PONTE, CALABRIA E SICILIA ASPETTANO
E INVIDIANO QUELLO CROATO (2,4 KM)

di ROBERTO DI MARIA – Pochi giorni fa abbiamo assistito all’inaugurazione del ponte di Sabbioncello, un’infrastruttura che elimina la cesura che separava Dubrovnik e le splendide spiagge del Peljašac dal resto della Croazia.

Adesso, grazie a un ponte strallato di 2,4km costruito da imprese cinesi e pagato all’85% dall’Ue, poche decine di migliaia di cittadini croati e centinaia di migliaia di turisti non dovranno più prendere il traghetto o superare la frontiera bosniaca.
Un corridoio che nulla ha a che vedere con la Rete TEN-T europea ma che è stato fortemente voluto da tutti i governi di un Paese di soli 4 milioni di abitanti (meno della sola Sicilia) per ragioni di continuità territoriale.

Vengono alla mente altre infrastrutture che, pur essendo previste all’interno della rete Europea AV/AC, interessando molti milioni tra cittadini e turisti e un’economia (quella siciliana) che, per quanto debole, è pur sempre del 25% maggiore di quella dell’intera Croazia, non appaiono tra i programmi elettorali dei partiti italiani.
Al di là dell’Adriatico, un ponte si fa senza polemiche, al di qua non si fa. E non si dica che i benefici che il “nostro” ponte non sono stati evidenziati infinite volte all’opinione pubblica e ai tanti governi che si sono succeduti alla guida dell’ex Bel Paese. O che la stessa Ue non ci ha ripetutamente chiesto di mettere fine a questa marginalizzazione che non è più solo sociale ed economica ma è diventata strategica ai fini del controllo del Mediterraneo centrale. Arrivando a darci risorse sufficienti (PNRR) per costruire una cinquantina di Ponti sullo Stretto. Raccomandandoci di spenderle per il 70% nel Mezzogiorno.
L’Italia, da quest’orecchio non ci sente e inventa penose scuse per rimandare l’opera che le farebbe recuperare il prestigio perso nel mondo. Scuse cadute una dopo l’altra ma sufficienti a ricoprire di bronzo le facce degli imbarazzanti Ministri dei Trasporti che si sono succeduti negli ultimi decenni. Né sono mancate, in passato, proposte da parte (guarda caso) di gruppi cinesi interessati alla costruzione, riscuotendone il pedaggio per un periodo congruo. E, come abbiamo visto, i cinesi fanno sul serio. Nulla da fare.
Conosciamo bene le resistenze alla realizzazione di quest’opera da parte di diverse formazioni politiche, ma persino quella che più delle altre si era opposta all’opera (il M5S) si è in larga parte convertita alla necessità di iniziare a compensare il Sud per la valanga di voti presi nel 2018.
Qualche disinformato dirà che, finalmente, l’opera è stata riavviata dal governo Draghi, ma le modalità scelte rimettono ottusamente in discussione tutto quello che era stato fatto negli ultimi 30 anni e che avevano portato persino all’aggiudicazione dell’appalto. Una presa in giro in quanto la soluzione a tre campate, rispolverata dal governo uscente, comporta tali difficoltà tecnico-costruttive da somigliare a un accantonamento a tempo indeterminato; magari per aprire la strada a quell’Opzione Zero tanto cara al Ministro Giovannini.
A proposito dei partiti, dopo l’indizione delle elezioni del 25 Settembre, sul Ponte è sceso un silenzio assordante. Non soltanto da parte del centro-sinistra da sempre contrario ma anche da parte del centro-destra.
Chi non ricorda il famoso plastico e il contratto sottoscritto da Berlusconi alla presenza del “notaio” Vespa in prima serata TV? Ebbene, nella sua prima intervista televisiva il cavaliere, tra tante promesse, il Ponte non l’ha neanche nominato. Meloni non ne parla da mesi, forse anni e Salvini sembra più interessato al destino degli immigrati clandestini che alle sorti dei siciliani e dei calabresi.
Tornare a parlare di quest’infrastruttura, magari con la serietà che l’argomento richiede, sarebbe un segno di maturità, fosse soltanto per essere intellettualmente onesti con gli elettori. Un primo, fondamentale passo per affrontare l’insostenibile disparità di condizioni tra nord e sud. O, forse, il tema è secondario e “de minimis non curat praetor”? (rdm)