QUANT’È AZZURRA LA CALABRIA: MODELLO
PER LA VOGLIA DI CENTRO CHE HA IL PAESE

di SANTO STRATI – I congressi provinciali di Forza Italia che si sono svolti nei giorni scorsi in Calabria confermano una forte voglia di centro (moderato) e assegnano alla regione un ruolo importante nello scenario politico attuale. Che la Calabria fosse la regione più azzurra d’Italia si era già notato alle elezioni del 2022: se Forza Italia ha conquistato 22 seggi alla Camera (8,11%) e 9 al Senato (8,27%) lo deve soprattutto al sorprendente risultato calabrese: 16,25% al Senato e 15,64% alla Camera. Per intenderci, in Lombardia alle stesse elezioni il partito-non partito di Berlusconi superava di poco il 7%.

Cosa è che ha fatto diventare così “azzurra” la Calabria? Ma soprattutto come ha fatto questa terra, troppo spesso trascurata e dimenticata dal Nord ricco e opulento, a dare nuovo impulso a una formazione che, alla scomparsa di Berlusconi, sembrava inevitabilmente destinata all’estinzione? Pensateci bene: alla morte di Berlusconi gli osservatori politici più attenti presagivano una vera e propria fuga di parlamentari verso gli altri due partiti della coalizione, Fratelli d’Italia e Lega. Al contrario, non solo la fuga non c’è stata, ma l’ottimo lavoro di Antonio Tajani (su cui nessuno scommetteva un centesimo) ha fatto in modo di far ritornare l’orgoglio azzurro dei primi tempi dell’ex cavaliere, conquistando nuove simpatie nell’elettorato di centro destra.

Il segnale più evidente di questi congressi nelle cinque province calabresi, che hanno puntato sul territorio e hanno espresso nuovi – motivati – segretari provinciali, è la manifesta voglia di centro che l’elettorato (non solo calabrese) sta esprimendo, in un momento storicamente fallimentare per le politiche di partito alla vecchia maniera. Non è vero che non ci sia la voglia di fare politica, di partecipare, impegnarsi, ma i riscontri e le indicazioni (negative) che ogni giorno arrivano da maggioranza e opposizione, decisamente, scoraggiano ogni ardimento. Soprattutto i giovani, che mostrano più degli anziani una innata curiosità verso la politica, rischiano di venirne allontanati da atteggiamenti e polemiche giornaliere che sono una terribile cartina di tornasole per misurare la crisi della politica.

Intanto, c’è da dire che la tradizionale dicotomia destra-sinistra non ha più molto senso: negli ultimi trent’anni, dopo “Mani pulite”, la crisi della politica, intesa come schieramenti opposti ma in grado di dialogare, è esplosa in maniera irreversibile. Il risultato si tocca con mano guardando le percentuali del cosiddetto partito del non-voto. Scoramento, noia, rabbia hanno prevalso sulla passione politica e invitato gli elettori a disertare le urne. Con il governo di centrodestra della Meloni la sinistra (ma c’è ancora?) sta mostrando una debolezza estrema e l’incapacità di cogliere i segnali che arrivano dal territorio. La sinistra è diventata una sorta di partito d’élite che ha dimenticato le nobili origini e si diletta in abominevoli quanto inutili polemiche su chi (e non cosa) è “meglio” . Lo scontro dialettico ha lasciato il posto a insulti a volte velati e spesso mistificati da poco sottili ironie, senza poter offrire un minimo di contributo costruttivo. Il Paese va a rotoli (soprattutto per quanto riguarda i giovani, le donne, il lavoro – nonostante i tiepidi segnali di ripresa) ma si discute di aria fritta e si polemizza su qualunque cosa offra il pretesto per accusarsi a vicenda. Le cosiddette “armi di distrazione di massa”.

Il Paese non subisce né ha subito un governo di centro-destra: gli elettori hanno scelto democraticamente da chi volevano farsi governare, ma l’attuale momento con i fuochi di guerra che vanno dall’Ucraina al Medio Oriente meriterebbe un lavoro di squadra e non bisticci sul sesso degli angeli. Certo, allo stato, è solo utopia pensarlo, ma il Paese non vuole promesse e chiacchiere, ma provvedimenti seri in grado di cavalcare la crisi.

Questo governo, poi, va a corrente alternata: prima pensa di tassare i superprofitti delle banche, poi fa marcia indietro. Si ascrive una politica di welfare e per le famiglie, ma aumenta le tasse su pannolini e assorbenti (quindi penalizzando donne e famiglie). Annuncia roboanti misura per la crescita infrastrutturale, ma si perde nei vortici della burocrazia (la Zes unica che doveva partire il 1° gennaio è slittata – salvo nuovi impedimenti – a marzo) penalizzando imprese e deprimendo nuovi investimenti. Ma a queste defaillances della destra soprattutto meloniana (che ancora non ha deciso cosa farà da grande) non ci sono proposte serie, concrete, non si notano iniziative da parte dell’opposizione. E lo scenario della conservazione delle poltrone e del rispetto delle tradizionali cambialette elettorali (ancora in pagamento) si ripercuote sul Paese. Basti guardare alla scelta dei candidati per le Regioni che andranno al voto a breve. Una rissa continua, da una parte e dall’altra. Per non parlare, poi, della squallida messinscena della Giunta comunale di Reggio Calabria dove Falcomatà ha, alla fine, vinto la sua personale scommessa di potere sul suo stesso partito (il PD) che lo voleva fuori dai giochi. La partita – nonostante le accuse di antidemocraticità – gravissime, vista la provenienza – mosse dalla segretaria cittadina del PD, si è ricomposta non certo nel nome di un “volemose bene” a favore della città, bensì di una reciproca garanzia del mantenimento – fino a fine consiliatura – delle ricche prebende per assessori e consiglieri comunali. Scusate, ma bisogna dirlo: e quando gli ricapita?

In tutto questo, l’inaspettato segnale che arriva dalla Calabria, come Forza Italia, diventa un elemento cardine per gli scenari futuri: è stato presente a tutti i congressi provinciali il segretario nazionale nonché ministro degli Esteri Antonio Tajani il quale – è opportuno sottolinearlo – ha ben capito che dal Sud, anzi dalla Calabria, verranno indicazioni utili per una rigenerazione politica di un centro moderato. La cui guida – è ovvio – spetterebbe, con grave disdoro di Salvini e Meloni – a Forza Italia. È un segnale inequivocabile, quello della voglia di un centro moderato, non troppo vicino a nostalgie destrorse e a sogni leghisti di autonomia differenziata a danno del Sud.

Non dimentichiamoci che il presidente Occhiuto è di Forza Italia ed è un consumato politico, come di larga esperienza risulta il coordinatore regionale Francesco Cannizzaro. Se sanno cogliere l’occasione, saranno loro due i protagonisti di un crescendo importante dell’elettorato (azzurro) di centro. Per guidare la Calabria a diventare un modello centrista cui il Paese (quello che va a votare e non ama la sinistra) possa ispirarsi. (s)

L’OPINIONE / Alessandro Butticé: da Bruxelles grazie Azzurri, fratelli d’Europa

di ALESSANDRO BUTTICÈ – Non capisco nulla di calcio. E sono pochissime le volte che ho messo piede in uno stadio. Una di queste è stata per Italia ‘90, per vedere gli Azzurri.

Avevo il pass per la tribuna stampa. E confesso, non senza un po’ di vergogna, di averlo usato solo per assistere alla finale.

Chi pensa che la vittoria non conta non vincerà mai nulla

Non posso però esimermi dal riconoscere la grandissima carica emotiva che il calcio rappresenta nella nostra società.

Capace di diventare anche un impareggiabile aggregante. Al di là delle diverse differenze, ideologiche e di altro genere, che lacerano così tanto il nostro Paese. E non solo.

Non mi addentro nell’argomento. Non solo perché non è mio campo di gioco congeniale, ma anche perché sarebbe discorso complesso. Che richiederebbe maggiore spazio e tempo.

AzzurriMi limito a dire che ho pensato da subito che la finale degli Europei di calcio, a Londra, tra l’Italia, Paese fondatore dell’Ue, e l’Inghilterra della Brexit, avrebbe avuto un’impareggiabile carica comunicativa. Quella che travalica, come spesso accade, i nobili principi di De Coubertin, messi da tempo in soffitta. E lo dico col rammarico del vecchio schermidore, pur senza alcuna ingenuità.

Doveva essere evidente a tutti che la finale Italia-Inghilterra, nella capitale del Brexit, poteva trasformarsi nel trionfo dei sostenitori del primo (e spero anche ultimo) divorzio della storia dell’Unione europea. Ricordando che il grande Pelé ammoniva “colui che pensa che la vittoria non contanon vincerà mai nulla”. E questo mi preoccupava parecchio. Non solo per la spavalderia social dei vari giullari della Brexit, come Farage. Ma anche per l’annuncio dello scapigliato primo ministro britannico di proclamare un giorno di festa nazionale in caso di vittoria dell’Inghilterra.

Tifare per gli azzurri, un dovere di unità europea

AzzurriLa mia preoccupazione non era per l’impatto sui britannici, perché sono rassegnato al fatto che, purtroppo, io non li vedrò rientrare nell’Ue. Anche se spero possano rivederli un giorno i miei nipotini. Dopo che le più giovani generazioni avranno pagato il prezzo della scelleratezza dei politici avventurieri che, per fini esclusivamente personali e interni, hanno voluto la Brexit. Ottenendola persino con sorpresa. Come Farage, rimasto senza ragione di continuare a esistere politicamente dopo l’inaspettato divorzio.

Mi preoccupava invece, e non poco, l’impatto che una vittoria inglese, e quindi della Brexit, avrebbe avuto sui tanti “exiter” che aleggiano nel resto dell’Europa. Italia compresa. Passando per Germania, Francia, Polonia e Ungheria. Tanto per citare alcuni dei Paesi dove non manca il pensiero “sovranista” e nazionalista. Che nulla ha a che fare, come ricordava il Generale De Gaulle, con il patriottismo.

Il sostegno dall’Ue

Ho accolto quindi con grande soddisfazione la dichiarazione di sostegno agli Azzurri da parte della presidente della Commissione europea. La tedesca Ursula von der Leyen. Ribadita in sala stampa dal portavoce della Commissione, Eric Mamer, e dall’entusiasmo molto più mediterraneo dell’ex portavoce della Commissione europea, e oggi commissario europeo, il greco Margaritis Schinas. Che in un bel tweet ha scritto: “Fratelli d’Italia, Fratelli d’Europa. Forza Azzurri”.

L’Ue non poteva perdere quest’occasione unica e forse irripetibile, per provare a unire e non dividere, Stati ancora molto diversi, con interessi apparentemente ancora divergenti. Che alcuni vorrebbero amplificare, nascondendo i tanti invece molto comuni, e le tante conquiste e libertà raggiunte proprio grazie all’Ue.

Bruxelles tripudio di Tricolori

Gli italiani sono stati contenti di vedere che tutta l’Ue teneva per la propria squadra. E che nella capitale d’Europa, Bruxelles, era un tripudio di Tricolori. Con un sostegno pieno agli Azzurri, da parte di belgi e comunità internazionale, sin dopo l’onorevole sconfitta dei Diavoli rossi.

AzzurriI cittadini Ue che non hanno tifato per gli Azzurri sono stati un’eccezione. Rispettabile, ma che per fortuna non ha avuto peso.

Anche se personalmente ho registrato qualche individuale dissenso alla mia certezza che le istituzioni Ue, e i tifosi degli altri Stati membri, non potevano non tifare per la squadra che non rappresentava solo il proprio Paese. Ma anche tutta l’Ue. Dalla quale l’Inghilterra (anche se non Londra) aveva deciso di staccarsi.

Il dissenso dell’europeismo al caviale e dei radicali del politicamente corretto

Dissenso che mi ha un po’ rattristato, anche se non del tutto sorpreso, perché registrato in fasce che definisco di “europeismo al caviale”. E in altre del radicalismo del “politicamente corretto”. Che, da voltairiano convinto, e oppositore di ogni pensiero unico, aborrisco come ogni forma di integralismo.

Alcuni di questi hanno provato a darmi lezioni dialettiche sul proverbiale fair play inglese, che purtroppo non è pervenuto a Wembley. A causa dei fischi durante il Canto degli italiani (comunemente noto come Inno di Mameli o Inno nazionale), e dell’abbandono degli spalti prima della premiazione dei vincitori. Comportamenti che nulla hanno a che fare con lo sbandierato fair play. E che non hanno riguardato solo i presunti hooligan e le analoghe sottospecie umanoidi che esistono ovunque. Italia compresa. Ma la stessa Nazionale inglese, che si è vergognosamente tolta dal collo, con palese sdegno, la medaglia d’argento. E che ha persino coinvolto la Famiglia reale presente alla partita. La quale, non ha avuto la reale cortesia di andare a felicitarsi della vittoria con il nostro presidente della Repubblica.

A riprova, non solo che lo stereotipo del fair play, come tutti gli stereotipi, ha i suoi limiti, ma anche che quella partita, per l’Inghilterra come per l’Ue (anche se meno consapevolmente che per i Brexiter) era molto più di una semplice partita di calcio.

Agli amici europeisti da piedistallo e talebani del politicamente corretto, ricordo una volta di più quanto già scritto per Eurocomunicazione a proposito di Europeismo dogmatico e radical chic? Bisogna stare con in piedi per terra, lo scorso 13 febbraio.

Bisogna stare con i piedi per terra, se si vuole davvero difendere l’unità europea. E se si vuole davvero “parlare europeo” bisogna anche saper parlare il linguaggio della gente. Ricordandosi che l’Europa unita è di tutti. Non solo di chi ha avuto la fortuna, l’opportunità o anche soltanto il coraggio di sperimentare sulla propria pelle i benefici dell’unità europea. Vivendo come me, da oltre tre decenni, questa bellissima esperienza.

E per convincere gli euroscettici ed exiter vari delle nostre buone ragioni, e del fatto che non può esserci futuro per i nostri Paesi fuori di un’Europa unita, serve ogni mezzo comunicativo. Ma soprattutto un linguaggio comprensibile da tutti. Anche da chi quando non ha il pane non può sostituirlo con le brioches.

E quello del calcio e dell’inclusività che può generare, è un linguaggio di grandissima efficacia. I cui risultati sono incomparabili a qualunque campagna di comunicazione sull’Europa. Spesso un po’ troppo cervellotiche e criptiche per raggiungere anche il cuore e la pancia della gente. Oltre che il cervello delle solite élite che non hanno bisogno di essere convinte.

E quale migliore testimonial di Unione europea del tifo calcistico a supporto della squadra Ue che fronteggia, nella capitale del Brexit, la squadra del Brexit?

Quale migliore “parlare europeo”? Difficile per me capire chi non l’abbia ancora capito.

Gli azzurri hanno strappato agli exiter la Brexit Day

Grazie quindi agli Azzurri! Dalla parte più profonda del mio cuore di patriota italiano ed europeo. Sull’esempio di due grandi italiani ed europei. I presidenti Sergio Mattarella e Mario Draghi.

Assieme al ringraziamento di tutti i cittadini e tifosi dell’Ue per avere tolto a Boris Johnson il pretesto di trasformare una vittoria calcistica nel Brexit–Day.

Gli inglesi restano amici e parte fondamentale del nostro continente e della nostra storia. Ma hanno scelto loro, democraticamente, di abbandonarci. E devono assumersene le conseguenze, anche di fronte al tifo calcistico. Al quale non hanno risposto con il loro tradizionale fair play. Provando il declino, che auguriamo di arrestare, di una grande Nazione che ha retto la fiamma della democrazia in momenti cruciali della storia europea.

Un simbolico segno di elegante distensione é però giunto il 14 luglio proprio da Bruxelles, capitale dell’Ue. Con la visita congiunta dell’ambasciatore d’Italia, Francesco Genuardi, e del suo omologo britannico, Martin Shearman, allo stadio Heysel. Alla presenza del sindaco di Bruxelles, Philippe Close, si sono uniti in un momento di raccoglimento comune in memoria delle 39 vittime della finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool del 1985.

L’Ambasciatore d’Italia a Bruxelles, Francesco Genuardi, e quello britannico, Martin Shearman, allo stadio Heysel, in omaggio alle 39 vittime della partita Juventus-Liverpool del 1985.

I due Ambasciatori hanno voluto simbolicamente rendere omaggio alle vittime e alla città di Bruxelles che ospita le due Rappresentanze diplomatiche tramite la deposizione di una corona di fiori. “Rilanciando così – secondo una nota dell’Ambasciata d’Italia – il segnale di un’amicizia lunga nel tempo che unisce Italia e Inghilterra, accomunate dalla solidarietà e dal dovere della memoria verso le vittime dell’Heysel dalla medesima passione per il calcio e per lo sport”.

Sulla scorta del bel gesto dell’Ambasciatore Shearman, al piccolo Principe George, infine, va la mia carezza consolatoria di nonno per la sua tristezza. Con l’augurio che anche lui, un giorno non troppo lontano, assieme ai miei nipotini, possa nuovamente sventolare la bandiera europea. Magari durante un derby Ue Italia-Inghilterra, alla finale della Coppa del Mondo. (alb)

[courtesy Eurocomunicazione]