LIBERA: RACCONTARE IL BENE UTILIZZANDO
PATRIMONI E BENI CONFISCATI ALLE MAFIE

Un popolo variegato di associazioni, cooperative sociali, del mondo del volontariato dalla Lombardia alla Sicilia protagonisti della trasformazione da beni in mano alle mafie a beni comuni e condivisi.

In occasione dell’anniversario della legge n. 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, Libera ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati. In Calabria sono 149 le diverse realtà impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata in 43 comuni. Una rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, di creare nuovi modelli di economia e di sviluppo, di prendersi cura di chi fa più fatica. In Italia sono 1065(+7,4% rispetto scorso anno) soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli Enti locali, in 20 regioni, in 383 comuni.

Libera con la ricerca “Raccontiamo il bene” – Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie vuole raccontare, dopo ventotto anni, il Belpaese, dove in silenzio, opera  una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a  realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale.

Ritornando al Focus Calabria, dai dati raccolti attraverso l’azione territoriale della rete di Libera emerge che il 66% delle realtà sociali è costituita da associazioni di diversa tipologia (99) di cui 2 associazioni sportive, mentre sono 25  le Coop sociali e consorzi di cooperative pari al 16,3%. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, ci sono 13 realtà del mondo religioso (diocesi, parrocchie e Caritas), 5 fondazioni e 7 enti pubblici (tra cui aziende sanitarie, e consorzi di Comuni). Nel censimento non sono compresi i beni immobili riutilizzati direttamente per finalità istituzionali dalle amministrazioni statali e locali. Tuttavia per la Calabria possiamo fornire una stima dei beni mantenuti al patrimonio dello stato per fini istituzionali pari a 342 beni e circa 600 beni gestiti direttamente dagli enti locali. Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia di immobili gestiti dai soggetti gestori; in molti casi la singola esperienza di riutilizzo comprende più beni confiscati, anche di tipologia catastale diversa. Sono 72 i soggetti gestori che svolgono le loro attività in appartamenti, a volte con box auto o con dei piccoli giardini; sono 35 le esperienze di gestione di terreni a uso agricolo mentre sono 40 esperienze hanno in gestione delle ville fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale o singole palazzine  Sono 87 i soggetti gestori le cui attività che sono direttamente legate a servizi di welfare e politiche sociali  per la comunità; 50 si occupano di promozione del sapere, del turismo sostenibile e della cultura, 16 legate ad attività agricole e ambientali e 7 in attività sportive.

In occasione dell’anniversario Libera ha elaborato  i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 22 febbraio 2024) dove sono 22.548 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia(+14% rispetto al 2023) mentre sono  in totale 19.871 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Sono invece 3.126 le aziende destinate(+77% rispetto al 2023) mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione. In Calabria sono 3.137 i beni immobili (particelle catastali) confiscati e destinati mentre 1880 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Sul lato delle aziende,  sono 227 le aziende confiscate e destinate mentre sono 310 quelle ancora in gestione.

«Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109 – commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – con 1065 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati, possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità. Più di 500 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico e che incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva. Un’economia che tutti noi possiamo toccare con mano e che cambia radicalmente le nostre vite.

Poter firmare un contratto di lavoro vero, poter usufruire di servizi di welfare laddove lo Stato sembra non arrivare, poter costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro: tutto parla di un Paese che ha reagito alla presenza mafiosa e che con orgoglio si è riappropriato dei suoi spazi.

Dall’altro lato – conclude Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera- raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una  gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria. 

Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori». (rrm)

LA LETTERA / ArticoloVentuno: «Caro don Ciotti qui le coscienze ancora troppo sopite»

di ARTICOLOVENTUNO – Caro don Luigi Ciotti, grazie ancora una volta per la sua presenza a Cassano assolutamente non scontata, per le sue belle parole che prendono nettamente le distanze da una sottocultura che purtroppo anima una parte del nostro territorio e grazie a Libera per l’impegno che spende quotidianamente con il suo agire per mettere ai margini alcuni fenomeni mafiosi e paramafiosi.

La manifestazione ha rappresentato di sicuro un altro piccolo passo importante per ribadire il No alla criminalità organizzata, alla sua mentalità ed al suo modo di agire. Ma, come lei ci insegna egregiamente con la sua vita, ciò non basta.

È sempre più difficile, in pezzi di terra come il nostro, abbattere i muri dell’omertà, del silenzio e della sopraffazione.

Ritorna di nuovo a Cassano, nella città del piccolo Cocò, ma deve sapere che in questa terra, dalla sua ultima visita, purtroppo poco è cambiato. Le coscienze civili sono ancora molto, troppo assopite.

La manifestazione ha fatto emergere punti che chi ha responsabilità non dovrebbe sottovalutare, non dovrebbe nascondere come polvere sotto il tappeto, ma analizzare con assoluta lucidità.

Le manifestazioni sono l’arrivo di un percorso paziente e virtuoso e non la partenza, sono la sintesi e non la denuncia.

È l’esaltazione di ciò ch’è stato fatto e non il solito atto dovuto per accreditarsi patenti di legalità o di onestà.

Chi rischia la vita davvero ogni giorno, non può essere accomunato agli urlatori che sanno solo esaltare il nulla e lei ha fatto bene a marcarne le distanze, ma chi permette tutto ciò con troppa accondiscendenza, forse ora dovrebbe iniziare a riflettere.

Lei si è soffermato su una serie di concetti pedagogicamente preziosi, come quello del decifit etico, della sacralità delle Istituzioni che troppo spesso – a nostro avviso – è violentata in primis proprio da chi sarebbe deputato a difenderla, dall’assenza della buona politica che lascia spazio per affermarsi della cultura della mafiosità.

Guai a pensare che la mafia sia solo ciò che uccide e che lascia sul campo vittime, che spaccia o chiede il pizzo: c’è anche quella dei colletti bianchi che lei ha richiamato, della corruzione che spessissimo si annida in ogni angolo della società e fra i politicanti, di quei delitti ancor più difficili da scoprire perché appunto apparentemente non lasciano una scia di sangue.

E nella nostra terra, purtroppo, tutto ciò è forte e reprimente perché si serve di tanti fattori, fra i quali soprattutto della complicità e contiguità.

Fiumi di droga scorrono sulle nostre strade, l’illegalità e la mentalità mafiosa si radicano sempre di più e le passerelle ormai per la società civile sono considerate effimere ed alle quali ormai partecipano solo coloro che hanno sposato in pieno la logica di predicare bene e razzolare male.

Le prevaricazioni, la sopraffazione del prossimo, l’incutere paura, l’abuso ingiustificato del potere per piegare e mettere in ginocchio il dissenso, nel silenzio dei più, è ormai consuetudine.

Sempre più giovani da Cassano scappano perché non vedono opportunità e le poche che ci sono restano appannaggio di pochi privilegiati.

Diamo il proprio nome alle situazioni: si veda per esempio quello che è successo con i concorsi indetti negli ultimi anni.

Oppure quanto successo con lo scioglimento del consiglio comunale che, a distanza di anni, non ha suscitato alcuna vera discussione e la città non ha maturato un suo pensiero.

O come le recenti indagini degli inquirenti che hanno interessato larghe sacche della società ed anche uomini con cariche istituzionali e, ancora una volta, tranne qualche comunicato in legalese, nemmeno una parola sull’argomento.

Anche questo contribuisce ad aggravare il quadro della città e continuando a girarci dall’altra parte, rappresentando ai media una realtà falsata, di sicuro non facciamo il bene delle nostre comunità.
La gente ha bisogno di riscattarsi con le buone prassi e non con i comizi.

Molto bello il verbo educare che lei ha richiamato. Onestà e legalità sono valori nobili e senza tempo che oggi più che mai non serve gridare dai pulpiti, ma invece ognuno per la propria competenza praticare nel suo micro o macromondo quotidiano.

Caro don Luigi, affinché possa esserci davvero una nuova primavera per Cassano, dia dei compiti ai signori che rappresentano le Istituzioni, le agenzie educative, le associazioni sindacali che erano presenti in prima fila con le fasce e le bandiere a spellarsi le mani, e torni tra due anni ancora a verificare se quegli obiettivi prefissati sono stati raggiunti.

Il miglior antidoto per estirpare quella cultura mafiosa dal tessuto sociale resta l’esempio quotidiano di ognuno di noi, altrimenti c’è il rischio di non dare seguito, con i fatti, alle belle giornate come quelle dell’altro giorno e che tutto si esaurisca con lo spegnersi dei riflettori.

Solo così possiamo veramente avviare un percorso verso la normalità ed essere veramente Liberi. (av)

LETTERA APERTA / Francesco Sgambelluri: Le parole di Don Ciotti sul Ponte offensive

di FRANCESCO SGAMBELLURI – Gentilissimo e stimato presidente, mi onoro di far parte del Movimento politico “Equità Territoriale ” fondato dallo scrittore Pino Aprile. Io sono uno dei tanti figli di questa regione, la Calabria, che è rimasto a combattere per il proprio territorio, nonostante le avversità e spesso anche ai pregiudizi e l’abbandono istituzionale e infrastrutturale da parte di questo nostro paese.

Ringraziandola preventivamente per la sua opera meritoria contro tutte le mafie e sempre al fianco degli ultimi, per il grande coraggio dimostrato in più occasioni, condividiamo la sua battaglia in quanto quello delle mafie è uno dei più grandi mali che affligge l’Italia in generale. Vede il nostro Movimento nasce più o meno per gli stessi motivi, per garantire le stesse opportunità e gli stessi servizi a tutti gli individui in generale e i cittadini in particolare, senza distinzione alcuna.

Come purtroppo saprà noi meridionali dobbiamo spesso combattere contro più avversari, cioè contro le mafie delle quali siamo e siamo stati le prime vittime, e verso i pregiudizi spesso utilizzati per giustificare una mancanza di interesse e di cura dei nostri territori e più in generale delle nostre vite.

È proprio a tal uopo che le scrivo, abbiamo appreso dagli organi di informazione che lei in un recente convegno ha affermato a proposito del progetto per il ponte sullo stretto: “non unirà solo due coste, ma certamente due cosche”. Fermo restando la legittima contrarietà alla costruzione del ponte, ci chiediamo come possa essere caduto in un’affermazione del genere, un’affermazione che troviamo offensiva nei confronti dei cittadini onesti che popolano le due sponde dello stretto. Un’affermazione che sembra più una battuta da cabaret che un’affermazione di una persona che spesso ha mostrato una grande sensibilità anche verso i nostri territori.

Non è nostra intenzione strumentalizzare la questione ma vorremmo anche far capire a tutti gli attori della società civile, che non siamo più disposti ad abbassare la testa e a subire oltre alla mancanza di investimenti e prospettive per i nostri figli, anche delle offese gratuite. Vede in questi anni abbiamo visto che purtroppo l’Italia tutta, da nord a sud, è piena di esempi di corruzione, di infiltrazioni mafiose ecc. Per questo ci chiediamo come mai, solo quando si parla di una grande opera da realizzare al sud, si alza il solito polverone della mafia ecc.?

Noi vogliamo credere che ciascuno sia in grado di fare il proprio lavoro, altrimenti non rimane che arrendersi a non poter mai realizzare una grande opera e non avere possibilità di sviluppo. Ricordo anche le parole dello stimatissimo Nicola Gratteri che in una recente intervista ha affermato: “voi pensate a fare le infrastrutture che ai mafiosi ci pensiamo noi”.

Ecco noi vogliamo credere alle parole del grande magistrato calabrese e fidarci altrimenti è finita davvero! Ci auguriamo che lei possa spiegare e scusarsi con i cittadini calabresi e siciliani per la battuta infelice, può capitare di “scivolare su una buccia di banana”. Spero non ci deluda e possa darci una risposta. (fs)

[Francesco Sgambelluri è del Movimento politico “Equità Territoriale”]