CALABRIA, DENATALITÀ E SPOPOLAMENTO
LA SFIDA FERMARE IL DECLINO ANNUNCIATO

di DANIELA DE BLASIOLa Calabria affronta una crisi demografica sempre più preoccupante. Il declino della popolazione ha conseguenze significative sull’economia, il benessere sociale e la sostenibilità della regione: per questo motivo è una sfida che richiede una seria attenzione e interventi urgenti da parte delle Istituzioni.

Sono vari i fattori che contribuiscono al declino demografico della Calabria, a partire dal tasso di natalità molto basso, come certifica l’Istat sulla base dei dati del Censimento permanente, infatti la popolazione residente nella regione al 31 dicembre 2021 era pari a 1.855.454 residenti, in discesa a -0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e -5,3% rispetto al 2011. 

Si tratta di dati sconfortanti, sicuramente da attribuire alle difficili condizioni economiche e sociali ed alle scarse politiche di sostegno alla maternità e alla famiglia che caratterizzano la regione e che possono influire sulla decisione delle famiglie di avere figli. Infatti, la mancanza di servizi adeguati per la cura dei bambini, carenza di scuole e strutture sanitarie di qualità, nonché la scarsità di opportunità per le donne di conciliare famiglia e lavoro sono fattori che rendono il contesto poco favorevole alla natalità.

Ma il calo demografico in Calabria è anche un fenomeno aggravato dall’emigrazione giovanile e dalla mancanza di opportunità di lavoro per i giovani. Le statistiche Eurostat sul mercato del lavoro ci indicano il tasso di disoccupazione in Calabria come uno dei dati peggiori in Ue.

Mancano le occasioni di occupazione stabile e ben remunerata, mancano le possibilità di crescita e realizzazione personale e queste carenze hanno portato molti giovani calabresi a lasciare la loro terra per cercare opportunità di vita e di lavoro migliori.

Nonostante gli sforzi compiuti, volti a promuovere l’occupazione, la Calabria perde in maniera continua ed inarrestabile risorse umane preziose, nonché la possibilità di sviluppare nuove attività economiche e possibilità di attrarre capitali.

La presenza limitata di grandi imprese, la scarsa diversificazione economica e la mancanza di investimenti infrastrutturali rendono difficile la creazione di posti di lavoro stabili e ben retribuiti per le giovani generazioni. Settori strategici come l’innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sostenibile sono praticamente inesistenti, con la conseguenza che le occasioni di crescita e sviluppo professionale, sono irrisorie.

Inoltre, la mancanza di meritocrazia e la corruzione dilagante sono problemi che esasperano i giovani calabresi che si sentono demotivati, frustrati e sfiduciati nei confronti di chi non ha pensato al loro futuro ed a quello del proprio territorio.

La mancanza di rispetto per il merito, infatti, demotiva ulteriormente i giovani a rimanere nella regione, in quanto le opportunità di carriera sono spesso basate su relazioni personali  piuttosto che sulle capacità e competenze. Questa situazione li spinge altrove in cerca di una meritocrazia più imparziale.

La diminuzione del numero di persone attive nel mercato del lavoro ha gravi conseguenze economiche e sociali, in quanto innesta un circolo vizioso che inevitabilmente porterà nel breve periodo ad una riduzione della forza lavoro, all’invecchiamento della popolazione con l’aumento delle fragilità sociali ed un conseguente incremento di spese sanitarie, all’impoverimento culturale, alla contrazione delle dinamiche sociali ed ad un allontanamento da parte della società civile alla partecipazione attiva per costruire una nuova cittadinanza, oggi sempre più ai margini delle scelte calate dall’alto.

Per questi motivi, rendere la Calabria un luogo più attraente invertendo questa tendenza è il terreno su cui le Istituzioni devo cimentarsi al fine di garantire un futuro per la Calabria adottando politiche mirate, interventi adeguati e sostenibili che affrontino le cause sottostanti al declino demografico.

Solo così sarà possibile superare questa crisi e promuovere lo sviluppo con la prospettiva di costruire per le generazioni future una Calabria migliore. (ddb)

RAPPORTO INPS: LA FOTOGRAFIA DI UN SUD
CHE VEDE ANCORA PARTIRE I SUOI GIOVANI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – «Abbiamo speso circa 60 miliardi di euro per prestazioni Covid  (cassa integrazione, bonus per gli autonomi). Noi continuiamo a dire che il 65% del reddito ,di cittadinanza va al Sud, ma dimentichiamo di dire che il 70% delle prestazioni Covid sono andate al Nord». Così il presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, alla presentazione del 21º rapporto annuale Inps

E l’assegnazione delle risorse per il Covid è un indicatore utile a capire quello che avviene per qualunque altra  forma di strumenti di welfare nel nostro Paese. Una voce di verità nella confusione di dichiarazioni, ma le  denunce di assegnazione di reddito di cittadinanza a criminalità organizzata o in generale a gente che non avrebbe diritto fanno sì che la levata di scudi verso questo strumento stia divenendo generalizzata.  Ma a chi dice che in un anno e mezzo hanno truffato allo Stato quasi 15 milioni di euro, ricordo che gli evasori ne sottraggono 150 miliardi nello stesso tempo.

A maggior ragione è stato criminalizzata da quando si è ritenuto abbia influito pesantemente nell’indirizzare consenso verso l’unica forza politica che lo ha difeso in modo assoluto, quel Movimento Cinque Stelle che evidentemente da esso ha ricavato un consenso generalizzato, soprattutto nel Sud.  Ma il tema è che in tal modo si butta a mare il bambino con l’acqua sporca. Infatti sono tutti a puntare il dito verso uno strumento, che si ritiene nell’immaginario collettivo dia l’opportunità a chi non vuol lavorare di farsi mantenere e che fondamentalmente porta ad indicare il Mezzogiorno come un’area di nullafacenti o perlomeno aspiranti a tale condizione.

 Si dimentica che negli ultimi 10 anni si sono trasferiti al Nord oltre 1 milione di lavoratori, per avere un progetto di futuro, che evidentemente al Sud mancava e che  quindi accusare gli abitanti di una realtà di poca voglia di lavorare, visto che sono disponibili a sradicarsi, mi pare poco generoso.

E ci vuole poco a passare dall’accusa ai percettori del reddito di cittadinanza alla generalizzazione nei confronti di un Sud che si accusa chieda soltanto di essere assistito e che non vuole assolutamente lavorare.  Le prime modifiche sul reddito cittadinanza, che portano all’esclusione da tale strumento non appena si rifiuta una seconda offerta di lavoro anche a distanza di 2000 km, fanno capire bene verso che quale direzione   si indirizzerà una possibile nuova modifica.

Sarà, se non quella di eliminarlo nei confronti di chi va dai 18 ai 59 anni, quella di sottrarre  il sussidio non appena si rifiuta la prima offerta di un posto di lavoro in qualunque parte d’Italia esso si trovi. Dimenticando che quando ci si sposta da una propria realtà ad un’altra distante, a parte il costo individuale e sociale del taglio delle radici nei confronti delle proprie origini, al depauperamento della realtà di provenienza, che peraltro ha speso risorse importanti spesso per formare gli individui, comporta la creazione di nuovi poveri, soprattutto nella prima fase, quella nella quale la remunerazione ottenuta non consente nemmeno il soddisfacimento dei bisogni essenziali dell’individuo. 

Tale riflessione è confortata dal fatto che da quando esiste lo strumento moltissimi rinunciano ad un posto di lavoro, anche a tempo indeterminato, quando questo si presenta ad una distanza tale per cui tutta una serie di costi, che magari nel luogo di residenza sono inesistenti, come quello per esempio della casa, sono invece  da affrontare.  Per cui quello che poi rimane, dopo che si è proceduto a soddisfare i bisogni essenziali, è il nulla  se non si è nella condizione addirittura di chiedere l’aiuto delle famiglie di origine. 

Ma l’altro aspetto sul quale si ha difficoltà a riflettere è quello messo in evidenza proprio dal presidente Tridico. Dimentichiamo spesso che, facendo tutti i conti e mettendo insieme tutte le risorse che vengono destinate alle diverse parti del Paese,  la spesa pro capite destinata al Sud è sempre di gran lunga inferiore di quella destinata al Nord. 

D’altra parte è ovvio che ciò accada.Tutti i sistemi di welfare, che si tratti di cassa integrazione ma anche delle pensioni quando queste non vengono calcolate, come è stato fino a poco tempo fa,  col sistema retributivo, non possono che portare a delle contribuzioni da parte dello Stato, maggiori per il Nord. Infatti, essendo per esempio il numero di pensionati di gran lunga più elevato nelle aree del Nord è evidente che portano ad una spesa  maggiore, in una discrasia tra aree territoriali, oltre che tra generazioni. 

Sia le une e le altre vengono penalizzate ovviamente da sistemi che favoriscono coloro che sono all’interno del sistema. E coloro che non lo sono, si chiamino giovani ancora non entrati nel mercato del lavoro del Nord e del Sud, ovviamente maggiormente del Sud, considerato che il lavoro è più difficilmente a disposizione in tali aree, e soggetti che nel mercato del lavoro non sono mai entrati.

Se si considera che sono circa 3 milioni nel Mezzogiorno si capisce come la distribuzione del welfare sia assolutamente favorevole alle realtà del Nord. Dimenticare poi che molti dei servizi sociali  sono  distribuiti in modo difforme nelle varie parti del Paese ci fa vedere la realtà con una lente distorta. Non avere la mensa scolastica per esempio per le famiglie è un costo ulteriore che esse affrontano, così come non avere un servizio pubblico di mobilità, come avviene in molte parti del Sud, comporta un costo aggiuntivo che spesso non viene evidenziato. 

Non è casuale infatti che vi sia grande difficoltà ad attuare perfino i livelli essenziali di prestazione in tutte le parti del Paese, che sono rimasti inattuati per parecchi anni fino ad oggi. Quindi che lo strumento vada in qualche modo corretto, laddove ha manifestato evidenti storture, è evidente. Dimenticando peraltro che il problema non è quello di fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, considerato che esiste un’offerta ma non vi è la domanda.

Lo strumento, certamente di civiltà,  va aiutato  da controlli adeguati che evitino che lo abbiano  coloro che non ne hanno diritto. Ma evidenziare continuamente le risorse che vengono destinate ad esso, dimenticando che vi è un welfare complessivo a favore prevalentemente del Nord, è un modo  distorto di raccontare la realtà. (pmb)