LAMEZIA TERME (CZ) – Il vescovo Parisi celebra San Francesco di Paola

«La carità ci contraddistingue come credenti e come cittadini di questo mondo. Noi non viviamo la fede in una dimensione di separazione, come se la nostra fede potesse essere relegata ad un ambito strettamente “religioso” della nostra vita. La vita dell’uomo non può essere scissa. Nell’Incarnazione, Dio ha preso la nostra carne, è entrato dentro la storia umana. Noi siamo abitati da Dio e la carità è lo stile con cui noi credenti entriamo nel mondo. Noi entriamo nel mondo, non con gli eserciti schierati ma attraverso la debolezza della grotta di Betlemme e la debolezza del Crocifisso, una debolezza che sconvolge la stoltezza degli uomini. Entriamo nella storia con la forza della carità che è la forza dell’amore di Dio; è mettersi a disposizione del Signore che, con il suo amore, attraversa la nostra esistenza e ci rende canali di grazia, diffusori di amore a tutta l’umanità».

Così il vescovo di Lamezia Terme monsignor Serafino Parisi che, nella chiesa matrice di Sambiase, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nella festa patronale di S. Francesco di Paola.

Commentando la liturgia della Parola incentrata sul tema della carità, il vescovo di Lamezia ha evidenziato, partendo dall’inno alla carità di S. Paolo, il legame tra fede, speranza e carità perché «la fede, punto di partenza della vita del credente, non può restare un dono messo in un angolo, improduttivo. La fede chiede all’uomo di aderire liberamente alla volontà di bene del Signore. La speranza non può essere confusa con un generico ottimismo, ma è l’espressione umana che trae origine dalla passione amorosa di Dio. Per San Paolo anche la fede e la carità passeranno, perché la carità è più grande. La carità è la fede messa in campo, la speranza organizzata dai credenti. La carità è il ponte tra la terra e il cielo, il ponte tra il lavoro del credente nella storia e ciò che il credente godrà nei Cieli lasciando tracce visibili dell’amore di Dio nel presente. La carità è la visione del nostro futuro, un futuro di bene, edificato e costruito nel presente. La via nel deserto, di cui ci parla il profeta Isaia, non è impiantata dall’alto, ma parte da un progetto divino che richiede il nostro impegno e la nostra collaborazione».

Soffermandosi sui tratti della spiritualità del santo paolano, Parisi ha sottolineato come Francesco di Paola sia stato «un calabrese sanguigno, verace, portatore nel mondo di quello che oggi definiremmo cristianesimo sociale. In tutte le situazioni della vita in cui si è trovato ad operare, Francesco da Paola è andato verso il mondo come tutti noi credenti dovremmo andare verso il mondo: con lo stile debole e forte della carità, per cui non diamo al mondo ciò che è nostro ma ciò che il mondo ha e deve scoprire. Il miracolo della moneta spezzata davanti al re di Napoli ci comunica ancora oggi un messaggio: tu non ti puoi arricchire sfruttando l’altro fino al sangue. Questa è la proposta di Francesco di Paola: il nostro passaggio, accanto ai ricchi come ai poveri, accanto ai deboli come ai potenti, sia diffusore di un amore di cui anche noi ci sentiamo debitori verso Dio e che con larghezza dobbiamo dare agli altri».

L’augurio del vescovo Parisi affinché «possiamo vivere questa festa, per la nostra comunità lametina e per tutta la Calabria di cui S. Francesco di Paola è patrono, acquisendo lo stile della carità perché dove c’è terra arida ci possa essere passione per far risorgere questa storia e dove c’è sangue sparso ci possa essere la consapevolezza che, con l’impegno personale e non con le ferite degli altri, possiamo costruire storia nuova per questa nostra terra. Se la carità è la vita e mette insieme fede e speranza, la carità ci vuole in prima persona protagonisti e costruttori del nostro futuro. Tra vent’anni, insieme con voi, vorrei guardare a questa storia dicendo: questo tratto di strada della nostra Chiesa locale e della nostra società civile del lametino è stato fatto anche con la mia passione, anche con il mio impegno, seguendo e mettendo in pratica la Charitas del Signore».

A nome della comunità dei padri minimi, all’inizio della celebrazione, padre Ivano Scalise ha dato il benvenuto al vescovo Parisi ricordando il plurisecolare legame della comunità di Sambiase, oggi Lamezia, con i frati minimi e la figura di S. Francesco da Paola «uomo di ascolto e di accoglienza verso tutti i fratelli e le sorelle senza fare discriminazioni di persone, ceto sociale: parlava al ricco e al povero, al potente e al semplice, richiamando tutti alla comunione, alla fraternità e alla riconciliazione». (rcz)

LAMEZIA (CZ) – Il vescovo Parisi partecipa alla Notte dei licei al “Fiorentino”

«Ringrazio il Liceo classico, gli studi classici perché a me hanno consegnato la capacità critica, quella di poter leggere la realtà, interpretarla, poi anche servirla e, sostanzialmente, mi hanno insegnato, ed è quello che vi auguro, a saper obbedire e disobbedire, a saper guardare la realtà e scegliere liberamente e responsabilmente sino alla fine». Così il vescovo, monsignor Serafino Parisi, intervenendo al Liceo Classico-Artistico “Francesco Fiorentino” di Lamezia Terme nell’ambito dell’iniziativa “La notte nazionale del Liceo”.

«Questo è il bagaglio della cultura classica – ha aggiunto monsignor Parisi – con le analisi dei testi che ci hanno fatto soffrire, in quei tempi ormai andati, ed adesso trovo tanti compagni di viaggio per guardare la realtà, interpretarla criticamente e servirla, spero, con quella passione che al Liceo ho vissuto in un contesto molto felice e bello, in un contesto di amicizie, di relazioni che mi fanno compagnia e mi incoraggiano ad andare avanti ed è lo stesso augurio che con sincerità faccio ad ognuno di voi».
Precedentemente il Vescovo, partendo dal dialogo tra Ciro e Creso, tratto dalle storie di Erodoto, in cui si parla del rapporto tra pace e guerra, ha incentrato il suo intervento sul termine greco εἰρήνη (eirene, pace) «del quale – ha detto al riguardo monsignor Parisi – si discute molto sul piano dell’etimologia e qualcuno, con molte contestazioni di accademici con altri pregiudizi, lo fa derivare da una piccola radice che è ‘ar’ (da cui viene eirene) che vuol dire connettersi, cioè stabilire relazioni. Nelle lingue semitiche – ha aggiunto il Vescovo – il concetto è positivo, però non ha questo aspetto della relazione, ha piuttosto una visione di stabilità interiore, tanto è che anche oggi nel saluto arabo ‘salam’, ‘shalom’ è la pace, ma vuol dire salute, benessere, prosperità. Quindi, c’è un legame con se stesso ma anche con gli altri».

«Nella tradizione classica – ha proseguito monsignor Parisi – questo termine che è connettersi, cioè entrare in relazione, mi fa pensare all’aspetto positivo, costruttivo del termine pace che vuol dire fare lo sforzo costante di poter entrare in relazione con l’altro perché insieme possa essere percepita la realtà del benessere, della pace, della prosperità che si condivide e c’è anche l’aspetto di una connessione con se stessi».

Tornando al testo di Erodoto, il Vescovo, ha ricordato che nel dialogo di Creso con Ciro si “opponeva l’idea della guerra a quella della pace. Di per sé il contrario della pace non è guerra – ha aggiunto – anche se purtroppo è una realtà che stiamo vivendo soprattutto oggi che la guerra è vicino a noi e ci sono anche quelle che percepiamo di meno perché sono distanti da noi. Di fatto, per comprendere la pace, guardando al suo contrario, bisogna riflettere sul fatto che il contrario della pace, proprio per questo concetto di relazione, è la divisione. Ciò che divide è, di fatto, la negazione della possibilità stessa della pace”. Un tema, questo, come ha ricordato monsignor Parisi, attestato “sia dalla tradizione che veniva dall’esterno della Bibbia, sia dove si stabilivano delle alleanze, cioè dei contratti di relazione con gli altri popoli per convivere e questo avveniva anche per cose di poco conto. Ad esempio, se bisognava portare il gregge ad abbeverarsi ad una fonte d’acqua, per evitare di essere preso per un nemico che voleva occupare il territorio, si andava dal responsabile di quella comunità per chiedergli l’autorizzazione a farlo. La storia dice che questo modo di relazionarsi, anziché creare opposizione, cioè percepire l’altro come nemico, quando mi presento come uno che vuole stabilire con te una connessione, questo favorisce la mia stessa vita, favorisce la prosperità della mia e, quindi, della vita di quella collettività che si allarga sulla base di una relazione così pensata».

«Questo tema – ha aggiunto il Vescovo – era presente nell’Antico Testamento recuperato dalle vecchie ed antiche scuole di pensiero come tutto quello che era stato scritto nel codice di Hammurabi. Nel Nuovo Testamento, nell’esperienza di Gesù, la pace diventa addirittura un bene messianico. Cioè, la pace diventa quella stabilità dentro un contesto che non è possibile pensare diversamente se non in un contesto di relazioni, di carità, di agape, dentro un contesto di unanimità. Allora, il bene messianico della pace è uno stimolo a costruire ciò che crea relazioni che, alla fine, fanno stare bene tutti quanti noi».

«La pace – ha concluso monsignor Parisi – la vedrei così ed anche nel dibattito tra Creso e Ciro, lascerei stare pure la parola guerra, non la utilizzerei per le cose negative che evoca e che purtroppo porta giorno per giorno dentro le nostre case. Diventiamo costruttori di pace, dentro noi stessi, in una relazione riuscita con noi stessi e relazioni vere, calde, belle di amicizia con l’altro, e ci sarà la prosperità».