MIGRANTI, CONTRO L’INDIFFERENZA UE
C’È IL DOLORE AUTENTICO DEI CALABRESI

di SANTO STRATI – L’immagine dei corpicini dei due gemellini senza vita spiaggiati sulle coste di Cutro resterà il simbolo più angosciante di questa nuova e, purtroppo, non ultima, tragedia del mare. Tragedia epilogo di un viaggio non della speranza ma della disperazione. È forte il dolore della gente calabra, come se ognuno in questa tragedia avesse perso un figlio, un genitore, un fratello: queste vittime sconosciute ci appartengono perché è nel dna dei calabresi il senso di solidarietà, ma soprattutto di fraternità, che viene fuori incontrollabile, sempre davanti a qualunque sciagura o calamità.

La tragedia di Cutro non stiamo a dire, col senno di poi, che forse si poteva evitare: è un problema che si trascina da anni quello degli sbarchi, che ricade sulle spalle di sindaci la cui umanità ci fa fare pace con le amministrazioni locali. Un problema che non si risolve con provvedimenti legislativi o ordinanze assurde (sapete che chi soccorre senza autorizzazione i profughi rischia pesanti ammende, dopo il decreto Piantedosi-Meloni sulle ONG?), ma andrebbe affrontato con buonsenso e cristiano spirito di umanità. I migranti fuggono da guerre, disagi sociali, povertà: non sono alla ricerca di un eden (ormai impossibile dovunque) ma di uno sbocco di vita, un’aspettativa di futuro da poter offrire ai propri figli, in realtà dove non solo la lingua è sconosciuta, ma anche le relazioni interpersonali si scontrano con pregiudizi e preconcetti di sapore razzista.

Questa tragedia ha colpito profondamente la Calabria e in poca parte l’Italia: tra distrazione e indifferenza la nostra terra ha mostrato ancora una volta il suo fortissimo rispetto verso tutti, con un innato spirito di accoglienza che, purtroppo, non trova sempre il meritato consenso. La questione richiede soluzioni, ha bisogno dell’intervento dell’Europa – come segnalato con convinzione dal Presidente Occhiuto – ma va affrontata con realismo e decisione.

Non si tratta solo di fermare le partenze: avete minimamente idea dei campi di “concentramento” dove sciacalli senza scrupoli – trafficanti di uomini – ammassano gli aspiranti fuggitivi, che pagano cifre assurde (anche vendendosi un rene, o addirittura un figlio) e restano in attesa di un’imbarcazione, qualunque essa sia, che possa portarli via. E sono costretti ad aspettare, in condizioni disumane, un imbarco che rischiano di perdere, con l’addio ai soldi versati o “impegnati”. E mentre si discute come fermare gli imbarchi, nessuno si rende conto che la decrescita demografica del nostro Paese potrebbe trovare risorse umane preziose, volenterose e forti, in grado di sopperire la cronica mancanza di manodopera là dove, anche se ci sono occasioni di lavoro, c’è il rifiuto alimentato dal facile reddito di cittadinanza, distribuito, ahimè, senza criterio.

Diciamoci la verità, il modello è quello che si era inventato Mimmo Lucano, oggi in attesa di un verdetto (forse ingiusto, permetteteci il dubbio) che aveva creato e messo insieme una comunità multietnica coesa, inventando un lavoro, riattivando case abbandonate, creando occasioni di impiego, regalando una prospettiva di vita. Quella realtà di Riace non esiste più per tante ragioni, ma il modello che fece andare in copertina sul  prestigioso magazine Fortune (era il 2016)  il sindaco di allora per la sua “utopia della normalità”, risulta una via non solo percorribile ma diremmo obbligata. Ci sono migliaia di case abbandonate (e offerte in vendita anche a solo un euro) in tanti borghi desolati e dimenticati: seguendo il modello del visionario ex sindaco Lucano si potrebbe pensare di far arrivare – ove ci siano le condizioni – famiglie di profughi, ma non su carrette del mare, ma con voli autorizzati o navi militari e offrire loro ospitalità in cambio di lavoro utile alla collettività, in grado anche di ridare dignità umana a chi è costretto a scappare dalla propria terra. Perseguitati, oppressi, vittime di violenza: quante famiglie distrutte, quanti giovani vite spezzate, e quanta indifferenza. Un sentimento in continua ascesa di cui il genere umano si dovrebbe vergognare. Un sentimento che, grazie a Dio, non abita dalle nostre parti: c’è la generosità e il disinteressato aiuto di tantissimi calabresi a testimoniarlo. Ecco perché oggi la Calabria piange questi fratelli sconosciuti, dal punto di vista parentale, ma fratelli di sangue, al di là di qualunque differente etnia, linguaggio, costume di vita. È un dolore autentico che merita rispetto e ammirazione, perché vale sempre la regola che chi ha poco offre tanto, al contrario di chi ha e non dà.

«In Calabria – ha detto il Presidente Occhiuto intervenendo ad Agorà su Rai 3 – i migranti li vediamo sbarcare quotidianamente, e li soccorriamo, evitando di considerarli un problema. Tante volte si tratta di bambini e di donne che scappano da Paesi in guerra e che cercano una vita migliore. Le vittime di questa sciagura hanno pagato migliaia di euro per inseguire un sogno che, purtroppo, li ha condotti alla morte». I sopravvissuti devono la vita alle centinaia di volontari che, dopo l’allerta di Frontex che aveva avvistato sabato sera l’imbarcazione della morte e, vista l’impossibilità di un soccorso via mare o via elicottero per le avverse condizioni del tempo sono accorsi in spiaggia a tirare a riva i profughi riusciti ad avvicinarsi alla costa. Erano lì, col freddo pungente, con coperte per i profughi, volontari e forze dell’ordine, medici e gente comune, entrata in acque gelide per portare a riva uomini, donne, bambini. Alcuni di loro non ce l’hanno fatta, molti, grazie ai soccorsi, hanno sfidato il gelo della morte. Il grazie a questi calabresi, vera espressione della Calabria positiva di cui andare largamente orgogliosi, non sarà mai sufficientemente grande. (s)