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Primarie Pd, il duello nei 189 gazebo calabresi con il paradosso Irto-Bonaccini sull'autonomia

Primarie Pd, il duello nei 189 gazebo calabresi con il paradosso Irto-Bonaccini sull’autonomia

di SERGIO DRAGONELa parola ai gazebo che in Calabria sono 189 (31 in provincia di Catanzaro, 78 in quella di Cosenza, 13 in quella di Crotone, 47 in quella di Reggio Calabria, 24 in quella di Vibo Valentia).

Il Partito Democratico sceglie il suo segretario/segretaria con il sistema delle “primarie aperte”, da più parti criticato perché “apre” a tutti gli elettori del centrosinistra, dimenticando che da Veltroni in poi tutti i segretari dem, salvo i reggenti come Franceschini e Letta, sono stati eletti così. Non è dunque necessario essere iscritti al PD, basta versare 2 euro e presentare la propria tessera elettorale.

Lo scontro è tra i due più votati nella “fase uno” delle primarie. Il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e la deputata Elly Schlein, peraltro fino a pochi mesi fa vice del suo avversario nella Regione più rossa d’Italia.

Non è solo uno scontro tra personalità, ovviamente molto differenti. È uno scontro tra due visioni del partito e della politica. 

Bonaccini ha 56 anni, è un ottimo governatore della sua Regione e si muove su una linea di sostanziale continuità. Il suo – se vincerà – sarà un PD che guarda verso il centro, alternativo e conflittuale con il Movimento Cinquestelle. Un partito riformista che, secondo i suoi detrattori, è una riproposizione del renzismo.

La Schlein ha 37 anni, gira con uno zainetto e indossa sempre jeans, è femminista, movimentista e ambientalista. Il suo PD – se vincerà – sarà un partito che guarda a sinistra, che tenterà di riappropriarsi dello spazio che gli è stato risucchiato dal movimento guidato da Giuseppe Conte. Secondo i suoi detrattori, porterebbe il PD nell’orbita dei grillini e in una zona minoritaria.

Nella prima fase delle primarie, quella riservata agli iscritti, Bonaccini ha vinto largamente in Calabria, anche perché l’intero gruppo dirigente si è schierato con lui, con in testa il segretario-senatore Nicola Irto. Il governatore dell’Emilia ha ottenuto il 54% (circa 3800 voti) contro il 22% della Schlein (1594), mentre i due competitor minori Paola De Micheli e Gianni Cuperlo hanno totalizzato rispettivamente il 16% (1212) e il 10% (752).

È naturale che Bonaccini parta avvantaggiato anche nella fase due delle primarie in Calabria, non fosse altro che l’intero gruppo consiliare alla Regione, più l’indipendente Amalia Bruni, sono schierati con lui. Ma l’esito dei gazebo è sempre un’incognita. A livello nazionale, si prefigura un testa a testa molto tirato anche per via della diversa provenienza geografica del consenso ai due candidati: Bonaccini è molto forte nei piccoli e medi centri, la Schlein è uscita vittoriosa in tutte le grandi città, da Milano, a Roma, a Napoli.

Ma il largo consenso ottenuto in Calabria da Bonaccini al primo turno apre una riflessione politica di non poco conto su quello che non è un azzardo definire un colossale paradosso. Il governatore dell’Emilia Romagna è stato di fatto il battistrada dell’autonomia differenziata delle Regioni più ricche (Lombardia, Veneto e appunto Emilia Romagna) con un processo che portò alla firma di un protocollo d’intesa con il Governo centrale. La strada aperta da Bonaccini fu utilizzata anche dai Governatori leghisti di Lombardia e Veneto, Roberto Maroni e Luca Zaia, che addirittura promossero un referendum nelle loro Regioni.

La Regione Emilia Romagna chiedeva di ottenere maggiore autonomia legislativa e amministrativa per gestire direttamente e con risorse certe materie fondamentali come lavoro, istruzione tecnica e professionale, ricerca scientifica e tecnologica, sanità, ambiente e infrastrutture. In pratica quello che c’è scritto oggi nella bozza Calderoli che vede la fiera risposta di tutte le Regioni meridionali, compresa la Calabria.

All’epoca ci fu una forte reazione al punto che il Consiglio regionale della Calabria, presieduto proprio da Nicola Irto oggi maggiore sponsor di Bonaccini, approvò una risoluzione il 30 gennaio del 2019 che affermava, tra le altre cose, che ”tale processo di rafforzamento dell’autonomia di tre fra le Regioni più ricche d’Italia, nell’attuale momento storico del Paese, contrassegnato dall’incremento delle sacche di povertà e disagio sociale, manifesta profili allarmanti sul versante della potenziale lesione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, tra i quali l’uguaglianza di tutti i cittadini e l’unità e indivisibilità della Repubblica”.

Nella stessa risoluzione, il Consiglio regionale, che era a maggioranza PD-centrosinistra, diffidava

il Governo nazionale a predisporre atti che prevedano trasferimento di poteri e risorse ad altre Regioni sino alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, lettera m della Costituzione)”.

Insomma, Irto e Oliverio contro Bonaccini, Zaia e Maroni. Cosa è cambiato? Il paradosso politico resta tutto: la Calabria, una delle Regioni più ostili all’autonomia differenziata aperta dall’iniziativa Emilia Romagna-Lombardia-Veneto, si schiera apertamente, senza se e senza ma, per uno dei paladini di quel disegno autonomista. Misteri della politica e soprattutto misteri del Partito Democratico. Che non a caso nella nostra Regione colleziona sconfitte seriali. (sd)