;

Siamo quello che mangiamo: è un fatto culturale

di PINO CINQUEGRANA – Mangiare come qualsiasi fatto culturale. Il cibo, da sempre, è motore delle relazioni umane come dimostrano le numerose fiere e food meeting che tendono non solo a promuovere la genuinità del prodotto ma anche un insieme di storia e cultura dei luoghi di provenienza. Già nel XIX secolo Alexandre Grimod de La Reyniere parlava di giornalismo enogastronomico grazie alla pubblicazione, nel 1803, di “L’Almanach des gourmands” un mix di storia, ricette, consigli sui prodotti alimentari, corredato da lettere di lettori.

Un’altra pietra miliare è quella di Anthelme Brillat-Savarin, autore della “Fisiologia del Gusto” (1825), un esperimento letterario al confine tra genere scientifico e filosofico. In Italia, dove la povertà e l’agricoltura la facevano da padrone, la cartellonistica pubblicitaria comparve solo tra fine Ottocento e inizio Novecento grazie al livornese Cappiello, inventore del personaggio – idea “Il cameriere arrampicato sul lampione” per Bitter Campari. Il cibo, pertanto, è linguaggio, è un mezzo di comprensione del mondo attraverso il quale possiamo comunicare è un linguaggio non verbale che ci permette meglio di quello verbale di «svelare emozioni e sentimenti».

Lévi-Strauss, etnologo e antropologo francese, è stato il primo a definire il rapporto tra cibo e linguaggio, dove il cibo rappresenta le parole e le relazioni corrispondono alla struttura sintattica del linguaggio. Quando si parla di cibo implicitamente comunichiamo una serie di informazioni che vanno dal luogo della coltivazione, alla stagionalità, al linguaggio alla preparazione, ai colori. Pertanto, gli alimenti non sono solo sostanze che contengono principi nutrivi, ma essi costituiscono il legame tra la natura e le finalità del cibo che va dalla sfera del sacro (votivo assumendo il contatto tra divinità e umano) a quello sociale-relazionale (matrimonio, anniversario, ecc.).

Per dirla con il filosofo francese Albert Camus: per conoscere un popolo devi sapere dove vive, come parla, come ama, come mangia. Il fuoco e il sole hanno determinato per secoli la cucina e i sapori del Mediterraneo identificabile quale mangiare gustoso, salutare e sensoriale di cui numerosi studi hanno trattato in modo settoriale le diversità tra quanto preparato dalla gente della costa o della collina quanto della montagna seguendo antropicamente i principi della pesca, della pastorizia, degli orti che nell’antica Grecia godeva persino della divinità Poma.

A partire dal V sec. a.C. il pesce diventa il piatto principale. Durante i banchetti si consumavano olive, formaggi, vari tipi di verdure, dolci, frutti squisiti come fichi e mirto, carni di tutti i tipi e selvaggina. Vera e propria ghiottoneria era il garon, una salsa piccante che si otteneva facendo macerare insieme piccoli pesci di mare interi (a sadeja). Secondo Artemidoro, se un ammalato sognava di farne una scorpacciata di cipolla significava che sarebbe guarito dalla sua malattia. Da Plinio a Dioscoride ne sono lodate le virtù curative: mangiarle con sale e pane a colazione aiutava a proteggersi dalle malattie del freddo.

Bere l’infuso preparato con cipolle crude mandava via i vermi. Mangiate con mele e zucchero giovavano agli asmatici e a chi aveva la tosse. Nella lettura ippocratica molti cibi sono dannosi per le vie biliari (formaggi invecchiati, vini densi, carne troppo salata); altri hanno un effetto benefico sull’organismo (la carota e il sedano sono diuretici, alcune verdure sono rinfrescanti, il vino rosso è astringente, l’idromele fa bene alla gola).

Dall’altro lato, Galeno consigliava un’alimentazione ricca di vegetali, pesce ed olio come condimento, perché salutari per l’organismo. In entrambi è chiara una sorta di determinatio alimentare che attraverso la dieta porta al benessere psico-fisico. Dieta (diaita = modo di vivere; nel secondo significato, dal latino: dies =giorno).

In sintesi: il modo di vivere quotidiano. Digiuno (ieiunum ovvero astinenza dal cibo. Astenersi volontariamente o per precetto religioso dal cibo o da alcuni tipi di cibo per mortificare il corpo). Nei diversi paesi di Calabria il digiuno è rilegato alla festa dei santi: San Nicola, San Giuseppe, Santa Lucia, Immacolata. Il digiuno del Carnevale, della Quaresima, per la Vigilia di Natale, per il Venerdì Santo. Brodi di ceci, grano cotto (purgia), granturco, fave tostate, fichi secchi, miele, formaggi, verdure saranno la nuova abbondanza della tavola per giorni o per settimane. (pc)