COVID-19 – 10 idee per la Calabria: riavviare o riconvertire le industrie medicali dismesse

Dal Movimento 10 idee per la Calabria viene un’interessante proposta di progetto pilota per la riconversione o il riavvio di industria dell’area sanitaria abbandonate o parzialmente in disuso. In un articolato documento il Movimento guidato dal prof. Domenico Gattuso espone una strada percorribile, che sottoponiamo ai lettori.

«Diventa sempre più chiaro, in questo tempo di pandemia che stiamo vivendo, – si legge nel documento – che dovremo prepararci ad affrontare le trasformazioni che ci attendono perseguendo un approccio diverso alla vita, alla produzione, alla gestione delle risorse, guardando all’interesse collettivo e abbandonando la logica dell’accumulazione insensata di capitali da parte di pochi profittatori.

Occorre ripartire da noi, anteponendo i diritti dei cittadini a quelli delle multinazionali in tutti i campi, dal lavoro dignitoso alla sanità e ai servizi pubblici, ai rapporti sociali, alla produzione di beni e servizi in modo eco-equo-sostenibile. In questa ottica generale, nel mentre combattiamo le difficoltà del presente, sarebbe cosa buona attivarsi per non restare impreparati nel momento in cui bisognerà ripartire. Giocare d’anticipo è fondamentale.

Nel Dpcm “Cura Italia”,  il 16 marzo scorso, il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ha individuato misure straordinarie per le imprese al fine di fronteggiare l’emergenza sanitaria, assicurare la fornitura delle strutture e degli equipaggiamenti alle aziende sanitarie o ospedaliere, implementare il numero di posti letto specializzati nei reparti di ricovero dei pazienti affetti da virus. Sono previste forme significative di sostegno finanziario per riconvertire strutture per la produzione di mascherine, ma questo approccio dovrebbe riguardare anche tutti gli altri dispositivi di protezione individuale.

In tale contesto rientra la possibilità di far ripartire strutture che già operavano nell’ambito di queste produzioni e che nel tempo sono state abbandonate. Con due finalità: rispondere in modo rapido ed efficace all’esigenza di arginare la piena del Covid-19, avviare un’esperienza produttiva che possa offrire prodotti di primaria importanza per la salute anche dopo la fine dell’emergenza. In allegato si avanza una proposta, a mo’ di caso emblematico, relativo a due aziende che nel recente passato, nell’area industriale di Reggio Calabria (S. Gregorio), producevano mascherine, tute e numerosi altri articoli destinati all’ambiente ospedaliero chirurgico.

L’ipotesi può rappresentare un’opportunità di sviluppo legata ad un settore di produzione di estremo interesse, immediato e futuro. Recuperare i capannoni, riconvertirli, insediare una nuova moderna catena produttiva moderna, può essere un modo per reagire in modo concreto all’emergenza e contribuire a costruire una speranza collettiva. E in tal senso sollecitiamo le forze imprenditoriali e le forze di governo a dare concreto riscontro ed assumere iniziativa operativa. Nel nostro Movimento esistono molte qualificate competenze; siamo disposti a metterle al servizio della comunità e dei soggetti imprenditoriali, in termini di volontariato, da subito.

L’emergenza ha mostrato che la nostra vita può cambiare radicalmente in pochi giorni. Potrebbe cambiare nel prossimo futuro anche in meglio, se proviamo a dare alle nostre esistenze nuove fondamenta e a guardare a nuove prospettive di  vita con occhi diversi. Valorizziamo le cose positive che stiamo riscoprendo: la solidarietà, il rispetto per gli anziani, l’aria pulita, il silenzio, le strade senza auto, i ritmi di vita rallentati, lo spazio per tornare a riflettere e pensare, una vita sociale più cooperativa e libera dal consumismo».

Ecco la proposta pilota:

Lo scenario

«L’emergenza Corona Virus ha fatto emergere in tutta la sua drammaticità gli errori strategici commessi negli ultimi decenni  dalla programmazione industriale del nostro paese. La scelta di delocalizzare o addirittura abbandonare produzioni sulla sola base della valutazione dei costi di produzione, dei bassi margini o del loro basso contenuto tecnologico si è rivelata drammaticamente perdente in questi giorni. Non disporre di linee di produzione nazionali ci ha fatto trovare oggi completamente disarmati non solo di fronte alla inattesa, crescente domanda del mercato interno ma anche e soprattutto di fronte alle analoghe esigenze degli stessi paesi produttori, i primi ad essere colpiti dall’emergenza Covid-19, e degli altri paesi europei nei quali invece l’emergenza sta montando. Per esempio la valutazione fatta dalla Protezione civile di un fabbisogno di 90 Milioni di mascherine al mese già sembra di difficile soddisfazione e potrebbe anche essere sottovalutata se il trend del contagio non dovesse migliorare rapidamente e se altri fattori, ad oggi non prevedibili, non dovessero limitare nel tempo lo stato di emergenza

Come è naturale i paesi produttori hanno prima pensato a soddisfare la domanda interna ed anche le ventilate, anche se mai dimostrate, denunce di alcuni media di tentativi di accaparramento da parte di alcuni stati di prodotti destinati ad altri non può lasciare tranquilli. Anche se questa azione non è stata effettivamente messa in atto, nessuno può escludere che nell’eventualità del precipitare dello stato di emergenza, evento che nessuno oggi può escludere, non porti uno o più governi a pensarci seriamente. D’altra parte è ufficiale il tentativo fatto dagli Stati Uniti di accaparrarsi in esclusiva il diritto di disporre del vaccino in fase di sperimentazione in Germania oltre che per ragioni squisitamente economiche anche nell’evidente consapevolezza che probabilmente non ci sarà la capacità di produrne da subito a sufficienza per tutti.

Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha annunciato l’ipotesi di riconvertire strutture per la produzione di mascherine ma questo approccio dovrebbe riguardare anche tutti gli altri dispositivi di protezione individuale.

In tale contesto può la Calabria proporsi per contribuire nel breve termine al superamento di una emergenza epocale? Forse è utile ricordare che nell’area industriale di Reggio Calabria, in località San Gregorio, hanno operato sino al 1992 le aziende APSIA Med e TEPLA Med che impiegavano circa 150 lavoratori. Costituivano  un gioiello di fabbrica ristrutturate e gestite dalla GEPI. Gli operai, sigillati nelle loro tute bianche con calzari e cappellini, operavano in ambienti completamente asettici. La diversa gamma di prodotti, infatti, era destinata all’ambiente ospedaliero chirurgico; di conseguenza, la qualità era un must. All’inizio degli Anni Novanta, la GEPI cominciò, sul piano nazionale, a vendere le aziende a privati. APSIA e TEPLA furono affidate a mani incaute di manager siculo-napoletani, referenti di una holding con sede in territorio elvetico. In meno di due anni (1991-92), entrambe le Società sparirono dal mercato.

Analisi della soluzione proposta

L’ipotesi avanzata è che dalla crisi possa nascere un’opportunità di sviluppo legata ad un settore di produzione di estremo interesse, immediato e futuro. Recuperare i capannoni, riconvertirli, insediare una nuova moderna catena produttiva.

Le due imprese APSIA Med E TEPLA Med erano localizzate nel polo industriale di  San Gregorio, Via dell’Industria

Area industriale di San Gregorio (RC)

 

L’area dista pochi Km dall’aeroporto di Reggio Calabria, 10 Km dall’imbocco dell’autostrada Salerno Reggio Calabria e 20 Km dall’ imbarcadero per la Sicilia del porto di Villa San Giovanni. Da un punto di vista logistico gli stabilimenti si trovano quindi in una posizione ottimale per rifornire in tempi rapidissimi tutto il Sud Italia, inclusa la Sicilia, ed eventualmente anche zone più remote grazie alla prossimità con l’aeroporto.

Approccio operativo proposto

Al fine di rendere operativo l’avvio della produzione nei tempi più rapidi possibili ed in linea con quelle che sono le esigenze della situazione di emergenza in atto si potrebbe procedere attraverso una Joint-Venture tra un pool di imprenditori locali ed un’azienda italiana o estera in grado di mettere a disposizione il know how e le certificazioni necessarie per avviare la produzione, anche in deroga alle norme meno rilevanti in relazione allo stato di emergenza che si sta vivendo come peraltro previsto dal Dpcm Cura Italia del 16 marzo.

La Joint-Venture acquisirebbe i locali ed i macchinari necessari anche facendo ricorso alle misure straordinarie previste dal Dpcm Cura Italia. Per quanto riguarda la forza lavoro l’ipotesi è di attingere alla base percettrice di Reddito di Cittadinanza da assumere con contratto a termine per il periodo a copertura della produzione in che comunque dovrebbe essere assicurata nelle forme che saranno previste dalle procedure per tutta la durata dell’emergenza. Il contratto sarebbe poi trasformato a tempo indeterminato per al quota di lavoratori coerenti con il piano industriale che verrebbe redatto per garantire la sopravvivenza nel mercato della Joint Venture anche dopo l’emergenza.

Opportunità per il territorio

Una tale proposta costituisce una soluzione che, se da un lato è utile per contribuire alla produzione straordinaria in questo periodo emergenziale, dall’altro può costituire un’opportunità per far ripartire un’area industriale che tante illusioni aveva scatenato ai tempi del Piano Colombo, ma che poi aveva visto progressivamente svanire ogni speranza occupazionale e di sviluppo per la città di Reggio Calabria. E’ inutile infatti ricordare che il livello occupazionale in tutta la Calabria e nell’area della Città Metropolitana di Reggio Calabria sta decrescendo a valori drammatici a causa della mancanza di opportunità di lavoro, anche per i giovani di elevata scolarità. Secondo dati Istat, il tasso di migrazione dalla Calabria verso altre Regioni è il più alto d’Italia. Si stima che circa 4/5000 giovani lascino la Regione ogni anno e più o meno altri 10.000, pur essendo residenti, lavorino in Regioni del centro-nord o all’estero.

Tale iniziativa quindi può costituire un tassello per ravviare e sostenere nel tempo la ripresa dell’occupazione e della produzione in un’area già oggi in condizioni drammatiche e quindi ancora a maggior rischio per le conseguenze di quella recessione paventata da tutti gli economisti come conseguenza del terribile momento che stiamo vivendo».  (rrc)