L'APPELLO DI OLTRE 100 PERSONALITÀ, TRA SINDACI, ISTITUZIONI E ASSOCIAZIONI, A MATTARELLA;
SERVE UNA TRANSIZIONE ENERGETICA CHE NON DISTRUGGA IL TERRITORIO CALABRESE

SERVE UNA TRANSIZIONE ENERGETICA CHE
NON DISTRUGGA IL TERRITORIO CALABRESE

La devastazione del territorio calabrese s’impenna invece di arrestarsi. Così un nutrito gruppo di  associazioni immediatamente sostenuto da intellettuali, artisti, soggetti economici, amministratori, uomini e donne delle istituzioni che il degrado mette in difficoltà, ha ritenuto necessario esprimere sofferenza e al contempo proposte concrete per avviare finalmente una stagione politica orientata al recupero della qualità  ambientale e della serenità sociale nella nostra tormentata regione.

La forma comunicativa prescelta è una lettera aperta al Presidente della Repubblica, invocando «una riconversione energetica che non faccia a pugni con il rinnovato articolo 9 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica tutela il paesaggio, il patrimonio storico e artistico, la biodiversità e gli ecosistemi». Perché, si sottolinea, «è paradossale che si continuino a costruire impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili che abbattono migliaia di alberi, alterano morfologie a volte già fragili incrementando il dissesto idrogeologico, consumano e degradano il suolo».

La lettera è stata sottoscritta da oltre 100 firmatari fra sindaci, ex senatori ed ex senatrici, situazioni territoriali, associazioni culturali, uomini e donne della cultura, del cinema, e dello spettacolo, parroci, enti pubblici, camminatori ed esploratori che hanno a cuore l’ambiente e il nostro territorio, contadini, aziende e cooperative agricole. Obiettivo della missiva aperta è quello di creare un effetto mediatico positivo oltre che un minimo comune denominatore tra le tante anime dei soggetti e dei comitati pronti a far nascere, a stretto giro, un coordinamento regionale di tutti coloro che si oppongono all’avanzata dell’eolico e del fotovoltaico stragisti, agli impianti di produzione di energia rinnovabile sostitutivi di boschi, terreni agricoli e suolo naturale.

Caro Presidente, siamo italiani della Calabria,  cittadini a vario titolo impegnati nelle vicende intellettuali, politiche, economiche, sociali e artistiche della nazione, e, spinti dallo stesso disagio, dallo stesso dolore e dalla stessa preoccupazione che hanno già prodotto fermento in altre aree del Meridione e delle Isole, ci rivolgiamo a Lei, considerandoLa un garante del buon senso oltre che della Costituzione, mentre nei territori che abitiamo vengono meno ogni giorno le precondizioni della vita, subiscono duri colpi gli ecosistemi, avanza il degrado ambientale  travolgendo il paesaggio e ogni ipotesi di sviluppo rurale e turistico fondato sulle risorse locali e sul presidio umano delle zone montane e collinari.

Questo vasto e progressivo processo di destrutturazione ecosistemica dei luoghi in cui viviamo è generato da una radicalizzazione degli approcci riduzionistici alla crisi ecologica (affrontata esclusivamente come problema energetico), che hanno creato i presupposti della proliferazione indiscriminata di mega impianti eolici e fotovoltaici. Sono passati ora vent’anni dal decreto legislativo 387 del 2003, il cui dodicesimo disgraziato articolo è dedicato alla Razionalizzazione e semplificazione delle procedure amministrative, e possiamo purtroppo constatare di avere vissuto un assalto senza precedenti alla qualità della nostra vita, siamo entrati in un’epoca che i posteri da noi danneggiati potranno legittimamente chiamare “ il Far West delle fonti rinnovabili”.

Signor Presidente noi chiediamo alla comunità nazionale una riconversione energetica che non faccia a pugni con il rinnovato articolo 9 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica tutela il paesaggio, il patrimonio storico e artistico, la biodiversità e gli ecosistemi. Le associazioni, i gruppi, i comitati di cui facciamo parte, in questi ultimi vent’anni di attivismo civico, hanno verificato l’aumento dell’inquinamento e delle difficoltà del vivere quotidiano, e segnalano la diffusione di sfiducia, delusione e risentimento nel corpo sociale. Anche noi pensiamo dunque che la transizione ecologica debba essere ricollocata dentro una prospettiva politica e democratica; le comunità locali non possono più subire i loro paesaggi quale risultato di evoluzioni tecniche ed economiche decise senza di loro.

I nostri sindaci, i nostri rappresentanti istituzionali più prossimi, frustrati dall’impossibilità di contribuire a valutazioni così importanti per gli equilibri dei territori che amministrano, sono i soggetti più consapevoli della complessità dei problemi anche da Lei affrontati nei giorni scorsi, quando è  andato a Longarone, sessant’anni dopo il 9 ottobre del 1963,  a commemorare le vittime del disastro del Vajont, 1910 vittime del malgoverno del territorio, del desiderio cieco dell’uomo di piegare a proprio piacimento la natura per guadagnare il massimo profitto, come ha detto il Presidente Fedriga da Lei citato.

Lei ha dimostrato di sapere benissimo, e dunque siamo certi di sfondare una porta aperta, che la buona salute dei suoli, insieme all’arresto del loro consumo mediante quell’intervento legislativo  tanto atteso e in fase di stallo da più lustri, è conditio sine qua  non del  contrasto ai cambiamenti climatici: per catturare l’anidride carbonica, per assorbire in sinergia con le piante l’acqua piovana rendendoci meno vulnerabili in caso di forti piogge, per produrre cibo, legna e habitat per tutti gli organismi indispensabili alle reti di vita in cui noi umani siamo impigliati.

Del resto si tratta di compiti e temi a cui ci richiama l’Ispra, con una continua produzione scientifica che dovrebbe rappresentare la bussola delle amministrazioni in materia ambientale, trovandosi in perfetta sintonia con l’Europa; compiti e temi pienamente accolti dal nostro Piano di Transizione Ecologica, che assume la necessità di individuare per gli impianti fotovoltaici ed eolici le superfici idonee coerentemente con le esigenze di tutela del suolo, delle aree agricole e forestali e del patrimonio culturale e paesaggistico in conformità ai principi di minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio (lo stesso piano individua come soluzione migliore lo sfruttamento prioritario delle superfici di strutture edificate come tetti di edifici pubblici, capannoni, parcheggi,  aree e siti oggetto di modifica, cave e miniere cessate).

Non è paradossale, signor Presidente, che a fronte di tutti questi sforzi conoscitivi, di queste indicazioni ufficiali e di questa consapevolezza si continuino a costruire impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili che abbattono migliaia di alberi, alterano morfologie a volte già fragili incrementando il dissesto idrogeologico, consumano e degradano il suolo? Per quali ragioni il nostro sistema paese di cui Lei è il Presidente fa entrare la sostenibilità dalla porta per farla uscire subito dopo a calci nel sedere dalla finestra?

Noi ci aspettiamo da Lei una parola di sostegno nei  nostri confronti, perché abbiamo a cuore interessi generali insidiati al momento dal trionfo di interessi particolari; confidiamo in un pubblico intervento da parte Sua sulla questione di fondo da noi sollevata: l’esigenza di produrre sempre più energia rinnovabile deve essere armonizzata con altre pressanti esigenze, non può intaccare il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione. Lei il 9 ottobre 2023 ha pronunciato parole sacrosante, alle quali è necessario che seguano fatti concreti, prodotti dai vari attori delle nostre istituzioni e da noi cittadini rimessi nelle condizioni di partecipare a una dinamica democratica degna di questo nome.

Presidente ci muove l’ansia di riconciliarci con il mondo che ci ospita, con la natura e l’ambiente in cui siamo immersi, e  immaginiamo che la resistenza nostra, la voglia di non arrendersi allo strapotere di chi preme con la sua forza economica sulle istituzioni per indirizzarne le scelte a proprio esclusivo vantaggio, sia considerata da Lei un’ancella dei compiti della Repubblica. 

Noi ci sentiamo, mutatis mutandis, simili a Tina Merlin, la cui attività  di informazione e denuncia avrebbe meritato l’ apprezzamento e l’appoggio dei Capi dello Stato in carica in quegli anni. Faccia valere il senno del poi, il senno del dopo Vajont, nei nostri tormentati giorni. Siamo Davide che fronteggia Golia, e ci piacerebbe salire sulle Sue spalle per avere più  coraggio e una più solida base. (rrm)