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Future generazioni

L’OPINIONE/ Nino Mallamaci: Combattere l’odio per restituire il futuro alle nuove generazioni

di NINO MALLAMACI – Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, il 19% dei crimini d’odio vengono commessi ai danni di chi si definisce lesbica, gay, bisessuale; il 22 % contro le minoranze etniche; il 17 % contro disabili e/o malati. Tra le minoranze etniche, Rom e nomadi sono i più colpiti; subito dopo, ebrei e musulmani. La situazione peggiora ulteriormente per chi è al contempo di colore e musulmano. 

Ma, il dato forse maggiormente preoccupante, è che 9 persone su 10 non sporgono denuncia, per i più vari motivi. Tra coloro che non denunciano, i giovani e i meno istruiti, e poi nomadi e rom – solo l’11 % lo fa – e i soggetti LGBTI, il 21 % appena. Perché? Non cambierebbe nulla, è la risposta più frequente, oppure perché è troppo difficile o ancora in ragione della scarsa fiducia nella polizia. 

Prendo conoscenza di questo quadro desolante dopo aver finito di leggere un libro particolarmente illuminante: Questa terra è la nostra terra (sottotitolo: Manifesto di un migrante), dello scrittore americano di nascita indiana, Suketu Mehta. E negli stessi giorni in cui il presidente Mattarella avverte che per fermare l’immigrazione non basta affiggere un cartello con su scritto “Vietato entrare” alla frontiera meridionale dell’Europa, mentre in Italia va avanti (o indietro, dipende dai punti di vista) la diatriba sull’approvazione del ddl Zan. 

Suketu Mehta affronta il tema delle grandi attuali migrazioni senza timori reverenziali, in maniera chiara, scrivendo ciò che tutte le persone ragionevoli dovrebbero ammettere: l’immigrazione verso l’occidente, verso i paesi ricchi, è la diretta conseguenza del modello di sviluppo che noi abbiamo imposto al resto del mondo e all’ambiente. Quello che segue è il passaggio che mi piace di più per la sua immediatezza, per la sua comprensibilità (per chi vuole capire).

«Anche a livello globale c’è un gigantesco conto da saldare. Ma i Paesi poveri non stanno dicendo che i paesi ricchi debbano inviare ogni anno sacchi di lingotti d’oro o di bitcoin in India in Nigeria. Chiedono equità: che i confini dei ricchi siano aperti a merci e persone: a vestiti made in India e a medici nigeriani. Se i Paesi ricchi non vogliono immigranti dai Paesi poveri c’è un’altra soluzione. Pagate ciò che dovete. Pagate il costo del colonialismo, delle guerre che avete imposto, delle diseguaglianze che avete introdotto nell’ordine mondiale, del diossido di carbonio che avete buttato nell’atmosfera. Saldate il conto e vedrete che i creditori non verranno a bussare alla vostra porta. Riparazioni o immigrazione: a voi la scelta.

Circa dodici milioni di africani sono stati costretti in schiavitù e portati sull’altra sponda dell’Atlantico da potenze europee. Non è giusto che dodici milioni di africani contemporanei possano vivere in Paesi arricchiti dalle fatiche dei loro antenati? Per ogni africano strappato alla sua terra per arricchire un altro Paese, non ci dovrebbe essere un africano con il diritto di emigrare in quello stesso Paese, per arricchire se stesso oltre al suo ospite? Sarebbe a vantaggio di entrambi: l’africano, che ancora patisce le conseguenze di ciò che la schiavitù ha significato per il suo Paese, e la nazione ricca, che andrà a beneficiare del lavoro africano, ma senza incalcolabili sofferenze e in cambio di un equo salario».

Finito il libro, ho attuato un’opera di promozione neanche ne fossi l’autore o l’editore. Quando si straparla di difesa dei confini dagli immigrati, come si trattasse di un’invasione di un esercito straniero armato fino ai denti, lo si fa sapendo di stare affermando il falso, oppure per egoismo e odio verso i più deboli. Ecco ciò che, a mio avviso, lega l’indagine dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali con quanto scrive Mehta: l’odio verso il diverso, sia esso un Rom, un uomo di colore, un omosessuale, un migrante climatico o di guerra o, semplicemente, di fame. Un sentimento ripugnante, ancora più ripugnante perché ingiustificato, non nutrito nei confronti di chi ha fatto del male a me stesso o alle persone che amo, il che sarebbe non condivisibile ma forse comprensibile. L’odio verso chi ama in un modo che non ci aggrada, verso chi ha pagato e paga il prezzo della nostra opulenza. E dove ci conduce questa maniera di affrontare i problemi, se non alla distruzione totale?

È per tale ragione che molti, moltissimi non credenti, guardano oggi al massimo esponente del cattolicesimo con ammirazione e con speranza. Papa Francesco è accusato dalla parte più retriva della Chiesa e dalla peggiore Destra politica di simpatie comunisteggianti, quando si limita a dire ciò che la sua fede gli impone: amatevi e amate la natura – anzi il Creato, per chi è credente – aiutate chi ha bisogno, combattete le diseguaglianze, non alimentate la guerra vendendo armi. Un messaggio potente e rivoluzionario nella sua semplicità, al quale tutto il mondo, se si vuole salvare, deve dare seguito. Non c’è altra strada da percorrere.

I nostri ragazzi, i nostri bambini, vivono il presente, e basta. Noi abbiamo avuto la fortuna di vivere il presente guardando al futuro, lottando, chi più chi meno, per migliorare la condizione dei singoli e della collettività. Abbiamo il dovere morale di combattere l’odio in tutte le sue forme e declinazioni, per restituire il futuro ai bambini, ai ragazzi, ai giovani. Con forza, con determinazione, qui e ora, perché non esiste una seconda possibilità. (nm)