SEMPRE ULTIME LE PROVINCE CALABRESI
A CHI SERVE LA CLASSIFICA DI VIVIBILITÀ

di FRANCESCO RAO – Nei giorni scorsi, per l’ennesima volta, un prestigioso quotidiano nazionale, tramite i dati emersi da una ricerca condotta annualmente sulla qualità della vita, ha collocato la provincia di Crotone all’ultimo posto della classifica, mentre all’area Metropolitana di Reggio Calabria, perdendo una posizione rispetto alla precedente edizione, è stato assegnato il sest’ultimo posto. 

Niente di nuovo sotto il sole potremmo affermare. Invece no. C’è bisogno di fermarsi, riflettere e comprendere fino in fondo il peso di quei dati, pesanti come macigni e posti come un enorme muro lungo la strada della crescita che la Calabria e in particolare gli abitanti delle due province evidenziate, hanno il diritto di percorrere senza tenere il cappello in mano. 

Per intenderci, non stiamo parlando di due aree desertiche nelle quali qualsiasi attività potrebbe apparire inutile. Seppur fosse così, prendendo in prestito l’esperienza di quei popoli che hanno saputo sopravvivere anche al deserto, avremmo già da tempo potuto fare la differenza superando gli ostacoli e promuovendo percorsi virtuosi. 

Professionalmente, per più anni, sono stato impegnato nel mondo della scuola delle due aree interessate. Quindi, ciò che scrivo è frutto di una constatazione diretta appresa dal quotidiano confronto avuto con docenti, discenti, genitori e dirigenti scolastici. Tali circostanze, oltre a consentirmi di poter rilevare le preoccupanti carenze strutturali, ben evidenziate nello studio annuale dell’organo di stampa di Confindustria, mi ha permesso di toccare con mano altri indicatori che incidono ancora più profondamente sulla vita delle persone. Primo fra tutti vi è il fortissimo impatto della disoccupazione che rende ancora oggi impossibile agli abitanti di quei territori di poter pensare ad un futuro migliore. A seguire, e in modo inedito a qualsiasi ricerca circolante, si aggiunge il fenomeno vissuto in pari condizione sia da chi ha una bassa scolarità, sia da quanti, pur avendo elevati titoli di studio, non riescono a spenderli nel rispettivo territorio ritrovandosi sempre più spesso costretti a lavorare subendo il peso di una forte instabilità e tante volte anche quella di una retribuzione al di sotto del dovuto. 

Mi chiedo: come si può condurre un’analisi di tale importanza senza considerare la totale differenza insita nei rispettivi indicatori, letteralmente inapplicabili ai diversi contesti presi in esame a seguito di una elevata esposizione ai fenomeni di povertà largamente diffusi? 

Insomma, se tra gli indicatori della prestigiosa ricerca vi fossero la salubrità dell’aria o la possibilità di trascorrere tempo passeggiando sulle spiagge, con i nostri 750 chilometri di costa e tutto l’ossigeno liberato da tre Parchi nazionali, saremmo ancora ultimi? 

Da un punto di vista metodologico, seppur la ricerca abbia previsto ben novanta indicatori, suddivisi in sei gruppi, come potremo mai competere in tema di ricchezza e consumi con quelle realtà nelle quali la propensione al lavoro, il reddito, gli affari e il lavoro, l’ambiente e i servizi, la salute, la giustizia e la sicurezza, la cultura e il tempo libero sono posti specularmente all’opposto delle nostre possibilità? Sia ben chiaro, la stesura della classifica della qualità della vita, pubblicata dall’autorevole quotidiano preso in esame, sin da quando ero studente universitario ha rappresentato per me una fonte inesauribile di informazioni che nel tempo mi hanno consentito di studiare gli ambiti più impensabili delle aree complesse nelle quali ho avuto modo di lavorare, partendo sempre dalla realtà del territorio e considerando un vecchio detto particolarmente funzionale: “ognuno accende il fuoco con la legna che ha”. 

Volendo essere curioso, dopo aver letto il rapporto del 2022, guardando un po’ più lontano del solito ho pensato: in una ipotetica attenzione riposta per queste aree da imprenditori o da multinazionali, intenzionati a investire in queste aree, leggendo i dati quali aspettative verranno fuori? Chissà, in assenza di riferimenti, come sarà considerata l’area della Città Metropolitana di Reggio Calabria nella quale si trova Gioia Tauro, con uno dei Porti più importanti delle Mediterraneo e con una ZES che prima o poi dovrà pur manifestare tutte le potenzialità riservate alle zone economiche speciali? Ci sarà una minima attenzione nei confronti di quel tessuto socioeconomico nel quale vige ancora la preziosità della conoscenza e la bontà impiegata in ogni singolo lavoro, svolto ancora con la passione degli artigiani i quali, riponendo nella soddisfazione dei rispettivi clienti, hanno da sempre alimentato la fiducia quale sentimento indispensabile al prosieguo delle rispettive attività? Per quanto riguarda Crotone, sempre brevemente e con l’intento di fare qualche piccolo esempio: saranno considerate tutte le peculiarità storiche ed imprenditoriali vissute da una popolazione che ha vissuto l’illusione di poter diventare polo industriale, subendo i danni di un terribile inquinamento prodotto da una società che aveva scelto quell’area per produrre e, forse, lasciarci i rifiuti, senza minimamente preoccuparsi della salute delle persone? 

Eppure, il Crotonese ha compiuto enormi passi in avanti. Ha saputo rialzare la testa producendo vini di pregevole qualità, avviando numerose attività turistiche con villaggi che non soffrono minimamente il sentimento di inferiorità, rispetto ad una concorrenza situata in altre regioni d’Italia e del mondo, divenendo anno dopo anno meta prediletta anche da tour operator stranieri. 

Forse aveva ragione Domenico Modugno quando ha scritto una tra le sue più bellissime canzoni (Meraviglioso): “ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare! Tu dici non ho niente, ti sembra niente il sole”. 

Sino a quando il nostro agire confermerà la visione che gli altri hanno della Calabria, noi non saremo autenticamente Calabresi, ma rappresenteremo l’immagine che abbiamo consentito agli altri di utilizzare per descrivere e narrare un racconto utile soltanto a farci rimanere l’ultimo vagone di un treno destinato a rimanere fermo nella stazione. Perciò, prendendo in considerazione i dati pubblicati, i quali rappresentano una autentica verità, iniziamo a preoccuparci di veicolare la bellezza e la capacità di guardare avanti, attivando una virtuosa web reputation e facendo di tutto per chiedere alle Istituzioni di voler provvedere ed intensificare la repressione del crimine, mediante un sistema giudiziario capace di garantire pene certe ed evitare quella mediatica esposizione di presunti colpevoli, sino a quando non ci sarà una Sentenza passata in giudicato. Con una comune visione e con la capacità di creare un marketing territoriale, capace di far veicolare il meglio della nostra terra, sono certo che strutturalmente anche la malavita avrà strada corta. 

Forse è difficile volerlo ammettere: stiamo giocando la partita che stabilirà il futuro dei prossimi cento anni nonché la dinamica demografica della Calabria.  (fr)

(Francesco Rao è Presidente del Dipartimento Calabria ANS Sociologi)