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Legambiente Calabria: Serve svolta radicale nella gestione dell'area marina protetta "Capo Rizzuto"

Legambiente Calabria: Serve svolta radicale nella gestione dell’area marina protetta “Capo Rizzuto”

Per Anna ParrettaAntonio Nicoletti, rispettivamente presidente di Legambiente Calabria e responsabile nazionale aree protette e biodiversità dell’Associazione, «la gestione dell’area marina protetta “Capo Rizzuto” deve cambiare passo, deve invertire la rotta e puntare su un modello improntato a una maggiore trasparenza, e capace di garantire la tutelare della biodiversità anche attraverso l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza».

«Dopo trent’anni – hanno spiegato – il territorio crotonese deve ritrovare le ragioni per credere nel rilancio dell’Area marina protetta come strumento partecipato di tutela e di sviluppo sostenibile della costa, di presidio di legalità e di democrazia in un contesto sociale ed economico caratterizzato da una profonda crisi e influenzato dalla presenza oppressiva della ‘ndrangheta».

«La presenza dell’Area marina protetta – hanno proseguito Parretta e Nicoletti – ha comunque garantito la tutela del territorio (non osiamo pensare cosa sarebbe accaduto senza la sua presenza), ma deve puntare a diventare più forte nel contrasto alle illegalità e all’abusivismo edilizio a partire dal caso emblematico di Capo Colonna che deve essere completamente liberato dall’abusivismo edilizio e riportato alla fruizione sostenibile come sta già in parte accadendo grazie all’azione meritoria della procura di Crotone».

«Occorre puntare – hanno evidenziato – alla reale valorizzazione della costa finalmente liberata dal cemento illegale, fatto di moli che si protendono in mare, porticcioli, fabbricati, muri di recinzione, piattaforme in cemento armato, porticati. Bisogna affrontare e risolvere il problema dei pozzi presenti sul promontorio e delle piattaforme che sfruttano i fondali dell’Amp e sono incompatibili con la tutela della biodiversità marina oltre che con la scelta di decarbonizzare la nostra economia. In tutti questi anni, tranne gli spiccioli delle royalties, le comunità locali non hanno ottenuto nulla di buono e nemmeno una rete di monitoraggio per registrare i danni provocati dalla attività estrattiva».

«In prospettiva – hanno concluso – l’Area marina protetta Capo Rizzuto deve avere l’ambizione di diventare un laboratorio di sperimentazione avanzata sulle politiche della transizione ecologica e climatica per il mare in Calabria e nel Mediterraneo, e un ambito territoriale in cui l’utilizzo sostenibile e legale della fascia costiera favorisce la crescita del turismo sostenibile. Ma per fare questo serve un deciso salto di qualità nella tutela dello spazio costiero dove dovrà nascere un’area protetta terrestre per garantire la tutela integrata dell’enorme patrimonio di terre pubbliche occupate, usurpate e degradate. Su questi presupposti e con questi obiettivi Legambiente si misurerà nei prossimi mesi con chi vuole contribuire al rilancio dell’Amp e del territorio crotonese».

L’area marina protetta “Capo Rizzuto”, infatti, è stata istituita il 27 dicembre 1991 e da quella data la gestione è stata affidata, su delega dell’ex Ministero dell’Ambiente, alla provincia di Crotone che svolge questa funzione d’intesa con i due comuni interessati: Crotone e Isola Capo Rizzuto. La scelta di affidare all’allora nascente provincia di Crotone è stata fortemente sostenuta anche da Legambiente sebbene, alla luce dei 30 anni trascorsi, consideriamo la scelta superata, limitante per una adeguata tutela del territorio che necessita di una governance più efficace.

La nascita della Amp Capo Rizzuto è stato il frutto di una fin troppo breve stagione di politiche ambientali virtuose che hanno interessato la costa crotonese. La presenza della Amp però, anche se fondamentale, non è servita a frenare il degrado di un territorio, interessato da una forte presenza criminale che ha favorito l’aggressione edilizia della costa e la crescita di una economia turistica predatoria. Un’Amp che ha dovuto prima convivere con l’industria chimica pesante che ha lasciato scorie e inquinamento, e ora deve fare i conti con le attività estrattive incompatibili con la tutela della biodiversità marina.

«Basta questa breve sintesi – si legge in una nota di Legambiente Calabria – per comprendere come il modello gestionale pensato, fosse debole fin dalle origini. Negli anni l’Ente gestore si è manifestato in tutta la sua inadeguatezza soprattutto perché basato sulla sola presenza degli enti territoriali (provincia e comuni) dove a prevalere sono stati gli equilibrismi politici, non sempre trasparenti, a discapito della capacità di visione e di sana gestione che doveva garantire un ente (la provincia di Crotone) che ha perso ruolo, competenze, risorse e personale». (rkr)