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Pietro Melia col suo libro ricostruisce il primo sequestro di persona della Locride

Pietro Melia col suo libro ricostruisce il primo sequestro di persona della Locride

di PINO NANOA Bovalino, nella Locride, il “Caffè Letterario Mario La Cava” riaccende i riflettori sull’Anonima Sequestri e sulle tante vittime di quella terribile stagione in Calabria.

Erano i primi anni ’70.L’occasione è il lancio in prima nazionale dell’ultimo libro del giornalista Pietro Melia, storico inviato di cronaca della Rai, testimone severo appassionato e coraggioso di quegli anni in cui i sequestri di persona in Aspromonte erano una regola quotidiana. 

Nel titolo del libro c’è tutto, Il Sequestro Matarazzi, nell’inferno dell’Anonima Spa,presente alla manifestazione di Bovalino c’è anche Tobia Matarazzi, vittima del sequestro di persona che Pietro Melia ricostruisce in questo saggio con maniacale attenzione e da osservatore privilegiato di quel mondo. 

Correva l’Anno 1975, e quello dell’imprenditore Tobia Matarazzi fu il primo sequestro di persona nel territorio della Locride dopo l’uccisione di Antonio Macrì, allora considerato il Capo dei capi della ndrangheta calabrese, definito anche “il boss dei due mondi”, e questo primo sequestro aprì poi, di fatto, la cosiddetta stagione dei sequestri in Aspromonte

Al tavolo della presidenza insieme allo stesso Pietro Melia ci sono un magistrato molto famoso, Ezio Arcadi, per lunghi anni Sostituto Procuratore della Repubblica a Locri , un uomo che ha attraversato in prima persona e da protagonista le varie inchieste sull’Anonima in Calabria, soprattutto un giudice che ha segnato profondamente la storia della lotta al mondo organizzato del crimine in Calabria e che ha accettato di scrivere per il saggio di Melia la postfazione. Con lui, Domenico Calabria, il Presidente del “Caffè Letterario Mario La Cava”, e l’editore di “Città del Sole”, la casa editrice che ha stampato il saggio di Melia, Franco Arcidiaco

Una serata ricca di emozioni, affollatissima, ricca di stimoli e di analisi sul fenomeno dei sequestri di persona, che Pietro Melia racconta in questo libro con una leggerezza magistrale, da grande cronista quale lui è sempre stato, ma soprattutto da scrittore navigato, perché guai a dimenticarlo, ma Pietro Melia per 25 anni, oltre che a fare televisione, ha scritto quasi ogni giorno dalla Calabria per Il Mattino di Napoli, raccontando la Locride e le cronache criminali di questa parte del Sud come in quegli anni nessun altro forse ha mai trovato il coraggio di fare.

Un libro, questo, che andrebbe distribuito ora nelle scuole, tanto è scritto così bene. Sembra una scenografia cinematogrfica in piena regola, dove tutto sembra immaginifico e fantastico, ma dove tutto invece è reale e cruento quanto mai, e che Tobia Matarazzi ripercorre con l’autore come se tutto appartenesse all’oggi e non a mezzo secolo fa.

Ma nel libro c’è di più. Una mattina, inseguendo le indagini sul sequestro di Tobia Matarazzi, per il cronista-autore dello scoop incominciano i primi problemi seri. Pietro Melia non enfatizza nulla, rimane freddo anche in questa occasione, ma il racconto che fa di quelle ore è a tratti drammatico e inquietante insieme. Scioccante, inedito, avvolgente e insieme emblematico il racconto che il grande inviato fa nel suo libro dell’attentato in cui lui stesso ha rischiato di essere ucciso dai sicari della ‘Ndranheta. Era il 2 agosto 1975. “Forse sono nato quel giorno, e non anni prima, e forse devo ringraziare la mia vecchia e malandata utilitaria che intralciò l’attività dei sicari. Fossero riusciti ad entrare nel bar dell’Agip forse non sarei qui a raccontare questa storia, che sembra un romanzo ma non lo è”. 

La parte finale del saggio di Pietro Melia ci riserva invece l’analisi più impietosa che si potesse fare, o anche immaginare, sul fenomeno dei sequestri di persona, e viene da un magistrato importante, profondo conoscitore di questo mondo, protagonista assoluto di tanti anni di inchieste giudiziarie nella locride e non solo, Ezio Arcadi, per noi giovani cronisti di allora era quasi una icona, il quale nella sua postfazione scrive quello che per decenni altri hanno taciuto o hanno fatto finta di non capire: “Per farla breve:” i sequestri, per gli apparati che contavano, erano episodi frammentari di criminalità e non rivestivano la dignità di problema nazionale”.

Ma preziosissimo anche il contributo di Aristide Bava, giornalista di lungo corso anche lui e profondo conoscitore della Locride che per il saggio di Melia ricostruisce le varie fasi della dinastia imprenditoriale dei Matarazzi, dimostrando alla fine come un sequestro di persona non solo distruggeva la vita delle vittime prescelte, ma a volte distruggeva anche interi imperi finanziari.

E la chicca finale del libro è la riproposizione della sentenza del processo legato al sequestro di Tobia Matarazzi, perché nella sentenza che l’autore ripropone in maniera integrale c’è in effetti un pezzo di storia criminale di quegli anni e di questa regione. (pn)