente chi è e che cosa vuole, è destinato a consumarsi. Bisognerebbe avere il coraggio e la forza diaprire una discussione seria, anche aspra, come si faceva nei partiti della vituperata prima repubblica. Bisognerebbe avere il coraggio di farla, questa discussione, anche mettendo nel conto una separazione: i moderati-centristi da una parte, i socialdemocratici da un’altra. Meglio dividersi piuttosto che reiterare i compromessi che annichiliscono e rendono impotenti, piuttosto che tenere in piedi un partito indefinito, piuttosto che coltivare, come cantava Francesco Guccini ai tempi della Dc, “una politica che è solo far carriera”».

«I prossimi mesi saranno decisivi. Se il Pd avrà il coraggio di fare questo e di mettersi in discussione, di pensare a nuove idee per nuove aggregazioni, di rinnovare una classe dirigente che si è consumata nei giochetti tattici, di capire qual è la sua “costituzione ideale” e i suoi referenti sociali, di riconquistare un’autonomia politico-culturale consumata nell’inseguimento di “papi stranieri”, allora forse si potrà aprire una nuova stagione. Altrimenti il declino sarà inesorabile. Finirà che il partito che voleva essere pigliatutto (la famosa vocazione maggioritaria) non piglierà più niente».

«Ma sarebbe, sia chiaro, un problema serio non solo per il Pd. Questo processo di ripensamento, infatti, riguarda anche tutti quelli che ancora credono che possa esistere una sinistra del cambiamento nel nostro futuro. Nessuno si senta escluso». (fv)

 

BUONA DOMENICA / Uno strano equilibrio – Un editoriale di Eduardo Lamberti Castronuovo

di EDUARDO LAMBERTI CASTRONUOVO – Uno strano equilibrio aleggia tra noi. Da una parte la grave situazione determinata dalla pandemia, che fortunatamente, ci ha solo lambito e dall’altra, chi cerca di continuare nelle attività sociali, sia corrette che delinquenziali. Tutte figlie della vita comune di ogni giorno. Tutte comprensibili, molte non condivisibili, anche se reali componenti della quotidianità. Cosi assistiamo, oggi con grandi amplificazioni mediatiche, a grotteschi tentativi di mostrare una normalità che non c’è, a istituzionali, per cosi dire, tentativi di approfittare del momento, per farsi una miserabile pubblicità. Abbiamo grossi problemi nella organizzazione sanitaria, dalla penuria di dispositivi alla pericolosa situazione ricettiva, del tutto insufficiente in caso di massiccia richiesta di ricoveri – come è capitato nel nord italia – tuttavia non rinunciamo a virtuali momenti di celebrazioni evocative. Un fatto, certamente virtuoso, che non ci fa vivere come bruti e che rimette, sotto una stessa bandiera, un popolo che, nei fatti, non lo è. La bandiera è il tricolore, non c’è dubbio, in virtù della carta costituzionale che la riconosce come simbolo di unità, ma le dichiarazioni di soggetti, dissociati mentalmente, vorrebbero ancora una differenziazione lombrosiana che lascia il tempo che trova, ma fa male, solo quando gli insulti sono palesi. E negli altri giorni? Non è forse vero che il Sud vive ancora in modo sottosviluppato? Abbiamo noi gli stessi diritti soddisfatti nel campo della sanità? Abbiamo garantiti i livelli essenziali della salute? Non vi sembra che stiamo rivivendo i tempi della Legge Pica? Cosa hanno di diverso le schiere di commissari governativi, peraltro digiuni totali di conoscenze nel campo, dai sabaudi attuatori della legge più iniqua, mai scritta a danno del sud dal 1861 ad oggi ?

Eppure noi facciamo finta di niente, insorgiamo quando Feltri ci insulta, ma quando ci vengono denegati diritti sacrosanti, stiamo in assoluto silenzio, accontentandoci delle briciole, spesso inventate, di premi e premiucci che non si negano a nessuno, e che non trovano nessuna giustificazione in nulla che non sia una forma di captatio benevolentiae, pressoché vicina a consultazioni elettorali. Ma chi premia chi? Un riconoscimento ha i suoi canoni. Risponde a precisi requisiti. Viene assegnato da una attenta analisi fatta da rigorose commissioni, quando viene conferito da un singolo, ancorchè, munito di conforti di pseudorappresentatività, che vale ?

Il dramma è che siamo in pochi in questa città violentata, denigrata, abbandonata, stuprata e nel novero degli insigniti da questo o quel premio, ci troviamo sempre un amico, al quale non possiamo fare il torto (ma sarebbe tale?)  di contestare una grottesca forma di elevazione di un merito che non si intravede neppure, per il semplice fatto che non c’è!

È duro dover scrivere cosi, ma la libertà è anche onestà intellettuale, quella stessa che non ti fa guadagnare le simpatie del potere, ma ti fa respirare aria pura e la soddisfazione di dire ciò che pensi. Costi quel che costi. Il dramma è che molti, moltissimi la pensano come te, ma tacciono… in attesa delle briciole. (elc)