Il ricordo di Antonino Scopelliti, il giudice trucidato 28 anni fa dalla mafia a Piale

Celebrato davanti alla stele che ne ricorda il brutale assassinio, a Piale, tra Villa san Giovanni e Campo Calabro, il giudice Antonino Scopelliti, trucidato dalla mafia 28 anni fa. A ricordarne la memoria e a indicarne il fulgido esempio di onestà e fedeltà allo Stato alle nuove generazioni, alla presenza della figlia Rosanna Scopelliti, autorità e tanti cittadini comuni. Tra i presenti, il sen. Marco Siclari, in rappresentanza del Senato, i sindaci di Campo Calabro Sandro Repaci e Villa San Giovanni Giovanni Siclari, l’on. Federica Dieni, l’assessore alla Polizia Urbana e alla Sicurezza del Comune di Reggio Antonino Zimbalatti, il prefetto vicario Anna Aurora Colosimo, il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis, i magistrati Giovanni Bombardieri, Giuseppe Lombardo, Calogero Gaetano Paci, il capo di gabinetto del Consiglio regionale della Calabria Ugo Massimilla, e numerosi esponenti di associazioni antimafia.

Il sen. Siclari, portando i saluti del Presidente Elisabetta Casellati in questa giornata dedicata alla memoria del giudice Scopelliti che ha sacrificato la sua vita per questa terra, ha ringraziato «tutti gli uomini che rappresentano lo Stato e che quotidianamente, in modo incessante, lavorano per garantire sicurezza e che ci rendono orgogliosi di essere calabresi. Grazie al loro operato possiamo dire con fierezza che la Calabria è una terra sicura dove lo Stato è presente e dimostra, vincendo molte battaglie, che la ‘ndrangheta può essere sconfitta e che i calabresi non sono soli. L’azione della procura e delle forze dell’ordine deve essere uno stimolo per i giovani a rimanere in Calabria a credere e investire il loro futuro in questa terra ricca di un potenziale inespresso. Lo stesso vale per gli imprenditori che guardando a questa fertile realtà non devono sentirsi soli, ma possono decidere di investire nella convinzione che in Calabria c’è lo Stato oltre a cittadini onesti e lavoratori.
«Sono fiero di essere qui oggi  – ha rimarcato il senatore azzurro – con uomini che, come il giudice Scopelliti, rischiano la loro vita ogni giorno per garantire i nostri diritti e per far si che la Calabria possa riscoprire la propria identità. Proseguendo in questo percorso virtuoso all’insegna della legalità potremo riscattare questa terra ed evitare che altri giovani, così come ha dovuto fare la mia generazione, siano costretti a scappare. Creando occupazione in modo sano daremo una possibilità reale di riscatto e sono certo che solo così il sacrificio di tanti uomini di Stato, come quello del giudice Scopelliti, non saranno vani».

Rosanna Scopelliti, ex deputata azzurra, ha stigmatizzato l’assenza di molti politici: «Quando ero parlamentare ero subissata da richieste di partecipazione alla cerimonia del 9 agosto, da quando non lo sono più, vedo molti cittadini e sono felice, ma mi rammarico che, tranne Federica Dieni e Marco Siclari, altri parlamentari non abbiano inteso prendervi parte a prescindere dal mio ruolo». Rivolgendosi al magistrato ucciso dalla mafia, la Scopelliti ha detto commossa: «Guardandomi allo specchio sento addosso la responsabilità di essere tua figlia, di doverti difendere e proteggere dai tanti, troppi che guardano alla tua memoria con freddezza e cinismo». (rrc)

IL VIVIDO RACCONTO DEL “DOPO” AFFIDATO IERI A FB DALLA PENNA DI UN CRONISTA DI RAZZA, FRANCO CALABRÓ, FRA I PRIMI GIORNALISTI AD ARRIVARE SUL LUOGO DELL’AGGUATO.

di FRANCO CALABRÓ – Un pomeriggio tranquillo, la redazione spopolata dalle ferie; in pochi a cercare di fare una cronaca cittadina decente, palazzo di giustizia chiuso, qualche arrestucolo. Nella notte, dopo giorni d’inferno, s’era placata la protesta dei pescatori delle cosiddette “spadare” che aveva bloccato il traffico sullo Stretto, la fila delle auto in attesa di traghettare arrivava fino all’autostrada
La telefonata di Giuseppe Caminiti, corrispondente della “Gazzetta” da Villa San Giovanni mi fu passata da un collega. Qualcuno aveva segnalato al buon Pepè di avere visto dall’area di servizio di Santa Trada che allora non era dove è adesso, un’autobile precipitare in una scarpata lungo la strada che partendo dalla Nazionale, arriva fino a Campo Calabro, un percorso stretto e tortuoso, l’ideale per un agguato. I sicari ancora senza volto, in sella a una moto, che qualche testimone riferì di aver viso andare “su e giù” quel pomeriggio, affiancarono la BMW del giudice e partì la micidiale scarica. Pochi secondi, Nino Scopelliti perse il controllo e dopo aver abbattuto la recinzione in filo spinato, volò nel mezzo di un vigneto. La morte, come accertarono i periti, fu pressochè istantanea, chi scese nel fossato e cercò di dare soccorso al magistrato, lo trovò reclinato sul volante, la musicassetta accesa.L'auto del giudice Scopelliti
Qualche minuto dopo, mentre stavo per uscire in compagnia d’un amico avvocato, per andare a prendere un caffè, nuova telefonata, piuttosto concitata, di Caminiti, che era in spiaggia a Cannitello. “Dicono che la macchina del giudice Scopelliti ha avuto un incidente, vedete voi di informarvi meglio, poi se volete un paio di righe mi chiamate”.
Fu in quel momento che ebbi un presentimento e non esitai un attimo, e dopo pochi minuti ero sulla scena di quello che sarebbe diventato un delitto eccellente ancora irrisolto, nonostante le ottimistiche previsioni della Procura dopo il presunto ritrovamento dell’arma sepolta nelle campagne del Catanese.
Prima che arrivassero i carabinieri e gli uomini della Mobile, mi accorsi che era stato usato un fucile caricato a pallettoni, il colpo, se esploso da distanza ravvicinata, ha conseguenze devastanti. Prima che sul posto giungesse il sostituto di turno in Procura, un giovane milanese da poco in servizio, Giorgio Jachia, chiamai il giudice Giuseppe Viola, grande amico di Scopelliti. Venne in compagnia dell’avvocato generale Giovanni Montera, ho ancora presenti nella memoria i loro volti, coperti con le mani per nascondere le lacrime.
Nel caos più totale, con Jachia che non riusciva a coordinare un bel niente, le indagini partirono da subito col piede sbagliato. Si ipotizzarono vari moventi, meno quello che sarebbe risultato il più plausibile, come sostenevano i pentiti che da poco avevano cominciato a collaborare dopo l’istituzione del centro Dia affidato a un ufficiale che a Palermo si era occupato a lungo della mafia e aveva collaborato con Falcone. Angiolo Pellegrini inseguì anche lui le varie piste compresa quella di una vendetta di qualche marito geloso, conoscendo il successo che notoriamente Scopelliti riscuoteva tra il gentil sesso. È di pochi giorni fa la notizia dell’ennesima ripartenza da zero, in attesa che da qualche parte arrivi un altro spunto investigativo. Sul delitto Scopelliti resta il buio più fitto. Attorno a quella lapide laddove si spense la sua esistenza ci si continua a interrogare sui perché di una morte assurda e, per chi l’ha ordinata, inutile. (fc)