MEZZOGIORNO: ATTRARRE INVESTIMENTI
È LA RICETTA DI DRAGHI PER LO SVILUPPO

di SANTO STRATI – «L’unità, oggi, non è un’opzione, è un dovere guidato da ciò che ci unisce tutti: l’amore per l’Italia». Le parole conclusive del concreto e rigoroso discorso del presidente Draghi in Senato chiudono una serie di considerazioni che vanno dritte al cuore degli italiani. È un discorso che mira al cuore, ma senza paternalismi o usuali promesse del tipo “faremo, vedrete, etc”: Draghi non cerca effetti speciali ma analizza con la freddezza di chi ha amministrato con convinta determinazione e giusto rigore la Banca Centrale Europea, salvando l’euro e l’Europa stessa. Draghi ha parlato delle donne, dei giovani, del lavoro che non c’è e sul desiderio di rinascere, di tornare più forti, dopo la pandemia, sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un Paese in grado di realizzare i loro sogni.

E ha parlato di Mezzogiorno il presidente Draghi ponendolo al centro di un’idea di sviluppo che ha obiettivi marcati, precisi: «benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare lavoro, investire il declino demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano sempre garantite». Il riferimento al Recovery Plan è esplicito: «Per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next Generation EU occorre irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza».

Non boccia il lavoro fin qui svolto dal precedente esecutivo  a proposito del Recovery Plan: «Gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale. Voglio qui riassumere l’orientamento del nuovo Governo. Le missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva». E qui che si potrà misurare la vera sfida del Governo sul Mezzogiorno e sulla Calabria: la vecchia bozza del Recovery Plan ha del tutto ignorato la nostra regione, ad esclusione dei lavori di “ammodernamento” della ferrovia Salerno-Reggio Calabria. Ma la Calabria non ha bisogno di operazioni di maquillage: sono necessarie nuove infrastrutture, l’Alta Velocità dev’essere reale, con la posa dei binari adeguati, la creazione di nuove linee ad alta capacità di percorrenza, così da trasformare il Roma-Reggio in un percorso simile a quello del Roma-Milano. E un’attenzione particolare dovrà essere rivolta al Ponte sullo Stretto: un’opera infrastrutturale che potrebbe partire già domani, il progetto esecutivo è pronto da anni, che porterebbe fin troppi vantaggi che il Governo Draghi non potrà ignorare. Il primo di natura economica: il gruppo di Pietro Salini (WeBuild) è pronto a metterci i soldi necessari lasciando allo Stato solo spese per le opere accessorie, che costano appena poco più della penale da pagare se non si farà il Ponte. Il Ponte simbolo della capacità dei progettisti italiani, ammirati in tutto il mondo, diventerebbe un attrattore formidabile di turismo e investimenti che creerebbe un volano di sviluppo straordinario sia per la Calabria sia per la Sicilia. Anche in questo caso le due Regioni hanno pronta un’istanza a Governo che sembra orientato a cessare la costante del NO a tutto. L’ambiente, la sostenibilità, non si difendono a colpi di NO, questo ormai appare fin troppo evidente.

Il Sud ha moltissime risorse inespresse, ha una storia di sprechi, di restituzione (infame) di contributi europei non spesi o non utilizzati, ha storie di malaffare, c’è il problema della ‘ndrangheta e della cultura della rassegnazione. E invece devono andare proprio qui gli sforzi del Governo che oggi affronterà (senza rischi) il voto della fiducia della Camera: domani ci sarà la nomina dei sottosegretari, ma da lunedì il Governo Draghi deve dimostrare la sua efficienza che il popolo italiano non solo auspica, ma, a questo punto, pretende. E i calabresi non vogliono restare a guardare: l’incapacità di spesa deve diventare un pallido ricordo del passato. Non dimentichiamoci e lo ricordiamo al professor Draghi che i 209 miliardi UE sono diventati tali dagli scarsi 90 previsti perché il divario Nord-Sud, il disagio del Mezzogiorno ha fatto scattare i valori delle competenze spettanti. La popolazione meridionale non assisterà a un nuovo scippo: le segreterie regionali di Cgil, Cisl e Uil, riunite proprio ieri a Lamezia, hanno fatto un quadro di quello che serve alla Calabria, un dossier che Draghi deve impegnarsi di studiare, valutare e rendere, ove possibile, attuabile in tempi brevissimi: «Il Governo – hanno detto i tre segretari confederali regionali Sposato, Russo e Biondo – non può scappare dal Meridione».

Del resto, è consapevole Draghi della sfida che attende il suo Esecutivo: «alcuni modelli di crescita dovranno cambiare». Ad esempio – ha detto – quello del turismo che «avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato». Investire nel turismo, sostenerlo – ha detto poi nella replica serale – non significa buttar via i soldi. Un Paese ad alta vocazione turistica come il nostro è fondamentale non far fallire le imprese del comparto, perché il rischio maggiore è la perdita del capitale umano.

Draghi fa un discorso ad ampio spettro, spazia da Cavour a Papa Francesco, parla di ambiente, di prospettive, di futuro e insiste sul ruolo delle donne. «Una vera parità di genere – ha detto – non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali».

La pandemia è ovviamente al centro dell’azione del Governo. «Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così». Il Governo dovrà affrontare il problema della scuola: «Occorre rivedere il disegno del percorso scolastico annuale. Allineare il calendario scolastico alle esigenze derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia. Il ritorno a scuola deve avvenire in sicurezza. È necessario investire in una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale. Siamo chiamati disegnare un percorso educativo che combini la necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel panorama europeo, con innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le competenze scientifiche con quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo».  Senza trascurare di investire – ha aggiunto – nella formazione del personale docente. «Su questa consapevolezza il Governo costruirà la sua credibilità» – ha rimarcato nella replica serale.

E sul suo effettivo impegno su Mezzogiorno e, in particolare, sulla Calabria, ultima tra le regioni ultime e più bisognosa delle altre di avere un’attenzione specifica e culturale. Non avremo, siamo convinti, nuove promesse al vento. Ieri il Presidente è apparso algido nella sua esposizione del mattino, ingessato, ma non imbarazzato: si è sciolto e ha mostrato un’immagine più “vivace” col lieve sorriso del condottiero che va alla battaglia per vincere e non per tornare sconfitto, senza arroganza e senza timore, ma con convinzione e la giusta determinazione. Quella che, abitualmente, porta al successo. Il suo successo sarà quello del Paese: auguri, Presidente Draghi. (s)

Il discorso integrale di Mario Draghi al Senato

Il sindaco Mario Occhiuto scrive a Draghi: Il futuro delle città e dei giovani passa per la rigenerazione urbana

Il sindaco di Cosenza e delegato nazionale Anci per l’urbanistica e i lavori pubblici, Mario Occhiuto, ha scritto una lettera al presidente incaricato Mario Draghi, sottolineando che «il futuro delle città e delle giovani generazioni deve necessariamente passare attraverso una vera e concreta rigenerazione urbana».

Nella lettera, il sindaco Occhiuto ha avanzato una serie di proposte e di riflessioni su come le città possano e debbano riacquistare un protagonismo attivo nel processo di ripresa del Paese e della rinascita post Covid, con ricadute positive soprattutto a favore delle giovani generazioni.

«Gli effetti della pandemia – ha scritto Occhiuto a Draghi – hanno generato una situazione di particolare sofferenza nei giovani, che sono stati privati della bellezza e del tempo della socialità. Ecco perché è proprio nei loro confronti che l’agire delle istituzioni ed in primis dei sindaci dovrà assumere una connotazione risarcitoria, anche immaginando e progettando un nuovo modello di città che possa contemplare luoghi aperti e piazze e scuole e quartieri più vivibili e funzionali, con maggiori spazi verdi».

«La situazione che si è determinata oggi – ha proseguito Occhiuto – proprio a seguito della pandemia, crea l’occasione per compiere questo percorso di rigenerazione, grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, integrati con gli incentivi statali previsti per il superbonus e il sisma bonus».

Il Sindaco di Cosenza, delegato nazionale Anci per l’urbanistica e i lavori pubblici, opera, poi, un netto distinguo tra gli interventi di vera rigenerazione urbana e quelli che attengono al recupero e alla ristrutturazione dell’esistente.

«Per rigenerazione urbana – ha scritto ancora Occhiuto – deve intendersi, però, quel complesso di norme, metodi e pratiche che riguardano un oggetto urbano – un’area, un manufatto, un ambiente – al fine di modificarne il genere originario, immettendone un altro diverso; e non il recupero, la riqualificazione e la ristrutturazione dell’esistente e del patrimonio costruito, tutte operazioni che sono positive, ma che non consistono nella rigenerazione».

Quindi, Occhiuto passa alla definizione delle proposte e delle azioni da intraprendere, riassunte in tre punti fondamentali: «Nella città ideale del futuro, di medio-piccole dimensioni – ha spiegato Occhiuto – si dovrà affermare un nuovo modello urbano nel quale non ci dovrà essere più posto per le auto e per le strade di grande attraversamento veicolare, che dovranno essere spostate fuori dal centro urbano con la trasformazione di quelle esistenti in corridoi verdi, attrezzati con giardini tematici e piste ciclabili e pedonali, percorsi tattili, electrict belt e campi da gioco. Anche nelle città metropolitane, le zone più densamente popolate dovranno essere restituite ai pedoni e sarà necessario potenziare i sistemi di trasporto pubblico elettrici e quelli con mezzi sostenibili. Insomma, il modello al quale dobbiamo aspirare è quello delle “città degli uomini” e non delle macchine».

«Per offrire a tutti i cittadini – ha detto ancora – in qualsiasi quartiere abitino, le medesime condizioni di vivibilità e di qualità urbana, sarà importante, al fine di garantire un’autentica democrazia urbana, rigenerare i quartieri di edilizia popolare dove vive la maggior parte delle persone, spesso ammassate in edifici senza identità e riconoscibilità, privi di adeguati servizi, che generano miseria umana e insicurezza urbana e sociale. Dove necessario, occorrerà, inoltre, demolire e ricostruire gli edifici, anche grazie agli incentivi oggi disponibili e attraverso programmi di rottamazione e riabilitazione urbana. Le aree dismesse, dove prima esistevano fabbriche, opifici e strutture pubbliche abbandonate e degradate, dovranno essere rigenerate con nuove funzioni, orientate ad implementare il benessere e la salute dei cittadini e a stimolarne la creatività».

«Perché queste azioni si concretizzino – ha scritto ancora Occhiuto a Draghi – è necessario accompagnare il Pnrr (negli ambiti dedicati alla modificazione del territorio) non solo con risorse finanziarie destinate alle opere da realizzare, ma anche con indirizzi precisi sui piani di rigenerazione. Così come è importante avviare riforme che semplifichino le procedure burocratiche, e consentano di puntare sulla qualità architettonica e ambientale degli interventi. Rigenerare le città è uno dei modi più interessanti e proficui per risarcire i giovani e per proiettare l’Italia in un mondo nuovo, più sostenibile e più green, nel quale i comuni italiani possano riprendersi il primato della bellezza e della innovazione nel mondo».

«Un Paese con città più sostenibili, belle, innovative e smart – ha detto ancora il primo cittadino – diverrebbe complessivamente più competitivo e, quindi, maggiormente incline a generare lavoro e occasioni di crescita. Affinché i sindaci possano dare il loro contributo, orientando la crescita delle città verso i nuovi paradigmi di sostenibilità e di innovazione urbanistica che si stanno affermando sempre di più, in Europa e nel mondo, sarebbe importante attribuire loro più competenze e funzioni dirette, dando anche la possibilità di selezionare i dirigenti».

«Riponiamo tutti – ha concluso – molta fiducia nella Sua competenza e soprattutto nella Sua illuminata visione non senza avere, il primo cittadino di Cosenza, formulato al Presidente incaricato gli auguri di buon lavoro». (rcs)

Klaus Davi: Mario Draghi occasione unica per il riscatto del Sud

Il massmediologo e giornalista Klaus Davi ha dichiarati che «Mario Draghi rappresenta un’occasione unica per il riscatto del Sud a patto che il Sud si faccia sentire».

«Più volte – ha aggiunto – il presidente Draghi ha affrontato il tema delle disuguaglianze ed è perfettamente consapevole che con un’Italia a due velocità non ci sarà mai una ripresa. Draghi può proseguire l’ottimo lavoro iniziato dal governo Conte che ha saputo negoziare credibilmente per l’Italia in Europa. Draghi può migliorare ulteriormente il lavoro di Giuseppe Conte».

«Il problema del Mezzogiorno – ha concluso – sta nei suoi rappresentanti. In Calabria, fra senatori e deputati, ci sono credo 40 eletti ma nessuno ne ha mai avuto notizia. Anzi, li proporrò alla Rai per una puntata speciale di ‘Chi l’ha visto’». (rrc)

LA POLITICA / Il coraggio di Draghi di dire “no” alle segreterie dei partiti

di SANTO STRATI – Citando una frase di suo padre, il presidente incaricato Mario Draghi dice che tutto si può recuperare, sia il denaro, sia l’onore, «ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto». E a lui il coraggio non manca: questa non sarà che un’altra delle tante sfide che ha affrontato nella sua luminosa e invidiabile carriera, ma stavolta corre un rischio nuovo. Quello di conquistare gli italiani, ma di inimicarsi, nel contempo, l’intera classe politica. Il problema principale nel mettere insieme il nuovo esecutivo riguarda, infatti, le scelte che Draghi dovrà compiere. E il presidente incaricato avrà bisogno di tutto il coraggio che ha nel suo dna per dire no alle “graziose” e pressanti proposte di nomi che arrivano dalle segreterie di partito.

Se accettasse i vari diktat che i vari leader politici, col sorriso malizioso, gli stanno opponendo spingendo i propri rappresentanti in cambio del voto di fiducia, garantito, ci troveremmo con un Conte-ter mascherato, con gli stessi protagonisti di prima della crisi con l’aggiunta di qualche inevitabile rimpastino, ad esclusione del capitano della nave-governo, che si troverebbe ad avere una ciurma praticamente ingovernabile.

Il governo di larghe intese, del tipo “dentro tutti” è politicamente l’unica soluzione possibile a una crisi ancor oggi inspiegabile (fatta salva la missione di siluramento di Conte ad opera di Renzi), ma nella pratica avrebbe obiettive difficoltà e pregiudiziali di difficile superamento. Draghi, però, non è un “principe” dimezzato che fa decidere la corte che lo circonda: la sua storia racconta una serietà di intenti e una determinazione tipiche di chi si fida solo del suo intuito e non ha bisogno di consiglieri premurosi quanto interessati.

La scelta, quindi, è una sola: tenendo rigorosamente in primo piano il preciso appello del presidente Sergio Mattarella per un “comune impegno” Draghi deve formare un governo istituzionale che abbia le varie caselle decisionali occupate da tecnici le cui competenze siano indiscutibili. Nessun politico nei dicasteri (e non mancano eccellenze cui attingere, quasi tutte presenti nella rubrica personale dell’ex Presidente della BCE), ma personalità in grado di traghettare il Paese fuori dalla crisi e di gestire al meglio i soldi del Recovery Fund.

Ma una soluzione di questo genere farebbe storcere il naso alla quasi totalità dei protagonisti (a loro intendere) della politica italiana, quasi tutti “unti del Signore”, ma più propriamente benedetti e beneficati dal segretario del partito di appartenenza. Si sentirebbero esclusi, ma ciononostante non potrebbero ignorare l’appello del Capo dello Stato: questo Governo “deve” nascere e deve avere una maggioranza stabile.

Quindi come se ne esce? La soluzione è più facile di quanto si possa credere: un esecutivo formato da tecnici (non burocrati, ma autorevoli esponenti del mondo accademico, dell’impresa, delle istituzioni, ma non dei partiti) e la distribuzione di sottosegretari e viceministri alla politica. Ovvero il potere decisionale in mano a una nuova classe governativa, che risponde solo al Presidente del Consiglio che l’ha scelta e che potrebbe rendere particolarmente felice il presidente Mattarella.

I partiti, ovvero le segreterie politiche, dovranno accontentarsi dei cosiddetti posti di sottogoverno: l’unica concessione che Draghi (quella del coraggioso Draghi) sarà – a nostro modesto avviso – costretto a subire. È l’unica strada per un governo che tutti non potranno fare a meno di votare, escludendo i capricci della sovranista (de’noantri) Giorgia Meloni (che nonostante il nome non può, stavolta, sconfiggere il Drago) e di qualche smarrito parlamentare con le idee poco chiare.

Ci vorrebbe coraggio a respingere il preciso appello di Mattarella, ma la nostra classe politica – in questo caso, per fortuna – non ce l’ha. Figurarsi i tantissimi che devono, a qualsiasi costo, arrivare a fine legislatura. E quando gli ricapita? Quanti saranno i futuri “orfani” del Parlamento?

Per cui voteranno sì e faranno bella figura davanti al Paese (una delle rare occasioni, diciamolo), conserveranno lo scranno in Camera e Senato fino allo scioglimento naturale della legislatura, ma senza saperlo avranno reso un grande servigio agli italiani. (s)

Magorno (IV): Mario Draghi figura straordinaria per il riscatto del Sud

Il senatore Ernesto Magorno (Italia Viva) ha commentato l’incarico affidato dal presidente Mattarella all’ex Presidente della BCE: «Mario Draghi – ha detto –  può rappresentare una straordinaria figura per il riscatto del Mezzogiorno d’Italia. Basta rileggere i suoi interventi recenti per comprendere come il Presidente del Consiglio incaricato promuova un approccio di grande concretezza nella soluzione delle problematiche di carattere economico, unendo sostegno ai redditi e innovazione, promozione dei diritti e investimenti mirati.

«Un economista di solida formazione e sperimentate capacità ha ben chiaro ciò che serve per il rilancio di questa parte del Paese. Mario Draghi sa bene quelle che sono le necessità del Sud, è consapevole del fatto che non serve una politica assistenziale, ma una serie di interventi finalizzati soprattutto a un vitale e prezioso protagonismo delle giovani generazioni del Meridione. Quel capitale prezioso che, purtroppo, è andato perdendosi nel corso degli anni: ragazzi e ragazze costretti ad emigrare per trovare delle opportunità e spazi di affermazione. Lavoro, ma non solo. Infrastrutture, sanità, efficienza delle pubbliche amministrazioni e lotta alla criminalità organizzata. I capisaldi indicati da Draghi sono la sintesi di quella piattaforma da realizzare per colmare lo storico gap tra il Sud e il resto d’Italia anche perché, come ha ricordato l’ex Presidente BCE, “senza il Mezzogiorno il Paese intero non ha futuro, abbiamo tutti bisogno dello sviluppo del Sud”. Potrebbe essere davvero la volta buona. Non sprechiamo questa possibilità. Mi auguro che tutte le forze politiche presenti in Parlamento, soprattutto quelle che in questi territori hanno raccolto importanti consensi, riescano a cogliere il valore della posta in gioco, dimostrando responsabilità e reale attenzione per i temi reali». (rp)

Mattarella boccia le elezioni, sì a un governo istituzionale a guida Draghi

di SANTO STRATI – Sfuma completamente l’ipotesi Conte Ter e si apre una strada in discesa per un governo istituzionale di altissimo profilo a guida di Mario Draghi. L’ex presidente della BCE ed ex governatore della Banca d’Italia, non sarà entusiasta, vista la sua riluttanza a entrare in politica, ma il suo senso dello Stato gli impedirà di negare il suo aiuto per la soluzione di una crisi che appare, a questo punto, davvero irreversibile. Mattarella lo ha convocato a mezzogiorno al Quirinale per affidargli l’incarico e difficilmente troverà un rifiuto. La storia si ripete: capitò con Ciampi (1993) che mise in piedi il primo governo guidato da un non parlamentare e preparò la sua strada al Quirinale. Un percorso che si attaglia perfettamente a Mario Draghi.

Il suo governo dovrà affrontare grandi sfide, ma l’appello del Presidente Mattarella alla responsabilità a tutte le forze politiche dovrebbe consentire un percorso quantomeno in discesa. Il Recovery Plan, già nella nuova bozza licenziata il 12 gennaio scorso continua a ignorare la Calabria: il nuovo governo dovrà porre rimedio per rispetto alle popolazioni del Mezzogiorno, ma soprattutto di una regione che non può restare a guardare l’ultimo treno che passa e che non ferma in alcuna delle sue stazioni. È presto per essere ottimisti sul Recovery, ma si può essere abbastanza ottimisti su come la soluzione “istituzionale” per la crisi di governo possa offrire la migliore via d’uscita alla situazione politica che rischia di ingessare irrimediabilmente il nostro Paese.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ieri sera, ha spiegato agli italiani, dopo il fallimento della missione esplorativa del presidente Fico, perché non si può andare a nuove elezioni. La soluzione più ovvia vista l’assenza di una maggioranza in grado di sostenere un governo, ma la pandemia, i rischi di incremento pesante di contagi (come è successo nei Paesi in cui si è votato, nonostante la crisi sanitaria) e soprattutto i tempi tecnici per ridare al Paese un governo in piena efficienza dopo il responso delle urne, non consentono di praticare questa via. Quindi, facendo appello a tutte le forze politiche, il presidente Mattarella ha sottolineato la necessità della nascita di un governo istituzionale, di altissimo profilo, in grado di gestire la crisi sanitaria, la campagna vaccinale e la crisi economico-finanziaria, ma soprattutto di rispettare l’improrogabile scadenza del Recovery Plan che va presentato entro aprile all’Europa. Con il rischio più che evidente di mancare questa straordinaria opportunità che l’Europa ci offre, in termini di aiuti monetari, per ricostruire, rimettere in piedi l’economia, ripartire.

L’opzione governo istituzionale (ovvero tecnico con la partecipazione di esponenti di tutti i partiti dell’arco costituzionale) il presidente Mattarella l’aveva messa da conto, proprio in considerazione dell’impossibilità di poter pensare al ricorso alle urne. Un’elezione politica significa contatti, comizi, inevitabili assembramenti. E poi il ricorso alle urne ha una tempistica che l’Italia in questo momento non si può permettere: Mattarella ha ricordato che nel 2013 ci vollero quattro mesi prima che il governo nato dalle urne prendesse pieno potere, addirittura cinque mesi quello del 2018. Non ce lo possiamo permettere – ha detto praticamente Mattarella – abbiamo bisogno di un governo che non svolga solo ordinaria amministrazione, ma sia nella pienezza dei poteri per affrontare i grandi problemi da risolvere: pandemia, crisi economica, welfare e aiuto ad una società di nuovi poveri in continua ascesa.

Chiuso definitivamente il capitolo elezioni anticipate, giacché nessuno può immaginare di mettere in discussione le solidissime argomentazioni del Presidente, si deve pensare, adesso, a fare in fretta. Dove non trova spazio la logica da manuale Cencelli della prima Repubblica e dove le “poltrone” non vengono assegnate in base al peso della formazione di appartenenza. Servono tecnici e personalità competenti, di alto profilo morale ma anche di grande capacità operativa. Il modello di riferimento c’è, la Große Koalition, la grande coalizione, che la cancelliera Merkel nel 2005 riuscì a mettere insieme, dopo le elezioni tedesche che non avevano prodotto una maggioranza in grado di dar vita a un esecutivo. Un modello, in piccolo, tentato anche da Enrico Letta defenestrato poi dallo stesso Renzi che ha provocato la crisi odierna. Una crisi inspiegabile se non si considera la disperata esigenza di visibilità dell’ex presidente del Consiglio: ha vinto la prima mano, nel senso che ha ottenuto il quarto d’ora di notorietà che aveva perduto, ma s’è giocato il banco, attirandosi l’ira degli italiani, giustamente indignati di fronte al mercatino delle poltrone che indecorosamente la politica ha offerto nelle ultime 48 ore. Serve il ritorno alla serietà, alla dignità della politica, ne abbiamo bisogno tutti. E Draghi è l’unica risposta. (s)

LA CALABRIA NON È UN PAESE PER GIOVANI.
LA LEZIONE DI DRAGHI SUL FUTURO RUBATO

di SANTO STRATI – Non è un Paese per giovani l’Italia, meno che meno la Calabria. Il grido di allarme lanciato dall’ex presidente della BCE Mario Draghi sul futuro “sottratto” (noi abbiamo sempre detto “rubato”) ai giovani sta provocando qualche riflessione in più tra i nostri governanti. Ma la sua lezione, temiamo, resterà una voce inascoltata.

Il problema dei giovani dimenticati, trascurati, o più frequentemente ignorati, è quanto di peggio possa affliggere un Paese come il nostro dove la crisi di natalità ci sta facendo precipitare in una nazione di pensionati e anziani. Ai giovani cui non è stato offerta alcuna opportunità, fino ad oggi, resta il peso di un  debito massiccio che non si sa con quali risorse riusciranno ad affrontare.

Il punto principale è che la montagna di miliardi in arrivo, tra Mes e Recovery Fund, andrà spesa non per pagare debiti pregressi ma per investimenti e progetti di sviluppo. Due parole che l’attuale governo pronuncia co estrema disinvoltura e un’ammirevole frequenza, peccato, però, che restino solo parole, cui non seguono fatti.

Prendiamo i dati della Calabria: la disoccupazione dei giovani è a livelli vergognosi. Non servono i numeri, basterebbe l’idea di quantità per spingere più d’uno a vergognarsi per non aver attuato politiche di sviluppo che vedessero come attori principali i nostri laureati e diplomati, sempre con la valigia pronta, perché disillusi dal futuro.

C’è è vero, questo fenomeno di cui abbiamo parlato ieri di South-Working, ovvero della voglia di restare al Sud sfruttando le opportunità del lavoro agile, ma occorrebbe pensare, invece, a creare opportunità di occupazione. Il lavoro che non c’è va inventato, rinunciando – se si ha il coraggio – alla politica di sussidi che fino ad oggi è stata attuata, con qualche rara eccezione. Diversi anni fa, nel 2004, venne varato dal sindaco Giuseppe Scopelliti a Reggio un un progetto “Obiettivo Occupazione” come sostegno alla domanda di lavoro esistente: 300 unità lavorative da inserire nel circuito produttivo locale tramite la concessione di un contributo all’assunzione pari ad 12.000 euro annui ed erogato ai datori di lavoro per 15 anni. Il bonus (assegnato a sportello) costituiva una sorta di integrazione di salario per creare occupazione. Ha fatto sorridere molti giovani e incentivato occupazione, scatenando un mare di polemiche; però non era un sussidio per non lavorare, come il reddito di cittadinanza. I giovani calabresi, sia ben chiaro, non vogliono assistenzialismo: vogliono crescere col lavoro, farsi una famiglia e non dipendere dalle pensioni dei loro genitori.

Serve coraggio, dicevamo, perché è facile prevedere sussidi a pioggia e far crescere maggiormente il debito, più complicato creare progettualità che rispondano a una strategia di crescita, anzi di ri-crescita, visto che la pandemia ha trasformato mezzo mondo condannandolo a un’economia di guerra. Ed è proprio qui il senso della lezione di Draghi che molti fanno finta di ignorare. Il debito serve per investire, non per pagare vecchi debiti e ingigantire la pesante eredità negativa che lasceremo alle future generazioni.

Per la Calabria, terra non a vocazione industriale, ma ricca di risorse naturali, archeologiche, paesaggistiche, che trabocca di cultura ad ogni angolo di strada, la risposta alla domanda crescente di occupazione dei giovani trova proprio nell’ambito culturale gli spazi giusti. Si tratta di far crescere l’industria culturale calabrese poggiandosi proprio sulla specificità del territorio e delle sue risorse, utilizzando le nuove tecnologie che non servono solo a inventariare reperti preziosi o produrre algoritmi per gli usi più disparati, ma che creano nuova occupazione e, soprattutto, offrono opportunità di formazione. Ecco quest’aspetto della formazione – che già gli atenei calabresi stanno egregiamente attuando con larga soddisfazione – è la base dell’occupazione che verrà.

I beni culturali possono costituire l’area dello sviluppo possibile, della crescita intelligente con opportunità di lavoro a tutti i livelli. Servono ingegneri informatici, ricercatori, studiosi, ma serve anche la “manovalanza” della cultura, ovvero guide, segretari amministrativi, assistenti, custodi, fattorini, sviluppatori, etc.

Un piccolo esempio. Lo scorso dicembre, a Sambiase, un giovane del luogo si è offerto di illustrarci, prima di andare a cena, alcune delle singolari caratteristiche del borgo. Non solo è emersa la competenza per spiegare e contestualizzare gli antichi manufatti, ma soprattutto è apparsa la grande soddisfazione e la gioia di poter manifestare la propria capacità. Ha mostrato di fare con passione questo lavoro che si è inventato e che, di tanto in tanto, riesce a proporre a gruppi di forestieri in visita, d’intesa con alberghi e b&b locali. Si è trattato di una guida offerta “gratuitamente” al forestiero, senza chiedere di essere pagato; poi, a malincuore, il giovane ha accettato una ricompensa che abbiamo voluto dare in segno di gratitudine per il “bagno” di cultura offerto: non voleva soldi, gli bastava la gratificazione del nostro apprezzamento. Quanti giovani ci sono come lui? Quanto spazio c’è per formare e preparare giovani guide ai beni culturali, che illustrino il territorio e i suoi tesori? Cosa serve per organizzare una vasta area di guide-cicerone per coprire ogni angolo del territorio? Quanta occupazione si potrebbe creare? Non servono laureati, ma ragazzi svegli con una buona cultura e voglia di condividere le conoscenze acquisite.

C’è una giovane guida abilitata che vive a Catanzaro: si chiama Daniela Strippoli e ha aperto un sito: www.incalabriatiguidoio.it. Ha studiato Storia dell’Arte alla Sapienza ed è tornata in Calabria. S’è inventata un lavoro che le piace e le dà soddisfazione. «Voglio illustrare a tutti, – scrive nel suo sito – grandi e piccoli, in modo semplice e chiaro, e dal vivo, la Terra nella quale ogni giorno vivono, soffrono, amano e lavorano perché poi, a loro volta, la facciano conoscere agli altri».

È un modello da seguire. Non servono milioni di investimento, occorre però che, durante e dopo la formazione, sia garantito un salario dignitoso a tutti. Non sussidi, ma stipendi che compensano un’attività lavorativa dalle mille suggestioni. In altri termini, serve puntare sul capitale umano per produrre ricchezza nella regione, ma soprattutto creare opportunità di lavoro reale, smettendo una buona volta di “rubare” il futuro ai nostri ragazzi. (s)