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La Calabria ricorda la giornalista Maria Rosaria Sessa, uccisa 20 anni fa dal compagno

La Calabria ricorda la giornalista Maria Rosaria Sessa, uccisa 20 anni fa dal compagno

di MARIACHIARA MONACOAmici, colleghi, familiari, e numerosi giovani che probabilmente non erano venuti ancora al mondo, hanno ricordato, a venti anni esatti dalla sua tragica morte, la giornalista Maria Rosaria Sessa, volto dell’emittente televisiva Metrosat, uccisa per mano del compagno il 9 dicembre 2002, all’età di soli 27 anni.

Un evento, organizzato su iniziativa di Emily Casciaro, collega e migliore amica di Maria Rosaria, con il sostegno dell’Associazione Artisti Eccellenze Calabresi ed il patrocinio dell’Ordine regionale dei giornalisti. 

«Appena arrivata a Metrosat, avevo poco più di vent’anni, ma tanta voglia di mettermi in gioco. Maria Rosaria mi ha reso parte della sua vita, eravamo grandi amiche, lei era il mio mentore, mi ha insegnato tutti i trucchi del mestiere, con il suo splendido sorriso e con la sua irrefrenabile simpatia. Continuerà a vivere per sempre dentro di me, e nelle persone che le hanno voluto bene, e vi assicuro che sono tantissime», dichiara Emily Casciaro.

Lo sguardo lucente di Maria Rosaria Sessa illumina la sala Tokyo del Museo del presente, e dimostra come ella continui a vivere e a camminare sulle gambe di chi l’ha conosciuta, e di chi pur non avendole mai parlato, ha comunque un caro ricordo da custodire.

Il suo non era solo talento nel raccontare la notizia, ma era soprattutto intuito, gentilezza. Si approcciava alla vita con caparbietà, ma allo stesso tempo con rispetto e delicatezza, riuscendo a tirar fuori l’umanità laddove sembrava non esserci, oppure era ben nascosta.

Una professionista che amava molto il suo lavoro, che la portava spesso a stare in mezzo alla gente, e ad ascoltare in punta di piedi le più vaste storie, di persone che si aprivano completamente a lei, senza neppure accorgersene.

Ecco chi era Maria Rosaria Sessa, una persona amabile, che come tutti gli esseri umani, desiderava essere amata, proprio come lei amava il prossimo.

Ma non andò esattamente così.

L’uomo al quale lei era legata, la controllava, la spiava, la seguiva.

Diversi giorni prima della tragedia, Corrado Bafaro, così si chiamava, l’aggredì, tentando di strangolarla, solo perché lei gli aveva confidato la volontà d’intraprendere un’esperienza lavorativa di sei mesi oltreoceano, in Canada.

Dopo tale episodio, Maria Rosaria, capì che quell’uomo tanto premuroso e amorevole all’inizio, si stava trasformando in un essere violento e mentalmente instabile. Da lì, l’inferno piombò inesorabilmente sulla vita della giovane donna, con appostamenti, e minacce di suicidio.

La sera del 9 dicembre 2002, Bafaro la seguì, e con un mazzo di fiori la invitò a cenare fuori.

Una volta lasciato il locale però, non riaccompagnò la giornalista a casa, ma imboccò la Statale 107 che porta verso il mare, tolse dalla tasca del cappotto un coltello e la colpì. Di lui non si seppe nulla per diversi mesi, fino a  quando venne ritrovato impiccato in una villetta di Fiumefreddo, sulla costa tirrenica cosentina.

«Maria Rosaria è per me una martire della libertà, che ha pagato con la vita il desiderio che le donne hanno, di poter vivere i loro sogni. Credeva fortemente nel suo lavoro, che aveva conquistato sul campo giorno dopo giorno, consumando le scarpe ed interloquendo con i mondi più diversi.

Voleva partire per il Canada, vivere una nuova esperienza professionale, ma Bafaro non voleva, esercitando una tragica forma di possesso, e mostrando il suo lato oscuro, impedendole di sognare e di vivere. Il suo era un “non amore”,  l’esatto contrario di ciò che un sentimento così forte impone, ovvero la condivisione, la contaminazione», confessa Arcangelo Badolati.

Il quale poi continua a ricordare una collega, ma soprattutto un’amica, che ha lasciato un vuoto incolmabile, proprio come i grandi del tempo, che nonostante lo scorrere degli anni, non si scompongono e rimangono vivi.

«Io la chiamavo l’alba del giornalismo, Maria Rosaria era una persona molto dolce, allo stesso tempo però, era un vulcano di idee, amava moltissimo il suo lavoro, stava giornate intere in redazione oppure era fuori per girare i servizi da mandare in onda. Che diritto ha una persona, di cancellare la vita ed i sogni di un’altra?”», commenta Attilio Sabato, emozionato dalle immagini della giornalista gentile che scorrono su uno schermo rimpicciolito davanti a tanta bellezza e semplicità.

Spezzoni di vita e di servizi televisivi, che per un’instante, avvicinano la giovane ai suoi familiari, e a sua mamma che dopo vent’anni,  mostra un dolore interminabile attraverso il nero dei suoi vestiti, colore che interrompe il ciclo vitale, pur continuando a respirare.

«Ricordo come fosse ieri, il giorno in cui venne a lasciare il curriculum in redazione. Mi accorsi subito della sua luce e del suo talento cristallino, le sue domande non erano mai banali, era semplice, professionale, il suo modo di guardare il mondo, coincideva con quello della nostra emittente. Con il tempo, divenne la colonna portante di Metrosat, e amica dei nostri telespettatori», ricorda Vizza, allora amministratore di Metro TV.

E se è vero che la bellezza salverà il mondo, come diceva Dostoevskij, non ci resta che pensare a Maria Rosaria Sessa, e alla sua voglia matta di vivere. (mm)