L’ECONOMIA CALABRESE CRESCE DEL 5,7%
MA RIMANGONO LE FRAGILITÀ E IL DIVARIO

L’economia calabrese è in ripresa, con una crescita del 5,7%. È quanto è emerso dal rapporto di Bankitalia sull’Economia Calabrese, dove viene evidenziato, tuttavia che, nonostante la crescita, il dato resta comunque «inferiore di circa un punto percentuale alla media nazionale».

Un dato, come ha evidenziato Aldo Ferrara, presidente di Unindustria Calabria all’Agi, che «non deve farci illudere, ed è solo apparentemente favorevole, perché il report mette a confronto il 2021 con il 2020, che è stato l’annus horribilis dell’economia nazionale e regionale anche a causa del lockdown».

Per Ferrara, infatti, si tratta di «un dato che, peraltro, non recupera la perdita di Pil del 2020 e in più è sotto di un punto rispetto al dato nazionale. Emergono, invece, in maniera plastica, le tradizionali debolezze e fragilità e il divario della nostra economia rispetto al resto del territorio».

Per il rapporto, «la ripresa ha tratto vantaggio dall’allentamento delle precedenti misure di restrizione, reso possibile anche dall’accelerazione della campagna vaccinale. Grazie al rafforzamento del quadro congiunturale, l’uscita graduale delle misure di sostegno introdotte durante l’emergenza Covid-19 non ha generato rilevanti contraccolpi negativi», mentre alla fine del 2021 e nei primi mesi del 2022 si sono caratterizzati per un rallentamento del ciclo economico, «su cui ha inciso da una parte la nuova ondata epidemica legata alla variante Omicron e dall’altra l’incremento dei costi energetici, che si è poi particolarmente acuito da fine febbraio con lo scoppio della guerra in Ucraina. Le conseguenze negative del conflitto risultano diffuse tra le imprese calabresi, sebbene più forti nei settori ad alta intensità energetica, che pesano per il 9,6 per cento del totale del valore aggiunto regionale».

«A fronte di una bassa quota degli scambi commerciali diretti con i paesi in guerra – viene spiegato nel Rapporto – i principali riflessi negativi sono legati alle ulteriori oscillazioni nei mercati di energia e materie prime, che hanno determinato forti rialzi dei costi di produzione. Le strategie aziendali messe in atto prevedono solo un parziale assorbimento dello shock attraverso una riduzione dei margini di profitto, a cui si affiancherebbe un incremento dei prezzi di vendita. Ciò potrebbe incidere sul potere di acquisto delle famiglie, specialmente quelle meno abbienti (più diffuse in Calabria rispetto al resto del Paese), per le quali è maggiore la quota di consumi assorbita da beni particolarmente interessati dagli aumenti (come elettricità, gas e prodotti alimentari)».

In parole povere, come ha riassunto il presidente degli industriali calabresi, «si rileva una rarefazione persistente del sistema industriale non poteva essere diversamente. Come l’abbiamo lasciato, lo abbiamo trovato. Sono state messe in campo politiche difensive, di preservazione del sistema produttivo, basti pensare all’incetta bonus, di una tantum, sia a livello nazionale che a livello regionale, per esempio il decreto aiuti, il Decreto sostegni, il Decreto liquidità. Abbiamo fatto mettere in campo, insieme alla Regione, il Fondo Calabria Competitiva, ovvero mini prestiti pari all’1% all’impresa, cos’ come il provvedimento Lavoro Calabria per preservare il personale all’interno delle imprese. Ma è una politica difensiva, per cui la crescita è stata semplicemente un rimbalzo tecnico».

Eppure, per Bankitalia il Pnrr potrebbe essere uno di quei fattori che potrebbero influire positivamente nella crescita del 2022, grazie agli «investimenti su infrastrutture e servizi pubblici, che si sommeranno a quelli che saranno realizzati con altre risorse nazionali ed europee. I benefici di tali misure dipenderanno però anche dalla capacità di progettazione e dalla velocità di realizzazione degli interventi da parte degli enti territoriali calabresi, che spesso nel passato sono risultate inadeguate».

Fondi, che è «necessario utilizzare bene», come ha evidenziato il segretario generale di Cisl CalabriaTonino Russo, che ha sottolineato come quella evidenziata dal Rapporto sia una «ripresa insufficiente, però, a recuperare i ritardi e le perdite dovute all’emergenza pandemica, tra l’altro con l’ultimo trimestre fortemente segnato dall’aumento dei prezzi che penalizza soprattutto le famiglie a basso reddito».

«Sul fronte del lavoro – ha evidenziato – in una situazione già gravemente caratterizzata da disoccupazione e precariato, sono fortemente penalizzati i giovani e le donne. C’è un divario territoriale da recuperare, sulle infrastrutture materiali e immateriali, rispetto ad altre aree del Paese; un divario che riguarda anche le strutture logistiche necessarie per migliorare gli accessi ai mercati. Bisogna favorire processi produttivi innovativi. È evidente, come la Cisl sostiene, la necessità di un patto per lo sviluppo».

Nel Rapporto, viene evidenziato come il mercato del lavoro calabrese abbia beneficiato della ripresa produttiva, e che nel 2021 sono cresciute le posizioni di lavoro dipendente, «in un quadro che è stato caratterizzato da un ritorno delle assunzioni su livelli di poco inferiori a quelli del 2019 e da un numero ancora contenuto di cessazioni. La domanda di lavoro delle imprese ha favorito soprattutto le posizioni a bassa qualifica e a termine, mentre rimangono ridotte le assunzioni previste nelle categorie professionali più qualificate».

«Grazie all’aumento dell’occupazione – si legge – i redditi nominali hanno recuperato i livelli pre-pandemici, favorendo la ripartenza dei consumi. Dopo il calo del 2020, le compravendite immobiliari sono fortemente cresciute, mostrando anche dei mutamenti nelle preferenze abitative rispetto al passato. La spesa delle famiglie è stata sostenuta dalle misure pubbliche di sostegno alle fasce più povere e dal ricorso al credito bancario, tornato ad aumentare. Il potere di acquisto dei redditi è stato tuttavia frenato dalla crescita dei prezzi al consumo, che si è accentuata a partire dalla seconda metà dell’anno».

Il segretario Russo ha voluto sottolineare « la grande preoccupazione circa la debolezza della Pubblica Amministrazione rispetto all’urgenza di una gestione qualificata ed efficace delle risorse Pnrr. È questo il primo, fondamentale, nodo da sciogliere», mentre il presidente Ferrara ha ribadito la necessità di «una cura da cavallo, indipendentemente da quelli che sono i cicli economici. Abbiamo a disposizione – ha spiegato all’Agi – visto che da qui a breve il Por sarà operativo, una quantità di risorse enorme che dobbiamo destinare esattamente a un sistema di incentivi che vada a stimolare uno straordinario piano di investimenti».

«Solo questi ultimi – ha proseguito – possono creare una crescita duratura perché cresce l’economia, quando le aziende producono e vendono. Allora, dobbiamo agire per disegnare questo sistema di incentivi che ammoderni il sistema produttivo esistente che, anche se rarefatto, c’è. Serve un investimento nel capitale umano e nelle competenze. Dobbiamo dare alle aziende la possibilità di ristrutturarsi e di ampliarsi soprattutto avendo come guida le tecnologie avanzate. La grande sfida – ha detto ancora – non c’è dubbio che rimane l’aumento della densità imprenditoriale».

«In Calabria ci sono poche imprese. Dobbiamo creare un ecosistema imprenditoriale attrattivo sia per stimolare la nascita di nuove imprese endogene, sia per attrarne fuori regione».

Nel Rapporto, infatti, viene evidenziato come, per quanto riguarda le start up, che in Calabria «erano 264, l’1,9 per cento di quelle presenti in Italia; si tratta di poco più di 14 imprese ogni 100.000 abitanti, un valore nettamente inferiore a quello nazionale e del Mezzogiorno (rispettivamente 23,8 e 17,8)».

«Tale dato – viene spiegato – è in linea con la scarsa specializzazione del sistema produttivo calabrese nei settori ad alta tecnologia o intensità di conoscenza. La bassa concentrazione regionale può dipendere, almeno in parte, da fattori ambientali poco favorevoli alla creazione di nuove imprese innovative, in particolare la carenza di centri di ricerca, di incubazione e di accelerazione di rilievo nazionale, che si aggiungono al difficile contesto istituzionale e socio-economico locale in cui le giovani imprese calabresi si trovano ad operare».

«Il divario nella presenza di start up innovative in regione – viene spiegato ancora nel rapporto – nel confronto nazionale si è ampliato particolarmente nell’ultimo biennio. Tra il 2014 e il 2019 il numero di start up innovative con sede in Calabria era costantemente cresciuto, analogamente a quanto avvenuto a livello nazionale. Nel corso della pandemia, invece, si è assistito a una dinamica differenziata: mentre in Italia e nel Mezzogiorno è continuata la crescita (rispettivamente di circa il 30 e il 35), in Calabria il numero è rimasto sostanzialmente stabile, a dimostrazione di una minore capacità di adattamento ai nuovi scenari caratterizzati dalla centralità dell’economia digitale e dello smart working».

«Rispetto al contesto nazionale – si legge ancora – non si riscontrano invece differenze di rilievo con riguardo ai settori di attività economica e alle caratteristiche di governance delle imprese. A fine 2021 l’80 per cento delle start up calabresi risultava attivo nel comparto dei servizi, in particolare nell’ambito della produzione di software e consulenza informatica, di servizi di informazione e comunicazione e nella ricerca scientifica e sviluppo (figura, pannello b); la presenza di start up operanti nell’industria è minore della media nazionale, in linea con il peso limitato del settore industriale a livello regionale. Analizzando la composizione degli organi sociali, le start up innovative con prevalenza femminile (vale a dire in cui le quote di possesso e le cariche amministrative sono detenute in maggioranza da donne) sono il 13,3 per cento; quelle a prevalenza giovanile (under 35) sono il 18,2 per cento del totale. In entrambi i casi, si tratta di dati leggermente superiori alla media nazionale (rispettivamente, 12,3 e 17,5 per cento)». (rcz)