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L’OPINIONE / Fabrizia Arcuri: Il grido inascoltato delle vittime secondarie nei casi di femminicidio

di FABRIZIA ARCURI – «Non ho parole per spiegare cos’è successo», dichiara il fratello di Marisa, rivolgendosi al sindaco di Salemi, la città della famiglia Leo. La sua richiesta: «L’assistente sociale e la psicologa dei servizi sociali cerchino con me le parole giuste per la piccola».

Queste parole toccanti rappresentano il grido disperato di chi è stato precipitato nell’abisso del dolore, una realtà che, purtroppo, diventa sempre più comune nei tragici casi di femminicidio e nei cosiddetti Family Mass Murder. Uno dei tanti esempi di quel silenzio assordante che invade chi rimane, spettatore inerme di quella tragedia.

Nell’oscurità dei resoconti dei crimini violenti emerge una realtà devastante, spesso trascurata ma profondamente penetrante: l’immenso impatto di questi eventi sui familiari delle vittime, spesso definiti ‘sopravvissuti’. Il trauma che affligge coloro che perdono un congiunto in modo così orribile è una ferita profonda, difficile da misurare, che presenta sfide emotive e psicologiche strazianti.

I familiari delle vittime diventano, allora gli ‘invisibili’, sommersi da un vortice di sofferenza, trascurati fino a scomparire nell’ombra del loro stesso tormento. La loro rabbia si mescola con il profondo desiderio di comprendere le motivazioni che hanno spinto un membro della loro famiglia a perpetrare o subire tali atti di violenza estrema. Questo intricato processo psicologico può diventare schiacciante, generando un costante senso di colpa e una ricerca incessante su come avrebbero potuto fare per impedire l’atroce evento, specialmente quando la vittima aveva precedentemente denunciato ripetutamente le violenze inflitte dal proprio aggressore.

Tuttavia, il trauma non si ferma qui. Tra le vittime figurano anche coloro che hanno assistito o addirittura vissuto direttamente eventi di efferata violenza all’interno del contesto familiare. In particolare, i figli dei femminicidi, testimoni diretti delle violenze perpetrate da uno dei genitori, si trovano in una situazione ancor più complessa, al di là degli anni che hanno al momento dellaccaduto, le ferite rimangono e sono perenni. Si trovano immersi in un conflitto emotivo tra l’affetto per l’assassino e l’orrore per i suoi atti.

La violenza subìta da un genitore può influenzare profondamente la loro percezione delle relazioni e della sicurezza nelle interazioni future. Il percorso verso la guarigione è lungo e tortuoso, la presenza costante della paura, dell’ansia e delle difficoltà nel fidarsi degli altri può ostacolare la capacità di costruire relazioni sane e appaganti. In questo contesto, la terapia e il supporto psicologico diventano essenziali per affrontare il trauma e apprendere strategie per gestire le emozioni intense e intricate legate allevento.

In questa realtà drammatica, si evidenzia chiaramente la mancanza di sostegno da parte delle Istituzioni italiane per affrontare il dolore e la complessa sfida di crescere i figli rimasti, spesso molto piccoli. Queste famiglie, spesso composte da anziani come nonni o zii, si trovano a sostenere l’onere dell’educazione e dell’orientamento dei giovani orfani dei femminicidi.

La carenza di risorse destinate all’assistenza psicologica, legale e finanziaria pone ulteriori ostacoli insormontabili sul cammino di coloro che sono già stati travolti da una tragedia inenarrabile. Questo quadro riflette una grave assenza di riconoscimento e di supporto da parte dello Stato, lasciando i familiari delle vittime secondarie con una sensazione angosciante di abbandono da parte dell’istituzione che dovrebbe essere loro alleata.

L’insufficienza di sostegno adeguato da parte delle istituzioni e delle normative italiane è stata richiamata più volte dall’Unione Europea. Le lacune nelle leggi italiane per la tutela delle vittime secondarie nei casi dei delitti familiari rappresentano un problema persistente. Le risorse destinate all’assistenza psicologica, legale e finanziaria spesso si dimostrano scarse o addirittura assenti. Questa circostanza lascia i familiari delle vittime esposti a un livello di vulnerabilità intollerabile, aggravando la loro percezione di essere stati abbandonati dalla stessa istituzione che dovrebbe tutelarli.

La Convenzione europea sul risarcimento delle vittime di crimini violenti, adottata nel 1983 dal Consiglio d’Europa, rappresenta uno strumento fondamentale per garantire protezione e sostegno alle vittime di reati violenti, inclusi i casi di Family Mass Murder. Questa Convenzione riconosce che le vittime di tali crimini spesso subiscono danni psicologici ed emotivi duraturi e richiama il necessario supporto e tutela.

Tuttavia, l’applicazione di queste disposizioni varia da Paese a paese, e l’Italia è stata richiamata più volte per migliorare le proprie normative in materia di risarcimento delle vittime di crimini violenti. È necessario uno sforzo più incisivo da parte delle istituzioni italiane per introdurre leggi che riconoscano e tutelino i diritti dei familiari delle vittime secondarie, garantendo l’accesso a servizi di supporto psicologico specializzati, risarcimenti adeguati e un riconoscimento ufficiale del loro status di vittime.

L’appello è chiaro e inderogabile: l’Italia deve agire ora per proteggere le vittime dei reati violenti, come i delitti familiari. È un imperativo morale che richiede azioni immediate e decisive da parte delle istituzioni. Nessuna vittima, diretta o secondaria, deve sentirsi abbandonata nel proprio percorso verso la giustizia e la guarigione.

Questa è una sfida che non possiamo più ignorare o rimandare. Il nostro dovere come società è proteggere coloro che sono stati colpiti da questi orrori indicibili e offrire loro una possibilità di speranza e normalità. È giunto il momento di illuminare l’oscurità che circonda le vittime secondarie e garantire loro il riconoscimento e il sostegno che meritano.

In questo cammino, l’informazione svolge un ruolo cruciale poiché una comunicazione chiara e consapevole deve sostituire mistificazioni e racconti sensazionalistici. L’informazione dovrebbe essere un veicolo di consapevolezza e sostegno, contribuendo così a creare una società più informata e responsabile. È essenziale che l’opinione pubblica sia informata in modo accurato ed etico, evitando la diffusione di storie distorte che possono alimentare malintesi e pregiudizi, anziché contribuire a migliorare la situazione, spesso ignorando le sofferenze delle famiglie e degli orfani.

Non possiamo permettere che queste ferite rimangano aperte. È ora di agire, di cambiare le leggi e la loro attuazione, di sensibilizzare l’opinione pubblica e di mettere fine a questa tragedia che colpisce in maniera indelebile e nel cuore di quella realtà, le famiglie che invece devono tornare a essere ciò che sono, un rifugio e un nido di amore.

Solo attraverso una maggiore consapevolezza, l’implementazione di normative robuste, un sostegno completo e il pieno riconoscimento del diritto al risarcimento, morale ed economico, del danno possiamo iniziare a lenire le profonde ferite causate da queste devastanti tragedie. La strada è lunga, ma la prevenzione, leducazione e limpegno da parte delle istituzioni devono essere chiari e incisivi. Solo così possiamo spezzare le catene di morte annunciate e rompere il silenzio che avvolge il dopo. (fa)

[Fabrizia Arcuri è giornalista con master in Criminologia e scienze Forensi’ e Testimone diretta e coautrice del libro “Sangue del mio Sangue”, la storia della più grande strage familiare commessa in Italia]