;
Paolo Portoghesi e la "sua Catanzaro"

Paolo Portoghesi e la “sua Catanzaro”

di FRANCO CIMINO – È morto oggi, Paolo Portoghesi. Il geniale architetto di levatura internazionale, cui la Città in passato aveva affidato le grandi ambizioni di rinascere grande su altrettanto grandi progettualità, si è spento a Roma, dopo una vita intensa impiegata tra pensieri alti, progetti straordinari, cantieri enormi, studi eleganti e aerei che lo trasferivano rapidamente in quella parte, non piccola, del pianeta, che il suo genio creativo chiamava ad applicarsi in quelle, le più diverse, realtà.

È, questa, una perdita enorme per l’Italia, per la sua cultura e per quell’immenso laboratorio di creatività che, soprattutto dal dopoguerra, ha rappresentato, con il manifatturiero, il fiore all’occhiello del Paese, la risorsa che l’ha fatto diventare più importante e apprezzato ovunque. Catanzaro, pur tra errori, che non sono i suoi, e qualche scelta non completamente condivisa, gli deve tanto. Gli deve molte sue idee, anche quelle purtroppo rimaste nel cassetto. Gli deve la sua abnegazione e la sua infaticabilità, tanto resistente alla fatica e tanto disponibile egli era. Disponibile all’ascolto, in particolare.

Di tutti, disponendosi umilmente al confronto con i rappresentanti della politica e con i semplici cittadini, con gli operatori economici e con gli studenti, quando essi “gli venivano” accompagnati nelle sedi delle discussioni alte riguardanti il futuro del capoluogo. Gli deve la sua idea moderna del capoluogo, idea non compresa da una classe politica per larga parte incolta e inadeguata. E la sua visione strategica che assecondasse la naturale capacità di apertura della Città al territorio circostante, e la sua, anch’essa naturale, propensione al raccordo territoriale, culturale e politico, prima ancora che economico e urbanistico, con Lamezia Terme. Gli deve la sua profonda conoscenza della nostra realtà urbana, non soltanto urbanistica.

Con i suoi mezzi professionali, le sue altezze scientifiche, la sua intelligenza straordinaria, il suo esercito di collaboratori, gli sarebbe bastato pochissimo per disegnare su quegli enormi lenzuoli di carta i volti via via diversi del nostro spazio fisico vitale. Ma Portoghesi, non si accontentava di quelle certezze acquisite facilmente o della sua enorme competenza. Sentiva il bisogno di conoscere di più, entrare nella profondità delle cose, della realtà studiata. Del luogo affidatogli. Egli pensava, più convintamente di altri suoi colleghi, che il territorio non fosse solo un fatto orografico, ma Terra, che ha storia pulsante, anima antica, vita che si rinnova, come fa con ciò che vie é piantato. Pensava che urbanistica, non fosse edilizia, aree edificabili, progetti fisici da realizzare.

Pensava, invece, che fosse il disegno umano dell’anima delle cose, per la vita delle cose e delle persone, che per stare bene insieme, avevano bisogno di un habitat che sapesse rispettare il più felice dei rapporti, quello tra natura e cultura, territorio e persone, cose materiali e storia delle comunità. Rapporto felice, che sappia tenere insieme passato e presente, nel progetto umano più ambizioso, costruire il futuro. E il progetto “politico” più alto, consegnare la Terra, i luoghi antropizzati, i paesi piccoli come le grandi città, più belli e più sicuri di come erano stati ereditati. Catanzaro deve a Portoghesi l’amore per la Bellezza e il suo sforzo di cercarla anche qui da noi. E di riproporla dopo averla trovata. Lo sforzo, diffuso in tutto il mondo, anche di insegnare, se mai la si possa insegnare, la Bellezza.

Di certo, di educarci al valore incommensurabile, fonte di gioia vera, di questa ricchezza, apparentemente astratta, ma che invece puoi carezzare con la mano, toccare con gli occhi, rubarla con i cuore, lasciandola lì, intatta, dove si trova, affinché tutti la possano “rubare”.

Catanzaro deve a PaoloPortoghesi (così detto tutto attaccato) l’affetto profondo che aveva per noi, come comunità. Per noi, come realtà urbana. Era davvero affezionato a questi “tre colli”. Perché gli ricordavano i setti su cui era adagiata la sua Roma? Perché i territori che si muovono su quei flessuosi saliscendi sono belli e accattivanti per natura? O perché, a un colpo d’occhio Catanzaro tocca i suoi monti, quelli della Sila Piccola, e con un lancio leggero di mano carezza il suo mare, come io stesso vado “predicando” da mille anni? Come posso dire, se non l’ho mai incontrato a tu per tu, e mai l’ho potuto interrogare sul tema? Il professore, ovvero la sua “ profonda” conoscenza, mi ha però agevolato in questo distacco fisico, di cui sempre per carattere mi servo per non allungare la fila dei soliti “affezionati” dei potenti immobili in adorazione opportunistica.

Ché conoscerlo, era facile anche da lontanissimo tanto era esplicita la sua personalità sensibile e tanto comprensibile il suo pensiero profondo parimenti ai sentimenti veri, apparentemente nascosti dietro il carattere discreto, riservato, forse timido, che a molti, probabilmente, dava l’impressione di una certa altezzosità aristocratica.

Catanzaro gli deve, infine, l’attesa di una risposta sulla domanda mai posta, benché lungamente sussurrata. Riguarda la sua opera più importante per noi, una tra le sue più importanti in generale. Riguarda il perché di quello stile, di quel volume, visibilmente contrastante con l’antichità del luogo e del cinema antico, diciamo, di cui il suo nuovo Politeama ha preso il posto. La risposta, ove mai servisse, la dia ciascuno a sé stesso,non essendo più questo argomento neppure tema della Politica. Quell’edificio sontuoso resta, come sua preziosa memoria, come firma altissima di un grande architetto.

Resta come tendenza alla modernità e filo sottile che lega indissolubilmente memoria e futuro, stili architettonici classici e innovativi, pure quelli positivamente contaminati da culture non lontane della nostra. Resta come evento attrattivo del fascino del Capoluogo, oltre che come teatro tra i più grandi e belli d’Italia. Resta come monumento alla grandezza del genio umano e come atto d’amore di un genio che l’ha realizzato. Amore che io sento da qui di potergli ricambiare, e grato, a nome di tutti i catanzaresi che amano questa nostra Città e che, maggiormente, credono nel ruolo guida che essa potrà esercitare nella e per la Calabria che voglia finalmente crescere in Bellezza.

E in cultura che la esalti, la difenda, la valorizzi, la Bellezza, trasformandola in ricchezza, anche economica, per tutti.