8 settembre – L’imprenditore Antonino de Masi ha affidato al “Corriere della Calabria” un amaro sfogo e un vibrante appello sulla situazione sempre più drammatica in cui sta finendo la Calabria, una terra che il coraggioso imprenditore antimafia della Piana ama incondizionatamente. È un messaggio che tutti i calabresi devono conoscere e, magari, condividere. È un messaggio accorato, ma racchiude qualche speranza: «La nostra rabbia – dice De Masi – diventi la nostra risorsa per dare un futuro ai nostri figli, in questa magnifica terra».
«Quale autunno ci dobbiamo aspettare, quante e quali foglie cadranno? Foglie che metaforicamente sono rappresentate dalle speranze di un territorio e della sua gente. Certamente la nostra regione ha già perso, temo definitamente, quelle foglie rappresentate dai giovani costretti ad andare via. Quanti ragazzi pieni di speranze hanno lasciato e stanno lasciando questa terra? tantissimi, troppi. Assieme ad essi abbiamo perso anche quel poco di speranza che rimaneva nella crescita, nello sviluppo e nel lavoro.
Abbiamo perso l’illusione delle tante promesse fatteci di grandi cambiamenti, di sogni, di prosperità.
Abbiamo perso la speranza di non vedere più morti ammazzati per le strade, di una terra affrancata dalla criminalità.
Abbiamo perso la speranza di essere uomini e donne libere dai potenti “padrini e padroni” che hanno ammazzato e distrutto questa terra.
Abbiamo perso la speranza di vivere in un luogo civile dove il “sistema paese” funzioni, dove vi sia una sanità che funzioni con un minimo di decenza, dove vi siano strade ed infrastrutture accettabili.
Abbiamo perso la speranza di avere una classe politica che abbia come unico scopo il bene collettivo e non certo quello delle proprie tasche o, peggio ancora, degli interessi di malfattori e criminali.
Queste sono alcune foglie che il tempo ha fatto cadere in modo irreversibile dall’albero della nostra terra.
Diversi critici hanno spesso descritto la Calabria come una terra persa, suscitando le contestazioni e lo sdegno di molti. Si è gridato all’offesa ed alla denigrazione di un territorio. Tanti pseudo intellettuali, ieri come oggi, hanno rappresentato la “fiaba” di una mafia buona con dei codici d’onore e quindi rispettabile, che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ed una mafia nuova costituita da criminali. Si è cercato e si sta cercando di giustificare un fenomeno, distinguendo tra vecchio e nuovo, che ha alla base un unico elemento: essere organizzazioni barbare e criminali, in cui la sopraffazione e la violenza costituiscono il modo di agire.
Altro che nobili principi. Sono la criminalità e le sue organizzazioni che hanno rappresentato e rappresentano la causa principale dell’arretratezza culturale ed economica di questa terra. Come può un popolo sottomesso a tali organizzazioni essere libero di esprimersi, di agire e di creare prosperità per sé ed il prossimo? Come in contesti come questi si può esprimere un libero voto e quindi eleggere dei rappresentanti che rispondano ai bisogni reali di un popolo e di un territorio libero? La povertà – spesso anche morale – e la disperazione che ci circonda sono la drammatica risposta a queste domande.
La rassegnazione che ha portato ad una forma di omertà più o meno spinta, ed a volte a forme degenerate di collusione, ci ha progressivamente messo nelle condizioni di vivere ed accettare come normale “il male”.
Siamo purtroppo un popolo ed una terra persa, abbiamo perso la voglia di combattere, abbiamo perso l’orgoglio di essere calabresi, abbiamo perso la speranza. Ci siamo assuefatti ad essere “puzzolenti” portatori di male, ad essere trattati con disprezzo come “calabresi”.
Queste sono le foglie, le speranze, che sono volate via dall’albero della nostra vita.
Ci sarà mai una primavera interiore che possa far ricrescere quelle foglie?
Certamente no se aspettiamo gli altri, certamente no se speriamo che arrivi un cavaliere straniero con la bacchetta magica e risolva i nostri problemi. Certamente no se ognuno di noi continuerà a far finta di non vedere e sentire. Certamente no se non comprendiamo un elemento essenziale: che il nostro domani, il domani dei nostri figli, sta proprio nella nostra determinazione “combattere” per il nostro futuro. Oggi dobbiamo tutti capire che se non mettiamo al centro della nostra vita questo elemento essenziale non avremo mai un domani. Oggi dobbiamo riappropriarci del diritto dovere di essere parte di un sistema “pubblico”, di una società civile che ha proprio nell’interesse collettivo la ricchezza di ognuno.
Dobbiamo capire che una società civile, un sistema sociale ha nel suo essere e vivere insieme un elemento essenziale del proprio sviluppo; il bene pubblico, collettivo, rappresenta quindi la base di una società non solo moderna, ma funzionale e positiva che genera ricchezza. La piazza, la strada, l’ospedale, l’aiuola, sono beni di tutti, proteggiamoli. Ed un bene pubblico primario, che è il pilastro della società civile, è la legalità. La legalità infatti distingue una società evoluta, civilizzata, che punta per mezzo del rispetto delle regole (le leggi) alla prosperità. La legalità è quindi un bene pubblico e ciò dovremmo capirlo e fare di tutto per tutelarla.
Impariamo a vivere insieme rispettandoci, non solo con i sorrisi ed i saluti, ma rispettando anche noi stessi, vivendo dentro quei valori che garantiscono la nostra prosperità. Dignità, orgoglio, onore sono valori che sono insiti in ognuno di noi, in ognuno dei tantissimi – la stragrande maggioranza – calabresi per bene, risvegliamoli e giriamoci le maniche facendo quello che serve per far rifiorire le nostre speranze e – cosa principale – quelle dei nostri figli.
Solo da noi passa il riscatto della nostra terra e non certo dagli altri.
Questa credo possa essere la base della primavera che può far ricrescere le nostre speranze. Non più l’aspettare che altri facciano per noi, ma un mettersi in discussione per divenire attori principali del nostro domani, parlando di sviluppo, di lavoro, di legalità e di prossimo.
Occupiamoci, chiedendo conto, delle strategie sull’area industriale di Gioia Tauro, dove in altre sedi in questi momenti stanno discutendo il destino anche dei nostri figli. Cerchiamo di capire che il Porto non è solo un’attività produttiva come tante, ma può diventare invece con il lavoro che genera uno strumento di riscatto dalla criminalità.
Chiediamo e pretendiamo la prossima nomina all’Autorità portuale di persone competenti che abbiano al centro il solo interesse collettivo, e pretendiamo di conoscere i criteri di assegnazione dell’utilizzo di banchine a player che vorrebbero investire su Gioia Tauro.
Insomma rappresentiamo a tutti che il lavoro e lo sviluppo sono gli unici strumenti che possono sconfiggere la criminalità, liberando un territorio e la sua gente dalla sopraffazione criminale. Il lavoro in questa regione rappresenta, più che in altri territori, uno strumento di legalità, una politica per marginalizzare e sconfiggere un male, un fenomeno, che da decenni condiziona il futuro di questa terra e dell’intero Paese.
Chiediamo conto di tutte le positività e delle opportunità che ha questa Regione, dal Pollino sino allo Stretto, e facciamole diventare risorse; facciamo diventare risorsa la nostra rabbia, il nostro disperato bisogno di dare un futuro ai nostri figli in questa magnifica terra, diventiamo risorsa noi stessi e con rinnovato orgoglio diciamo “siamo Calabresi”». (rrm)