L'ACUTA ANALISI DELLO SCRITTORE MIMMO NUNNARI SU UNA CITTÀ IN EVIDENTE CRISI DI IDENTITÀ;
Il Cavatore, simbolo di Catanzaro

SINDROME DI CALIMERO PER CATANZARO?
È LA CULTURA IL FUTURO DEL CAPOLUOGO

di MIMMO NUNNARI – C’è voluto lo spirito e l’intelligenza di Enzo Colacino, il regista e attore comico catanzarese lodatissimo interprete del Giangurgolo (“la maschera che dona il sorriso”) nei teatri di tutt’Italia, per sussurrare che Catanzaro ha bisogno “di essere amata, accarezzata, con la dolcezza negli occhi e l’amore nello sguardo”.

È questo il messaggio partito dalla Terrazza del San Giovanni durante le festività natalizie per la città capoluogo di regione caduta ultimamente in una specie di “sindrome di Calimero”, che consiste – come si sa – nella strana e assurda sensazione di essere incompresi da tutti, o di essere sfortunati in tutto. A un livello più profondo dietro a questo lamento-vittimismo che in verità prevale più in parte della classe dirigente e intellettuale catanzarese, anziché della popolazione, magari invece  delusa per altri motivi, si nascondono le insicurezze e la mancanza di fiducia di chi il futuro della antica città dei tre colli sarebbe chiamato a immaginarlo e disegnarlo, trovando con visioni ampie e nuove un modo diverso di guardare la realtà, che non può essere recintata – schiacciata – dentro le mura della città.

Personalmente, avendo radici a Reggio e avendo conosciuto bene per ragioni professionali le città di Catanzaro e Cosenza, ho sempre avuto l’impressione per esperienza diretta che la dimensione umana-caratteriale catanzarese sia una sua preziosa caratteristica.  La città la cui immagine è quella “magistralmente colta della cultura romantica” (cit. Rubino e Teti del volume Catanzaro) possiede un suo colore particolare: un’anima pulsante, generosa e accogliente. 

A Catanzaro, a cominciare dal giugno 1973, è avvenuta la mia maturazione professionale e umana. In quegli anni, ho incontrato una città che dal punto di vista paesaggistico può deludere o risultare gradita, secondo da come la si guardi o secondo le sensibilità di ciascuno ma che una volta superato il giudizio sulle valenze paesaggistiche è una città che va accettata e amata perché aperta, civile, ricca di umanità. Lavorando per alcuni anni nella redazione di Gazzetta del Sud, insieme al compianto collega Saro Ocera, impareggiabile cronista, ho vissuto nella Catanzaro che a quell’epoca contava e aveva contezza delle sue potenzialità. 

In politica c’erano leader ascoltati e stimati, anche a livello nazionale: Ernesto Pucci, Elio Tiriolo, Franco Bova (Dc), Mario Casalinuovo (Psi), giurista di fama, in quel momento presidente del Consiglio regionale, Aldo Ferrara, eletto presidente della Giunta regionale dopo la morte del primo presidente Antonio Guarasci. C’erano rappresentanze sindacali incarnate da appassionati leader: Anton Giulio Galati (Cisl), Quirino Ledda (Cgil) e Pasquale Poerio militante comunista diviso tra politica (è stato senatore) e movimento dei lavoratori e c’erano movimenti culturali e associazioni teatrali che animavano la vita sociale della città, seguiti a distanza da Mario Foglietti che lavorava a Roma nel cinema e in Rai. 

Il presidente del Tribunale Salvatore Blasco, figura di riferimento nel sociale e nella cultura, lavorava alla nascita del Consorzio Universitario che avrebbe dato vita alla Libera Facoltà di Giurisprudenza e a tutto il resto che poi è venuto. Quella Catanzaro “da vivere” mi è rimasta nel cuore e quando capita di incontrare qualcuno dei vecchi amici che magari non vedo da trent’anni, riprendiamo i discorsi di un tempo come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Di quella Catanzaro, se dovessi fare un appunto, ricorderei soltanto l’abbattimento di Palazzo Serravalle: un’operazione urbanistica sbagliata, che cancellò dalla storia architettonica della città un patrimonio artistico di un certo rilievo. Ci opponemmo, come giornale, a quello scempio, facendo anche leva sulle numerose e autorevoli opposizioni, ma fu inutile. Oggi i problemi di Catanzaro sono altri e sono nascosti come la polvere sotto il tappeto.

Sarebbe “imbarazzante difendere” ha scritto l’amico dei vecchi tempi Marcello Furriolo nella sua garbatissima replica al mio intervento dal titolo “perché sì alla seconda facoltà di Medicina in Calabria” a cui lui ha opposto il suo argomentato “perché no”. Marcello, che è stato politico di primo piano e per tre volte sindaco di Catanzaro e che è uomo coltissimo, ha scritto: “La città di Catanzaro in questi ultimi trent’anni è precipitata nel limbo del declino politico e sociale, toccando l’ultima posizione fra le città capoluogo di regione”.

Sarebbero dunque altre le priorità della città capoluogo, che sembra si stia invece cucendo addosso l’immagine di città lagnosa, quasi rancorosa, come può essere apparsa con le veementi prese di posizione in relazione alla nascita della facoltà di Medicina all’Unical di Cosenza. Non è questa la Catanzaro che abbiamo conosciuto e che oggi soffre di mancanza di leadership. Appare città fuori dal tempo quando reclama il trasferimento della sede del Consiglio regionale da Reggio, tentativo pericoloso di riaprire la pagina dolorosa di una storia triste, che ha lasciato ferite aperte, ancora non del tutto rimarginate. Una pietra, sopra quella vicenda, che ancora pesa e molto sulle spalle della Calabria tutta, era stata messa nel lontano luglio 1997, con la visita dell’allora sindaco di Reggio Italo Falcomatà a Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro.

A palazzo de Nobili i due sindaci sancirono emblematicamente la fine dell’assurda contrapposizione tra due città che avevano bisogno di fare rete più che essere rivali, che erano, entrambe, vittime di uno Stato storicamente incapace di governare in Calabria. Serve, a Catanzaro – torniamo alla questione della facoltà di medicina – opporsi, con argomentazioni un po’ grossolane, a un progetto che arricchisce il territorio regionale tra l’altro in un settore [la sanità] che sarà vitale per il domani di tutti? Serve, riaccendere periodicamente il fuoco della polemica sulla sede del Consiglio regionale? Sede, stabilita in uno Statuto approvato durante la presidenza di uno dei figli più autorevoli di Catanzaro come Mario Casalinuovo?  L’impressione che si ricava è che chi guida le “lamentele”, termine sinonimo delle “lagnusie” sciasciane, lotta non per il progresso di Catanzaro, ma perché la città non retroceda, non perda qualcosa che ha, mentre dovrebbe impegnarsi perché assuma definitivamente il ruolo guida che le compete per rilanciare e riscattare tutta la Calabria.

È sintomatico che l’invito a rimboccarsi le maniche e guardare al futuro di Catanzaro venga dalla cultura, più che dalla politica. La rassegna “A farla amare comincia tu” diretta artisticamente da Antonio Pascuzzo che ha avuto il suo clou col concerto di Vinicio Capossella nel solenne scenario della Basilica dell’Immacolata è il titolo di un “manifesto” per il domani, una filosofia esattamente contraria al campanilismo “intellettuale” senza senso che significa attaccamento esagerato e inutile al campanile della propria città. Purtroppo, questa malattia – il campanilismo – attraversa tutta la Calabria, regione che si distingue per la sua antica frammentazione territoriale. Non è amore per la propria città il veto alla facoltà di medicina ma è piuttosto ostilità preconcetta verso altre città o paesi, verso tutto ciò che  appare diverso. Non è un atteggiamento maturo il campanilismo, non è attaccamento alle tradizioni e alle storie diverse che, se messe insieme, rappresentano una ricchezza, non una debolezza.

L’attaccamento devoto per il proprio campanile e per tutto ciò che è a esso collegato, nel mondo ormai globale, viene interpretato come un esasperato provincialismo, un attaccamento al proprio pezzo di terra, con caratteristiche rionali Di tutto ha bisogno la Calabria, meno che riaccendere la fiammella del municipalismo e del campanile. Questa regione ha davanti a sé un’occasione storica: il fondo europeo per la ricostruzione, che rappresenta l’occasione per riagganciare la Calabria al resto del paese:  necessità imprescindibile sul piano geopolitico per ridisegnare il futuro. 

Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio e Vibo tutte insieme agli altri 399 comuni debbono scegliere tra guerre assurde e pace capace di trasformare la Calabria da terra ultima a terra protagonista dell’Italia proiettata nel Mediterraneo. (mnu)