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Conpait: Arancia Bella donna di San Giuseppe presidio Slow Food che non deve essere disperso

Conpait: Arancia Bella donna di San Giuseppe presidio Slow Food che non deve essere disperso

Il presidente di ConpaitAngelo Musolino, ha rimarcato la carenza di maestri, soprattutto nelle scuole alberghiere, per la lavorazione dell’Arancia Bella donna di San Giuseppe. Un allarme lanciato nel corso della Festa del Papà, dove i pasticceri di Conpait Calabria rappresentati per l’occasione, anche dal presidente nazionale, Angelo Musolino e dal responsabile nazionale Gelateria Davide Destefano hanno voluto rendere omaggio al presidio Slow Food Reggio Calabria Area Grecanica.

«Come dire – si legge in una nota – l’arancia belladonna è presidio slow food, buonissima ma…se non c’è qualcuno che possa dedicarsi ad insegnare la lavorazione e poi l’eventuale consumo, cosa rimane della tradizione? Un grido d’allarme in piena regola, con la società tutta che deve trovare risposte».

«Alzi la mano chi conosce l’arancia belladonna di San Giuseppe? – continua la nota –. È una cultivar tardiva e a polpa bionda, che lega il suo nome a un piccolo centro nella parte settentrionale della città di Reggio Calabria: la frazione Villa San Giovanni, sulla foce del torrente Gallico. In particolare, il territorio di coltivazione si trova nel fondovalle delle fiumare del Gallico e del Catona e, dalla fascia pre-montana dell’Aspromonte, arriva fino allo Stretto».

Dopo la processione del Santo e la benedizione della vallata, ha avuto luogo l’attesa degustazione dei dolci e gelati a base arancia belladonna oltre che di tutti i dolci tipici preparati dalle eccezionali donne di Villa San Giuseppe. L’arancia belladonna? Si racconta che il periodo di maturazione, di questo particolare agrume, ricada tra i mesi di aprile e maggio ma può spingersi fino a giugno.

I frutti sono di pezzatura media (circa 200 grammi) e hanno forma ovoidale e buccia sottile. La polpa è bionda, molto ricca di succo, con pochissimi semi. Le arance belladonna sono ottime mangiate fresche, ma possono anche essere trasformate in marmellate e scorzette candite. Gli anziani del luogo raccontano che la coltivazione del purtuallu longu (nome della belladonna nel dialetto locale) sosteneva l’economia di queste zone perché il suo prezzo sul mercato, rispetto ad altri prodotti agricoli, era molto più remunerativo. (rrc)