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Fino al 27 dicembre al Centro Cornici la mostra "M'horò, il mio nome è nessuno"

CATANZARO – Fino al 27 dicembre al Centro Cornici la mostra “M’horò, il mio nome è nessuno”

Fino al 27 dicembre, al Centro Cornici Fantasie d’Arte” di Pino Angotti a Catanzaro, si può visitare la mostra M’horò, il mio nome è nessuno, dell’artista M’horò.

«M’horò nasce ufficialmente e artisticamente il 26 maggio 2016, quando, nel mio studio esaminai per la prima volta i suoi lavori decidendo di promuovere e far conoscere la sua arte. In quella occasione decidemmo, di comune accordo, di far rimanere ignota la sua identità e di usare uno pseudonimo – ha spiegato il critico d’arte Antonio Falbo –. Sono le sue sculture che comunicano con il pubblico e a distanza di tempo possiamo affermare che il successo è stato continuo: alle sue mostre un seguito di pubblico notevole, molte le gallerie che richiedono le sue opere e numerosi i riscontri positivi di critici, storici dell’arte e quotazioni in aste pubbliche».

«M’horò incrocia una vera poetica del primigenio come metafora del semplice, assumendo, nella sua ricerca, i caratteri di un’ipertrofica proliferazione di volumi e spessori che evocano stilemi arcaizzanti. Ormai svincolato da ogni remora accademica e stilistica, riesce a identificarsi nella ricerca di nuove modalità di linguaggi plastici. Tutto quello che l’artista ci vuole comunicare e quello che a ciascuno comunica effettivamente, ci sono le sue opere straordinarie. Inventare ed essere invisibili. Bisogna necessariamente svelare l’opera e celare l’identità di colui che l’ha concepita. In ogni caso chi vuole essere uno sconosciuto illustre deve produrre opere che valgono, che, ammirandole, parlino per lui».

«Svelare l’opera e celare l’artista», come affermava Oscar Wilde. I suoi volumi si contraggono in blocchi compatti e omogenei. Non c’è dubbio che l’inedito modo di guardare alla realtà attraverso il filtro della coscienza intrinseca sia stata una delle vie perseguite dall’arte del nostro secolo. M’horò percorre questa strada tentando di riscrivere pagine o meglio, plasmando le sue “superfici ascensionali” con linguaggio lucido, dialogando e distillando il confronto con i diversi protagonisti dell’arte contemporanea. Sono opere realizzate con radiatori, materiali industria – li destinati alle discariche, foggiate come fossero incisioni rupestri prive di sacralità. La sua arte è fatta di citazioni dotte e di tecniche antiche, di linguaggi del passato rivissuti e approfonditi virtualmente in un’ipotesi sempre raffinatissima e attualissima, in un percorso dove l’essenzialità della composizione rimane enfatizzata dall’uso di luce tagliente. (rcz)