A Girifalco Amalia Bruni celebra Franco Basaglia a cento anni dalla nascita

La scienziata e neurologa Amalia Bruni, consigliera regionale del Partito democratico, celebra Franco Basaglia a cento anni dalla nascita durante un convegno tenutosi nel complesso monumentale ex op di Girifalco.

L’11 marzo 2024 si è, infatti, celebrato il centenario della nascita di Franco Basaglia, l’uomo che ha promosso la chiusura dei manicomi e l’emanazione della legge 180. Un anniversario che non è passato inosservato, soprattutto a Girifalco, sede dell’ex ospedale psichiatrico di Catanzaro, protagonista del documentario “Uscirai sano”.

L’associazione culturale “Aps Kinema”, fondata nel 2013 per raccontare la storia dell’ex ospedale provinciale, ha promosso, insieme ad altre associazioni del territorio, l’evento “Porte aperte” per non lasciare passare inosservata questa data.

«Possiamo riflettere sul ruolo di Basaglia come precursore di una serie di processi e di sviluppi delle conoscenze, riguardanti il funzionamento del cervello e la plasticità cerebrale, che si sono sviluppati e amplificati negli ultimi 20-30 anni – ha esordito Amalia Bruni – In passato, la convinzione che la malattia mentale fosse immutabile e pericolosa ha portato alla creazione dei manicomi, con l’idea conseguente che i pazienti fossero irrecuperabili e pericolosi: si consideravano più come ‘cose’ che come esseri umani».

«La rivoluzione culturale e di pensiero di Basaglia consiste nel restituire dignità alle “cose”, ovvero ai pazienti, ponendoli al centro di un percorso di dialogo e di umano interesse innanzitutto. Senza questo nuovo modo di considerare i pazienti come persone, dubito che strade successive sarebbero state percorse. È da qui – continua la consigliera regionale – che nasce la riabilitazione psichiatrica, che oggi possiamo considerare uno strumento potentissimo per trattare le malattie mentali o almeno contenerle, restituendo dignità ai pazienti e soprattutto qualità di vita».

«Oggi le nostre conoscenze sul cervello e sui fenomeni di neuroplasticità, adattamento all’ambiente, capacità di acquisire nuovi comportamenti, possibilità di cambiare e modulare i nostri stessi neuromediatori chimici sono enormi e sottolineano come nulla sia più immutabile – prosegue Bruni – I meccanismi epigenetici spiegano come l’ambiente influisca sui nostri geni e proteine e ci offrono una visione non più statica dei processi mentali. Quasi tutto può essere modificato, sia in senso positivo che negativo».

«Questo ci rende profondamente responsabili come operatori della salute. Il nostro modo di lavorare non è quindi ininfluente per quanto riguarda un percorso o una terapia. E ne abbiamo la prova: psicoanalisi e psicoterapie modificano i circuiti malfunzionanti. Sono certa che Basaglia sarebbe soddisfatto», conclude Amalia Bruni. (rcz)

Cento anni fa nasceva Franco Basaglia: “E mi non firmo” (E io non firmo)

di GIUSEPPE FOTIFranco Basaglia nacque l’11 marzo del 1924 a Venezia ed oggi ricorre il suo centenario dalla nascita. La frase che dà titolo a questo articolo fa parte di un’eredità di valori e di concetti che hanno reso lo psichiatra veneziano uno dei primi in Italia e nel mondo a curare e ad intendere la diversità, codificata sotto l’etichetta di malattia mentale, come qualcosa da trattare con più dignità e rispetto.

Oggi, il modello biomedico, tanto in voga nel mainstream psichiatrico nazionale, ha preso il sopravvento, ritrasformando la persona da soggetto, capace di autodeterminarsi, a oggetto nosografico e, permettetemi di aggiungere, socialmente inutile per qualcuno. Il movimento culturale che nel 1978 ha abbattuto i muri dei manicomi, con la legge 180, si sta vedendo cassare anni di lotte dei diritti, che, voglio ricordare, hanno condotto a quello che è il servizio sanitario nazionale che, tutt’oggi in vigore, dà la possibilità di curarsi a tutti e indistintamente (stanno distruggendo anche questo!). Ritengo necessario, quindi, un ritorno ad un modello biopsicosociale che rappresenta un’urgenza indispensabile. La necessità nasce dal fatto che non si può considerare una persona solo attraverso parametri nosografici che poco dicono e poco definiscono un soggetto nella sua complessità.

La paura della “follia”, per tali motivi, ha preso il sopravvento in ogni ambito sociale, grazie anche ai media, facendo passare il concetto di “normalità” come qualcosa da perseguire ad ogni costo, portando molti (soprattutto giovani) ad aspirare ad un ideale di perfezione che non fa altro che far emergere le personali fragilità, con conseguenze devastanti per la psiche. Franco Basaglia aveva sicuramente capito questo e tanto altro e con caparbietà ha trasformato il concetto di cura, inizialmente discriminatorio, in qualcosa che avesse la capacità e gli strumenti dialettici utili per interfacciarsi con la contraddizione umana.

L’atteggiamento, sicuramente di stampo esistenzialista, è sempre stato considerato “roba da intellettuali che poco centra con la malattia”, ma senza mai dare spiegazioni che potessero giustificare o avallare questa tesi o che potessero provare cosa sia realmente la malattia mentale. Basaglia, viceversa, ha fornito uno sguardo diverso che aveva radici filosofiche (qualcuno storcerà il naso) che aiutava il paziente a non sentirsi estraneo al mondo, quindi limitava quella frattura esistenziale, rendendo la cura una “donazione di senso” sostenibile per la persona con disagio mentale nel suo mondo della vita, prima fatto solo di sbarre e di reclusione forzata. Ovviamente questo modello di pensiero necessita tempo e pazienza, cose che l’attuale società, anche quella scientifica, non permette perché non è più il tempo del “Noi”.

L’individualismo ci ha resi intolleranti e poco disposti a cercare l’accesso al cuore delle persone e che non passa necessariamente dai suoi bisogni materiali. Quanto scritto non esclude i passi da gigante fatti dalla scienza che nella psichiatria si occupa del sintomo, ma oltre questo esiste l’individuo con la sua libertà ferita. La cura in psichiatria è possibile solo nel momento in cui non ci sia distacco tra chi cura e chi è curato, ma prevalga il dialogo e l’ascolto, la vicinanza e il rispetto. 

La mia eterna gratitudine va a Franco Basaglia e tutta la sua squadra che ha reso “possibile l’impossibile” e che ha dato speranza a molte persone con la rivoluzione pratica e teorica, che ha modificato decisamente il modo di fare psichiatria in Italia. Non facciamo che questa eredità, esportata in tutto il mondo, sia dimenticata o messa da parte per dare spazio a modelli stereotipati e classificazioni nosografiche che annullano l’essere umano. Per esplorare l’ombra nei suoi recessi, intesa come parte recondita del nostro essere, non bastano costrutti teorici o terapeutici, ma bisogna spogliarsi dal pregiudizio e accompagnare la persona sofferente verso un percorso che gli restituisca il mondo, la dignità e gli restituisca, come ha fatto Basaglia, speranza! (gf)