INTERESSANTE RIFLESSIONE DEL SOCIOLOGO FRANCESCO RAO SUL PERCHÉ I CALABRESI SONO RIMASTI INDIETRO;
Una spiaggia a Crotone

SVILUPPO, INUTILE RIMANERE IN CALABRIA
SE MANCA ILCORAGGIO DI AGIRE E REAGIRE

di FRANCESCO RAO – In Calabria, perché siamo rimasti indietro? Questa è la fatidica domanda alla quale qualsiasi calabrese e non, voglioso di comprenderne le motivazioni che hanno generato un’odierna realtà così complessa, in una sola risposta non troverà mai spiegazioni.

In assenza di tale condizione, la strada da percorrere dovrà essere quella della curiosità, esercitata mediante un viaggio paragonabile a quello narrato dal sommo poeta. Senza voler essere pessimista, se Dante, nel percorrere l’inferno, riuscì a vedere le stelle, i calabresi curiosi, riusciranno ad intravedere almeno la luce in fondo al tunnel? Sino ad ora sono stati in tantissimi ad averci provato. Tanti di loro hanno desistito perché costretti ad abbandonarne l’ardua via per sfiancamento; altri sono stati azzoppati nel primo tratto ed altri ancora hanno perso la retta via. I nostri lettori si domanderanno: allora è inutile restare in Calabria?

La risposta che vorrei condividere è da sempre la stessa: bisogna rimanere in Calabria, ma occorre un coraggio straordinario per agire utilizzando schemi differenti a quelli utilizzati da altri in passato e senza la paura di essere impopolari. Cerchiamo di essere molto schietti nel riflettere, naturalmente senza voler mancare di rispetto a nessuno e facendo una prima constatazione: nei 404 Comuni della Calabria, l’età media dei sindaci e degli amministratori è in linea con le sfide che la Calabria, il Meridione e l’Italia sono chiamati a compiere nell’articolata cornice offertaci dal Pnrr? Non mi permetto di soffermarmi sulle competenze, sulla propensione a fare rete, sulla volontà di abbandonare l’autoreferenzialità per dare ascolto a quelle istanze provenienti dal territorio con le quali poter immaginare, sia nei piccoli contesti sia nelle zone vaste, l’ipotesi concreta per poter disegnare a più mani non solo un progetto ma una visione complessiva con la quale poter immaginare i ruoli e le funzioni territoriali, economici e sociali per i prossimi 25-30 anni.

Di tutto questo, sino ad ora, qualcuno ha traccia? Ormai sono moltissimi gli amministratori che vantano l’ottenimento di ingenti finanziamenti ma, al momento, l’affare vero lo compiono le ditte, regolarmente esecutrici delle opere commissionate; i tecnici impegnati nella progettazione; i rivenditori di materiali; i pochissimi dipendenti impegnati a sviluppare i lavori e le colonne dei giornali nei quali si narrano di volta in volta costruzioni “faraoniche” destinate poi ad avere moltiplicatore reale e sociale pari a zero. Quindi, chiedendomi e chiedendo ai nostri lettori quali sono i risultati concreti per il territorio, la risposta quale potrà essere? Sicuramente in Calabria ci saranno molti amministratori audaci, ma l’ennesima domanda, seppur possa apparire scontata, è dovuta: quest’ultimi, rappresentano la maggioranza oppure la minoranza delle esigenze reali dei calabresi? In passato, bene o male i partiti svolgevano un ruolo strategicamente importante in tal senso, oltre ad essere un filtro sulla scelta delle singole candidature, convogliavano l’appartenenza dei rispettivi amministratori in alvei ben definiti nei quali, a macchia di leopardo, potevano essere ravvisate anche alcune visioni condivise e di tanto in tanto vedeva la luce qualche opera strategica per il territorio.

In contropartita, il vecchio sistema elettorale utilizzato per eleggere i componenti dei Consigli comunali determinava molta instabilità e perciò non vi era il tempo per programmare e realizzare soluzioni utili a generare sviluppo. In quella realtà che mi piace indicare come un gioco delle parti, messo in atto tra incudine e martello, oggi Calabria conta molte incompiute e tutti i territori coinvolti ne pagano le conseguenze, l’isolamento e una crescente spoliazione demografica.

Tale tensione, di volta in volta, è stata utile solo per generare un mancato processo di crescita socio-economico e il conseguente sfaldamento tra governante e governato, nonché la crescente apatia per la partecipazione alla vita politica, atteggiamento praticato soprattutto da parte di quanti, pur disponendo di opportune conoscenze e professionalità, indispensabili per amministrare facendo la differenza, si sono ritrovati a dover resistere alimentando il famoso compromesso al ribasso per poter proseguire un mandato che di virtuoso per la Comunità non avrà nulla. La Costituzione italiana non richiede specificatamente alcun titolo di studio, conoscenze o competenze particolari per essere eletti quali amministratori dei Comuni. Cerchiamo ora di sforzarci nel comprendere il particolare stato d’animo e il forte senso di fiducia riposto negli Italiani dai padri Costituenti durante la stesura del dettato costituzionale.

Loro, contrariamente a moltissimi amministratori, con determinazione e lungimiranza, hanno posto una sottile ma fondamentale condizione espressamente contenuta nell’art. 98 della stessa Costituzione allorquando si richiama l’attenzione di quanti, impegnandosi nell’amministrazione pubblica, tra i loro compiti, saranno chiamati a garantire il buon andamento e l’imparzialità dedicandosi a tale impegno con disciplina e onore. Forse tutto ciò è poco noto ai tanti amministratori e perciò, la loro azione si concretizza sempre di più negli inutili e sterili sensi unici e con una crescente forma di assenteismo registrato anche tra quanti sono stati eletti.

Un’altra domanda: la sottile e allo stesso tempo immensa prescrizione, nel tempo, ha garantito quell’imparzialità immaginata dai padri Costituenti nel rispettivo trattamento reso alle famiglie del Sud e del Nord? Forse no, e condivido i perché: mentre i primi sono stati costretti ad arrangiarsi, sperando nell’aiuto dei genitori per accudire i giovanissimi figli a causa della mancanza di asili nido comunali, gli altri, oltre ad avere maggiori opportunità occupazionali e quindi un maggiore benessere economico, hanno potuto contare su servizi che hanno consentito loro una migliore conciliazione dei tempi di lavoro e cura della famiglia e al contempo una maggiore istruzione per i giovani. In questo piccolo esempio si configura plasticamente quel divario italiano nel quale sono racchiuse le tante cause che nel tempo hanno alimentato il moltiplicatore della povertà educativa, divenute poi nell’arco degli anni, concausa del decadimento qualitativo generato dalle amministrazioni locali, poco inclini a progettare il futuro delle loro Comunità in modo utile e concreto in quanto impegnati ad asfaltare strade durante l’ultimo anno di mandato, inaugurare strutture destinate a rimanere chiuse, delegittimare proposte, idee e progetti sensati perché a proporli sono i potenziali fruitori.

Ebbene, la Calabria, in questo ultimo anno, con l’elezione del governo regionale presieduto da Roberto Occhiuto, ha intrapreso la strada che sicuramente porterà a risultati inimmaginabili. Affermo ciò con fiducia e serenità perché oltre ad apprezzare la determinazione messa in atto sino ad ora dal Presidente della Giunta regionale, dagli assessori e dei consiglieri regionali di maggioranza è intravedibile l’inesistenza del minimo timore nell’apparire impopolari, rischiando anche di erodere quel rapporto di fiducia con gli elettori che lo scorso anno ne ha determinato il risultato elettorale.

Se il coraggio e la determinazione assunta dal governo regionale, divenisse modello di lavoro per gli Enti Locali, in dieci anni di lavoro, grazie alle opportunità messe sul tavolo dagli ingenti finanziamenti europei, la Calabria potrebbe essere una regione all’avanguardia. Certo, adesso bisogna comprendere i numerosi polveroni alzati da quanti non sono più forza di governo ed hanno anche perso importanti posti di controllo.

Quest’ultimi, come da manuale, hanno le soluzioni solo quando si ritrovano all’opposizione, quando sono al governo, oltre a fiumi di riunioni, confronti e dibattiti non c’è traccia di proposte concrete e spesso vengono anche seppellite le poche iniziative cantierabili. Dopotutto, “fate ammuina” continua ad essere un valido sistema per alimentare la confusione e poter promettere il cambiamento. (fr)