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Giuseppe Rao

La Cina è di casa all’Università della Calabria

di FRANCO BARTUCCI – Proseguono le lezioni del Master sull’intelligence all’Università della Calabria, diretto dal prof. Mario Caligiuri.

A tenere l’ultima lezione dell’ampio programma è intervenuto il dott. Giuseppe Rao, professore a contratto dell’Università di Sassari e dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha parlato sul tema: Scontro Usa – Cina, multilateralismo e ordine mondiale.

Per l’Università della Calabria la conoscenza della Cina, in ambito politico, economico, sociale e culturale, assume un valore di estrema importanza dato il rapporto ultra quarantennale che la nostra Università intrattiene con la Repubblica Popolare Cinese e con diverse Università di quel Paese, ospitando per prima in Italia, nel mese di dicembre del 1979, un nucleo di sedici studenti arrivati a seguito di un’apposita convenzione sottoscritta nel mese di ottobre del 1979 dal Rettore Pietro Bucci e dall’ambasciatore cinese a Roma, su contatto del prof. Francesco del Monte, delegato del Rettore al settore Orientamento laureati e loro inserimento nel mondo del lavoro, seguiti nel compito assistenziale all’interno dell’Università dal prof. Giovanni Mazzetti, delegato del Rettore Bucci per il settore di Educazione permanente.

Gli argomenti trattati dal prof. Giuseppe Rao, introdotto dal prof. Mario Caligiuri, hanno, quindi,  avuto un significato importante per capire, come comunità universitaria dell’UniCal, il primato della  politica sull’economia, nonché  le strategie del Paese del Dragone e la relativa cultura. 

Giuseppe Rao, che ha lavorato per otto anni presso l’Ambasciata d’Italia a Pechino, ha ripercorso la storia della Cina partendo dal “Secolo dell’umiliazione straniera”, iniziato con la prima Guerra dell’Oppio nel 1939; la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 e i primi trenta anni della leadership di Mao Tse-tung caratterizzati dalla chiusura del Paese.  Nel 1978 sale al potere Deng Xiaoping, che avvia le quattro modernizzazioni: agricoltura; industria;  scienza e tecnologia; apparato militare. 

Il leader introduce la nuova strategia: un’economia socialista di mercato, con graduale apertura dell’economia ai privati, soprattutto stranieri. A partire dagli anni ’90, la leadership del Paese viene affidata a dirigenti del Partito Comunista laureati in ingegneria e discipline tecniche e scientifiche.  Si afferma il concetto della “visione scientifica dello sviluppo”, con l’obiettivo di trasformare la Cina in una potenza tecnologica e industriale, processo favorito dalla presenza delle maggiori multinazionali occidentali, che trasferiscono tecnologia e metodologie organizzative. 

«La Costituzione – prosegue il prof. Giuseppe Rao nel suo intervento – affida al Partito Comunista il compito di elaborare le direttive per i Piani di sviluppo a medio e lungo periodo, mentre gli organi dello Stato devono trasformare le direttive in azioni concrete. Il 15 novembre 2012 Xi Jinping viene eletto Segretario Generale del Pcc e il 14 marzo 2013 l’Assemblea Nazionale del Popolo lo elegge Presidente della Repubblica. Nel suo primo discorso Xi Jinping traccia la linea politica: parla di riscatto dal Secolo dell’umiliazione straniera; di ringiovanimento della Nazione e di costruzione di un Paese moderno, prospero, forte, democratico e sopratutto “armonioso”».

«Xi Jinping – afferma ancora Rao – sa che la stabilità del Paese è minacciata dalla corruzione dilagante, e avvia una campagna contro i grandi (“le tigri”) e i piccoli (“le mosche”) funzionari del Partito e dello Stato corrotto. Promette di combattere l’inquinamento. Introduce la Rule of Law, ovvero leggi contro gli arbitrii delle autorità. Infine si rivolge all’Esercito Popolare di Liberazione per rinvigorirne l’orgoglio e promettendo la modernizzazione dell’apparato militare.  Xi Jinping comprende che sta iniziando una nuova epoca in cui la Cina si propone come una superpotenza, sia pure rivendicando un mondo multipolare. Questa sfida, “la nuova era”, richiede la coesione attorno ai principi del “socialismo con caratteristiche cinesi” e allo stesso pensiero del Presidente, che viene inserito tra i capisaldi della Costituzione. Ciò comporta un maggiore controllo sull’opinione pubblica e sulla libertà di espressione».

Proseguendo il suo intervento, il docente sottolinea che la Cina può essere definita – lo scrive anche il New York Times – un sistema autoritario e non una dittatura.  Xi Jinping – ricordiamo che è stato rimosso il vincolo dei due mandati – non è un uomo solo al comando e risponde alla nomenclatura del partito: i 7 membri del Comitato Permanente; i 25 del Politburo e i 370 del Comitato Centrale. Lo Stato è rappresentato innanzitutto dal Consiglio di Stato (il governo, guidato da Li Keqiang), i Ministeri, le Province, le Municipalità.

«In Cina – dice ancora il prof.  Rao – vige il primato della politica sull’economia. Anche le imprese private devono rispettare gli indirizzi macroeconomici del governo e subiscono limitazioni nelle attività internazionali: per esempio gli investimenti all’estero devono essere autorizzati dallo Stato.  Il sistema produttivo ha subito una metamorfosi: è migliorata la produzione manifatturiera, alimentata da una moderna industria dei servizi vi sono stati massicci investimenti – anche grazie alla ampia disponibilità di un capitale umano, sia qualificato che altamente specializzato – nei settori tecnologici emergenti e nelle piattaforme digitali.  La crescita della classe media, la presenza di un “ascensore sociale” efficiente e le aspettative positive per i giovani costituiscono la forza del “patto sociale” che lega il Partito con la Nazione». 

«Lo studioso americano Daniel Bell – ricorda ancora Giuseppe Rao – nel suo libro “Il modello Cinese”, spiega alcuni fattori alla base del successo economico: classi dirigenti selezionate su base meritocratica; la formazione permanente; il ricambio generazionale. Nel 2020, anno della pandemia, il PIL è cresciuto del 2%, destinato a diventare, secondo il Fondo Monetario Internazionale, il + 6% nell’anno in corso. La Cina è un Paese complesso, al cui interno convivono 56 comunità etniche».

Nel concludere la sua relazione, il prof. Rao ha particolarmente rimarcato il  percorso politico, economico e culturale attuato negli ultimi anni dalla Repubblica Popolare Cinese. «Giada Messetti – ha detto Rao – nel libro Nella testa del dragone, spiega la distinzione tra “l’American dream”, che è un sogno sostanzialmente individuale, ed il “sogno cinese”, che è, invece, un sogno in cui si intersecano aspirazioni individuali e collettive».

«La Cina ora si trova ad affrontare le sfide internazionali: i difficili rapporti con i Paesi confinanti; la propria influenza in Africa e in numerosi Stati in via di sviluppo; il rapporto complesso con i Paesi Brics. La geopolitica è ora condizionata dall’Amministrazione Biden, che invoca una alleanza con l’Europa per fermare lo strapotere economico, finanziario e commerciale e il soft power di Pechino. Inoltre, l’Occidente, in particolare dopo lo scoppio della pandemia, ha compreso che la delocalizzazione dell’industria manifatturiera da una parte ha favorito la produzione di beni a basso costo, mentre dall’altra ha consentito il trasferimento tecnologico e la perdita di posti di lavoro e lo ha reso dipendente dalle importazioni persino di beni a basso valore aggiunto, come l’eclatante caso delle mascherine ha dimostrato». 

«La vera sfida è ora rappresentata  da una nuova governance del pianeta, che necessita di un riequilibrio dei fattori produttivi, degli scambi commerciali e di una competizione basata su regole più eque, come quelle alla base del Comprehensive Agreement on Investment firmato lo scorso 30 dicembre fra Cina e Unione Europea, che introducono criteri per una maggiore competitività delle imprese europee in Cina».

Il prof. Giuseppe Rao ha concluso la sua lezione sostenendo che per conoscere, comprendere e interpretare la Cina di oggi  occorre abbandonare  i paradigmi culturali, istituzionali ed economici dell’Occidente perché occorre studiare e immedesimarsi con la storia di un Paese con una cultura millenaria. 

Questo è quanto sta accadendo nell’Università della Calabria, con l’esperienza ultra quarantennale di scambi culturali e di formazione giovanile, nonché di ricerca scientifica nell’ambito degli studi chimici, farmacologici, ingegneria informatica ed alte tecnologie, avendo come riferimento i professori Enrico Drioli e Sebastiano Andò, nonché il prof. Giancarlo Fortino, che ha la delega del Rettore, prof. Nicola Leone, nei rapporti con le Università cinesi e con quelle dell’Australia. (rcs)

In copertina, il prof. Giuseppe Rao