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Il prof. Franco Romeo

Calabria in lutto: la scomparsa del cardiologo Franco Romeo

di PINO NANO – È morto Franco Romeo, il cardiologo che il mondo invidiava alla Calabria. Franco Romeo era una icona della medicina moderna, uno dei grandi padri della cardiologia europea, e la qualità che più lo contraddistingueva rispetto a tanti altri figli di Calabria sparsi per il mondo era questo suo legame viscerale con Fiumara di Muro, suo paese natale, dove era cresciuto insieme a Mino Reitano.

Il noto e apprezzato cardiologo, 71 anni, è spirato questa notte al Policlinico di Tor Vergata: pochi mesi fa aveva scoperto di avere il cancro. I funerali si svolgeranno domani sabato 13 gennaio a Roma alla Basilica di S. Spirito in Sassia.

Professore Straordinario di Cardiologia chiamato per chiara fama dall’Università UniCamillus di Roma, Franco Romeo è stato Professore Ordinario di Cardiologia a Tor Vergata dal 2000 al 2020, Direttore della Cattedra di Cardiologia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Direttore della Scuola di Specializzazione della Cattedra di Cardiologia, e Direttore della Unità Operativa Complessa di Cardiologia e Cardiologia Interventistica UTIC del Policlinico Universitario di Tor Vergata. Ma era anche Adjunct Professor of Cardiology all’Università dell’Arkansas, dopo essere stato autorevolissimo Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia negli anni 2011-2014.

Alle spalle Franco Romeo vantava mille incarichi universitari diversi, mille riconoscimenti ufficiali importanti, mille successi legati alle sue ricerche sul campo, un ricercatore di razza, un cardiologo punto quattro, un medico che già immagina cosa sarà anche per il suo lavoro l’Intelligenza Artificiale, insomma uno specialista che guarda al futuro.

Nel 2013 il Presidente della Repubblica gli aveva consegnato la Medaglia d’Oro al merito della Sanità Pubblica, e per la sua famiglia era stato un giorno davvero speciale.

L’America era stata una tappa fondamentale della sua carriera, stagione della sua vita davvero esaltante e che lui ricordava in questo modo: “L’America era il mio sogno adolescenziale. A Fiumara di Muro, in Calabria, molti avevano lasciato la propria casa per emigrare ed erano finiti in America, e quando tornavano dall’America pareva che tornassero dei vincitori, dei campioni di vita. Era l’altra faccia dell’emigrazione. E da ragazzo io sognavo di poter un giorno andare in America a fare cose che in Italia non avrei potuto fare, un sogno davvero, ma che nel mio caso definisco realizzato in pieno. In America ho imparato i segreti della cardiologia nucleare, e di cui in Italia ancora non sai sapeva proprio nulla, allora capirà meglio cosa è stato il mio Grande Sogno Americano. E quando le parlo della cardiologia nucleare, le parlo naturalmente delle prime scintigrafie cardiache, delle prime risonanze magnetiche al cuore, di un futuro insomma che stava allora nascendo nel mio centro di ricerca e di cui pochi al mondo erano allora a conoscenza”.

Un giorno gli chiesi in che modo lui vivesse questa sua condizione di scienziato di successo e lui sorridendo, con questa sua modestia innata che a volte ti lasciava sconcertato, mi rispose: “Non usi questo termine, la prego. Nel caso di un medico come me non si può mai parlare di successo. Semmai il termine esatto è il dato finale di una ricerca sperimentale. E fare ricerca, comporta tanta fatica fisica, soprattutto anni e anni di studio e di applicazione, di prove e di controprove, di esami che non finiscono mai, e nel caso di una ricerca internazionale come quella che facevo io in America si trattava di confronti continui e severissimi con i massimi esperti della materia al mondo. La ricerca è la sintesi di mille relazioni personali diverse. Alla fine di una ricerca ti rendi conto che sei arrivato alla fine solo perché hai avuto la fortuna di misurarti con il gotha della medicina mondiale, e ricordo che nel mio centro di ricerca americano ho avuto il privilegio e devo dire anche l’onore di conoscere i massimi esperti della cardiologia giapponese, quella cinese, quella inglese, quella australiana, e non parliamo della scuola francese. Rapporti accademici fondamentali, che con il passare del tempo diventano anche rapporti personali di grande amicizia e di grande intimità”.

E uno dei temi a lui più cari ricordo era il riferimento costante ai suoi maestri: “Primo tra tutti il prof. Vincenzo Corsi, lui era stato il mio professore e sua volta era stato il primo allievo di Luigi Condorelli. Poi a Roma il prof. Attilio Reale, che era già allora il primo vero cardiologo moderno interventista in Italia. Da loro ho imparato che la cura del cuore è una scienza esatta e che un malato di cuore va curato e seguito con una dedizione assoluta, quasi religiosa. Con il prof. Attilio Reale in particolare ho vissuto lunghi periodi nell’istituto di chirurgia del Cuore Grossi Vasi Pietro Valdoni. I miei maestri internazionali sono stati il prof Michel Bertrand, con il quale ho trascorso a Lille nel Nord della Francia un anno e mezzo, e il prof. Nicolaus Schad a Monaco, dove ho approfondito i temi della cardiologia nucleare.E infine, il grande e indimenticabile prof. Jawahar L. Metha. L’ho conosciuto all’Università dell’Arkansas e lui mi ha chiesto di restare da lui per lavorare insieme. Un onore e un grande privilegio. La cosa bella è che io gli ho parlato così tanto della mia terra di origine che un giorno mi chiese di poterla visitare, e venne al mare da noi in Calabria portandosi dietro il suo bambino più piccolo. Un’estate bellissima. Pensi che lui ha poi scritto anche un libro di memorie personali legate alla sua vita professionale raccontando della magia che aveva vissuto da noi in Calabria. Credo che sia stata la prima volta per lui ad aver visto in un bar del paese quattro amici giocare a carte. L’Italia che gli ho fatto conoscere io in Calabria è l’Italia che sopravvive ancora in provincia e che gli americani non sanno neanche lontanamente cosa sia. Abbiamo lavorato insieme in maniera davvero straordinaria, e pensi che abbiamo firmato insieme almeno 70 pubblicazioni diverse. Un anno addirittura lui si prese la pausa sabbatica che spetta ai professori universitari per venire da me a Tor Vergata per capire come si lavora in Italia e a che punto era la ricerca avanzata in cardiologia. Sei mesi dopo se ne tornò in America pieno di nuove esperienze. Le sto parlando di uno scienziato che più volte è stato chiamato a far parte della Commissione giudicatrice del Premio Nobel”.

Franco Romeo era una enciclopedia vivente, nessuno meglio di lui conosceva il mondo internazionale della cardiologia, e i suoi amici più cari che a Roma sono soprattutto grandi medici, oggi che lui non c’è più ce lo raccontano come una eccellenza sanitaria internazionale.

Quando nel pieno della pandemia, tre anni fa, venne chiamato dal Presidente della Regione in Calabria per organizzare le operazioni di primo intervento i giornali lo chiamarono l’apostolo del Covid, per giunta catapultato in una regione dove i tassi di infezione erano altissimi e dove nessun vaccino sembrava poter risolvere o arginare la pandemia. E lui tornò in Calabria con la modestia dei grandi medici di una volta, quelli che prima di chiederti cosa hai lo intuiscono dal colore della tua pelle o dal tremore delle mani. Una presenza rassicurante, una icona di serenità in un turbinio di paure sospese per aria e di nevrosi malcurate o incomprese.

Questo è il Franco Romeo che la gente di Calabria ha conosciuto nella fase forse peggiore del Covid in Calabria.

Ma è lo stesso cardiologo che dal 2007 al 2013 era stato prescelto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, come valutatore del Programma Operativo Nazionale PON meglio conosciuto come “Ricerca e Competitività 2007-2013 per le Regioni della Convergenza”. È lo stesso Franco Romeo che viene chiamato a far parte del Consiglio Superiore di Sanità, ed è lo stesso Franco Romeo che nel 2016 viene chiamato ai vertici della Società Italiana di Cardiologia come Presidente per il biennio 2016-2018.Ed è lo stesso Franco Romeo che viene chiamato a rappresentare l’Italia come membro del Nominating Committee della Società Europea di Cardiologia. Motivo questo di vanto per la sua terra di origine, occasione di confronto scientifico ai massimi livelli per lui, e soprattutto orgoglio nazionale di una branca della medicina che in Italia ha sempre avuto grandi maestri.

Messaggi di cordoglio alle sue figlie, Alessia Silvia e Francesca sono arrivati da ogni parte del mondo. (pn)