La bella Calabria approdata su Rai Uno, grazie alla Fata Morgana…

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Ci risiamo! Con estrema puntualità, ecco che il cinema, o meglio ancora la Calabria prodotta dal cinema, diventa motivo di discussione. E sapete tra chi? Tra i calabresi. E sulle basi della solita traccia: “a noi non ci accontenta mai nessuno”.
Al di là del fatto che il film di Matteo Oleotto, prodotto dalla Pepito Produzioni, diretta dal calabrese Agostino Saccà, Tutta Colpa della fata Morgana, andato in onda ieri sera alle 21:30, su Rai 1, possa essere piaciuto o meno, essendo il gusto una questione soggettiva, trattandosi peraltro di una leggerissima commedia all’italiana, la Calabria non è facile raccontala, e a noi calabresi non ci accontenta mai nessuno.
Ecco che infatti, unica tra le terre del Sud, dopo ogni qualvolta appare sul grande schermo, la Calabria, si getta nella polemica fitta da sola.
Il mondo calabrese purtroppo, per quanto ricercato, non riesce mai a essere veramente individuato. E questo è vero, ma tutto è dovuto alla complessità della sua narrazione, di cui c’è tutta una storia responsabile.
La Calabria è bella però è amara, è dolce e fa paura, e poi è contorta, assai arrovescio, contraria… E chi cazzo la riesce a raccontare bene una terra così? Cioè bene come piace a noi, seppure ancora non sappiamo nessuno esattamente a cosa questo bene che vorremmo si riferisce.
C’è un preimpostato da seguire, forse? Un mappale? O vale la libera interpretazione?
I calabresi dovrebbero saperlo. Altrimenti la lamentazione che li deprime non avrebbe dove andare a parare.
Se c’è un problema serio su cui lavorare, questo non è certo rappresentato da chi la racconta o da come racconta, la Calabria, ma da chi si lascia raccontare a un certo modo. Dai calabresi stessi quindi.
Per pretendere di apparire, almeno bene, si deve aver fatto quantomeno benissimo. E la Calabria cosa ha fatto? E i calabresi?
Una cosa che la Calabria non fa mai, anzi di cui gran parte dei calabresi proprio se ne strafottono, è un’analisi critica del sistema di cui si è parte. Quando il riflesso allo specchio invece dice sempre tanto, e addirittura rischia di dire anche tutto.
Ad adirare il fanatismo calabro, che per chi non lo sapesse è quella sorta di orgoglio occasionale che viene fuori solo quando chicchessia decide di pisciarci in testa, e se per bene o per male poco conta, non è stato il racconto peraltro privo, per la prima volta, di fatti di ndrangheta con tradizionale cliché, ma nientepopodimeno, una partita di malocchio. Quella cosa che, tratta dalla cultura popolare, in Calabria è credenza e altrove è sfiga.
Vi venisse un colpo di memoria!
Ma lo ricordate o no che noi veniamo dalla Magna Grecia, dalla terra dei miti, dei racconti, delle leggende, e delle magare? Scilla Cariddi, la Fata Morgana. Storia e mito. Dei ed eroi.
E come? I romani potevano far riferimento ad Enea fingendo di essere un antenato di Romolo, il re di Roma, e noi dovremmo, non so per quale ragione aggiornarci, non raccontando delle vecchie magare? Se non vi ritrovate in questa terra qui, che non è un film di Oleotto, ma un capolavoro del Creatore, vuol dire che non è la vostra terra, la Calabria. Che avete sbagliato posto.
Ma Dio Santo, quando capiremo da che parte vorremo stare davvero?
Rinneghiamo la ‘ndrangheta invece, non la cultura. Mettiamo al bando tutte le sue malefatte, quelle sì che ci arretrano. Ma con i fatti, non con l’indignazione sterile dopo un film, retrogradi sul concetto “questa è terra mia e di nessun altro”.
A Napoli, o a Palermo, la porcheria che facciamo noi calabresi, non la fanno da nessuna parte. Anzi, che se ne parli, dicono tutti. E ci godono. Basta pensare che la Sicilia sta in letteratura e noi no.
E daje, calabresi. A votare non ci andiamo, in piazza non scendiamo, siamo ultimi in tutte le classifiche europee, e frigniamo davanti a una piccola storia in cui improvvisamente, chissà perché, non ci riconosciamo.
Eravamo noi, eravamo. E non eravamo stereotipati come in tanti hanno annotato, ma reali, così come siamo davvero. Perché è il lamento che ci ha portati fino a qui, l’assopimento, l’irriducibile rassegnazione. E niente politica o demagogia.
Certo, su alcune battute poco felici, del milanese, ci sarebbe da fare un discorso articolato. Argomentando persino le pause. Ci sono parole che pungono e fanno male, specie quando si affermano come concetti di base. Ma questa questione, è solo la questione meridionale che resuscita. E non è questo il caso di fare questioni su questione.
Se proprio una morale va tratta da questo film, è che il tempo di crogiolarci è finito, bisogna fare, fare, e ancora fare. E poi sì, poi mostrare al mondo la Calabria che il mondo non si aspetta. Che non è quella delle meraviglie che tutti già sanno, ma quella dei suoi uomini che non si conoscono.
Ieri sera, sul primo canale Rai, la Calabria si è presentata in tutto il suo splendore. Scilla, Zambrone, Briatico, Pizzo. Un ensemble di posti che fanno una terra sola. Che dai, parramundi in domini, calabrisi, a vederla così bella e magnanima, ci sono venuti i brividi. Foramalocchju! (gsc)