di ANNA MARIA VENTURA – I Musei hanno qualcosa di magico come le Biblioteche, gli archivi, i parchi e le aree archeologiche. Sono luoghi fisici, collocati in uno spazio ben definito, immobili all’apparenza, che pur vivono e si muovono attraverso il tempo, fra passato, presente e futuro, animati dal respiro dei beni materiali e immateriali, che raccolgono e custodiscono.
«Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. […] offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze» (International council of Museums).
Fra le diverse tipologie di Musei, di particolare interesse in Italia e molto visitati sono i Musei etnografici.
Secondo il museologo francese George Henri Rivière (1897-1985) il Museo etnografico è uno specchio in cui una comunità può riconoscersi leggendo la propria origine, la propria identità. Riscoprendo i valori del passato è possibile ragionare sul futuro e strutturare politiche per l’avvenire della comunità. In un articolo di Valentina Porcheddu, apparso sul Manifesto nell’edizione del 24 febbraio 2019, in occasione della Mostra di Georges Henri Rivière al Mucem di Marsiglia leggiamo a proposito del museologo: “Con il suo sguardo sensibile, è stato fra i creatori del “Museo etnografico” «[…] Mago nel far capire come gli oggetti culturali siano un canale di accesso a un mondo animato e in costante evoluzione». Ancora nello stesso articolo la Porcheddu riporta le affermazioni di Germain Viatte, curatore dell’interessante mostra «Molto legato all’incremento delle collezioni, Rivière le considera da etnologo come un tutto che riassume una cultura, rifiutando qualsiasi gerarchia ma includendo la loro dimensione sociale, creativa ed estetica».
In altre parole, il Museo, etnograficamente parlando, è un luogo dove si raccolgono, conservano e valorizzano le testimonianze antropologiche del territorio che rappresenta, creando in tal modo un centro di cultura prezioso per la comunità, ma anche un centro di ricerca inserito in una rete capillare di diffusione della conoscenza.
Per i beni di tradizione popolare si pone comunque il problema preliminare del loro riconoscimento e della individuazione dell’importanza dal punto di vista culturale. Lo studio tipico della museologia etnografica italiana riguarda, quasi sempre, la società contadina e la ricerca e conservazione di tutto quello che era legato alla vita e al lavoro dei suoi membri: oggetti di vita quotidiana, attrezzi di lavoro, mobilio, capi di abbigliamento, per poi renderli disponibili per la fruizione comunitaria.
Ma l’effetto più immediato che provoca una visita ad un Museo etnografico, al di là della conoscenza e crescita culturale, è il coinvolgimento del pubblico, che trasforma la visita al Museo in un’esperienza unica, sensoriale e di forte impatto emotivo.
E proprio dai Musei etnografici contadini può rinascere l’amore per la terra, per l’artigianato, per nuove attività commerciali. In Calabria ve ne sono tanti. Danno lustro ai borghi, richiamano visitatori, attratti dalla ricostruzione fedele di interni di case, che ricordano la loro infanzia, da oggetti rimasti impressi nella loro memoria, che credevano perduti per sempre, da attrezzi di antichi mestieri, che non hanno ormai più artigiani ad usarli. Da questi piccoli, ma grandi Musei sparsi in vari borghi della Calabria, si può ripartire per arginare lo spopolamento. Molti giovani, pronti a lasciare la loro terra, potrebbero sentirsi attratti da quegli oggetti, che parlano, raccontano di tanta vita, bella, ricca di sentimenti e valori, di amicizie vere, di socialità, anzi coralità, E potrebbero pensare di restare, di riprendere gli antichi mestieri, rinnovati però e adeguati ai tempi della moderna tecnologia.
Fra i più belli e suggestivi Musei etnografici della Calabria, nella Valle del Savuto, nel Comune di Figline Vegliaturo, sorge il Museo del Pane di Cuti, in cui innovazione e tradizione si mescolano in un viaggio dal passato al presente attraverso numerosi oggetti come il banchetto del calzolaio, ricco di attrezzi costruiti a mano; la cantina con tino e pigiatrice in legno di castagno; il bancone del falegname risalente al ‘700. Particolari i cestoni che custodivano il grano. Realizzati con i fusti delle spighe di grano raccontano l’arte di utilizzare gli scarti della lavorazione per realizzare oggetti che ancora oggi possiamo ammirare. Un telaio della fine del ‘700, testimonia la storia della tessitura e dei suoi pregevoli manufatti,
E’ un Museo che vive e respira e nel respiro restituisce l’odore del pane, che viene panificato nei locali attigui alla sala museale, in forni a legna e da lì diffonde la sua fragranza che sa di bontà e di sapienza antica.
Allestito nel 2018 richiama un gran numero di visitatori, fra cui scolaresche da ogni parte della Calabria. Proprio il coinvolgimento dei giovani ne decreta il successo. Pina Oliveti è l’anima del Museo, donna di raffinata cultura, scrittrice e poetessa, appassionata e coinvolgente, quasi una sacerdotessa, che custodisce il Museo, come fosse un tempio, ma al contempo ne svela la bellezza nei suoi racconti di storia vera, il suo parlare poetico, il suo amore per il passato, che gelosamente conserva dentro di sé, come in uno scrigno, che si accompagna al suo amore per il pane , che venera come un oggetto sacro, che da un passato lontano si offre agli uomini perché possano vivere e assicurare vita e futuro ai loro figli. Pina Oliveti non è gelosa del “Genius loci”, che si cela fra gli antichi arnesi e l’odore del pane e poi spontaneamente le appare, anzi aiuta i visitatori a scoprirlo, affinchè si sentano in sintonia con lo spirito di questo magico luogo.
La storia del pane di Cuti è più antica del Museo. Inizia nel 1985 a Cuti, rione del centro storico di Rogliano, luogo di origine dei fondatori del panificio. Cuti è un quartiere di artigiani, abili maestri di costruzioni, tessitori, commercianti, esperti falegnami, grandi fornai, insegnanti, avvocati, intellettuali e patrioti. Qui nasce il primo forno. È il legame con le antiche tradizioni del rione Cuti e con l’intera comunità di Rogliano a guidare la realizzazione di un prodotto alimentare divenuto identitario grazie alla combinazione sapiente di conoscenza, tradizione e sostenibilità.
L’amore per questo mestiere è stato trasmesso dai genitori ai figli, che sono rimasti nella terra calabra ad onorarla con il loro lavoro e con i prodotti che ne ricavano. Questi, infatti, superando i confini della Calabria, vengono esportati in varie parti del mondo. Bellissimo esempio di una Calabria bella e positiva, che mostra al mondo il suo volto migliore
Il “Museo del Pane di Cuti” è anche salone per conferenze e presentazione di libri. Luogo magico dove ogni libro che viene presentato appare nella sua luce pura e si rivela nella bellezza e compiutezza dei significati che esprime. Già dallo scorso anno, all’interno del Museo, si svolge la Rassegna Letteraria Le briciole di libria cura del “Museo del Pane di Cuti” con il patrocinio dei Comuni di Cosenza, Figline Vegliaturo e Rogliano. La rassegna è organizzata da Pina Oliveti e Antonietta Cozza, consigliere Comunale di Cosenza.
Perché associare pane e libri? Perché il pane è metafora della vita, rappresenta il riscatto dalla fame, i libri di vario genere e contenuto, purchè siano veri, sono il nutrimento dello spirito. Ogni nuovo libro è un dono di sè che fa l’autore, perché in esso, inevitabilmente mette una parte, piccola o grande, della sua anima, pezzi di vita, scampoli di esistenza, che l’arte sublima e consegna a noi lettori. La rassegna letteraria, che si svolge nel “Museo del Pane di Cuti” coniuga mirabilmente i due assiomi: la letteratura è vita, il pane è vita. Se la parola letteraria anche per un attimo viene accolta nella vita di chi la riceve, certamente l’anima ne trarrà nutrimento, come il corpo trae nutrimento da un semplice pezzo di pane.
Nel “Museo del Pane di Cuti”, si respira il profumo del pane mentre si parla di letteratura, di arte, di bellezza, di sentimenti autentici e veri, di emozioni che fanno bene all’anima, di vita, che tiene lontana la morte, mentre i venti di guerra continuano a soffiare sempre più forte. Non perdiamo la speranza che la bellezza salverà il mondo.
E continuiamo a coltivarla la bellezza, ovunque essa si trovi, anche in un Museo di un piccolo luogo di Calabria. (amv)