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L'intervento di Luigi Maria Lombardi Satriani

Addio a Luigi Maria Lombardi Satriani, studioso delle tradizioni

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Professore, mi dica, cos’è il vuoto che provo a quest’ora? È dolore, forse? Non lo realizzo, eppure mi stringe il petto. Mi soffoca.

Cos’è la morte, professore? È un viaggio? Un rito? Una tradizione antica? Una maschera apotropaica che nasconde il volto dell’uomo? E’ forse l’antropologia della natura umana? O è lo sforzo di una tesi che la vita chiede a ognuno di scrivere e con una propria struttura personale?

Occorrerà del tempo affinchè possiamo dare risposte a queste faticose domande, ma sono certa che i suoi indirizzi ci aiuteranno a non smarrire nulla di noi. Neppure davanti alla certezza della morte, difronte all’incertezza della vita.

Da lei ho imparato bene cos’è il centro del mondo per l’uomo. Cosa significa per ognuno di noi avere un centro in cui stare, un paese da cui partire e a cui ritornare. Ecco, oggi lei ritorna, professore, e per non ripartire mai più. Ritorna a San Costantino per restare qui, nel suo primo e unico centro del mondo.

Entrammo in contatto, per la prima volta, quando avevo nove anni. A scuola mi fu dato da leggere Fiabe calabresi e Lucane, lo stesso libro che contemporaneamente a lei mi metteva sulla strada di Saverio Strati. Lo avevate scritto assieme, lei lo avevo curato, Strati tradotto. Fiabe intrise dal sapore della nostra terra, della nostra storia, della nostra identità, che la tradizione orale aveva fatto arrivare fino a voi, e che in un libro consegnavate alla mia e alle generazioni future. Il sapore di allora che riprovo uguale anche adesso. Un’altra volta ancora. E che sa di ciliegie di ferrovia.

Va via di Maggio, professore. Come se questo mese lo avesse scelto apposta. Per stare al centro di quel ‘900 intellettuale di cui è stato un saggio curatore, ma anche un egregio ed energico conservatore. D’Aprile era già andato via Saverio Strati, di Giugno partiva Corrado Alvaro. Il mese di mezzo, dunque, restava il suo. Come non poteva essere illuminante anche in questo! A ognuno il suo tempo.

Dichiaratamente in lutto per lei, tutto il mondo accademico, culturale e letterario italiano. Ma più in lutto di tutti siamo noi calabresi, professore. Vestita a lutto è la sua San Costantino di Briatico. Il suo piccolo paese che sempre ha portato con sé fino in Europa. Come un fiore nell’occhiello, un fazzoletto bianco nel taschino. Con i suoi studi, i suoi libri, le sue attente ricerche, la sua operosità intellettuale, il valore dei riti, dei miti, dei racconti e delle leggende.

La immagino continuare le sue orazioni, magari con l’amico Mimmo Carratelli, discutendo di torri di difesa e Codice, o con Mario La Cava, nel nome del quale circa un mese fa, in quel di Bovalino, riceveva l’ultimo prestigioso premio alla sua mirabile carriera.

La Calabria perde un grande uomo. Una delle ultime voci narranti del ‘900. L’Italia perde un sommo intellettuale, l’antropologo sopra l’antropologia, il professore illustre, l’ultimo vero illustratore della civiltà contadina, il custode premuroso e garbato della pietà popolare. Io perdo un maestro, un grande amico. Il riferimento perbene delle mie radici. Il mio antropologo di fiducia in questa società complessa.

“Ti voglio bene come una figlia” mi diceva. “E io ti voglio bene come un padre, professore”. Ho ancora davanti agli occhi, più vivi che mai, i nostri giorni a Sant’Irene, con sullo sfondo il mare di Ulisse, quando lei dettava e io scrivevo la prefazione al mio libro dedicato al suo amato poeta Franco Costabile, o quando volle concedere a me e a mio figlio, l’intervista in esclusiva su Natuzza Evolo. Quelle riprese saranno presto un omaggio alla sua grandezza e a quella della mamma di Paravati, a cui oggi affido la sua anima. E’ una promessa.

Sono accese come un panetto di luna, nel ricordo, le mie visite nella sua casa baronale di San Costantino in cui mi ha sempre accolta come una figlia, appunto. Tra i libri, in mezzo alla storia edificante della nostra Calabria, al cospetto dei giganti Mata e Grifone, a perdifiato tra i perpetui scrigni della tradizione popolare a cui è sempre stato devoto, e verso cui mi ha insegnato a dover essere sempre fedele. Fu lì che mi accolse la prima volta, e sempre lì che l’ultima mi disse: “Vai sempre avanti. Sono orgoglioso di te”.