Mario Draghi presenta alla Camera il PNRR e non si dimentica della Calabria

Dentro c’è «il destino del Paese» dice il presidente del Consiglio Mario Draghi alla Camera nel presentare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Non «solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze – rimarca Draghi – Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo.  Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio. L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato».

Non si dimentica della Calabria, Mario Draghi, e sottolinea che l’Alta Velocità per collegare Salerno a Reggio sarà quella vera, da 300 km orari, non un ammodernamento della vecchia linea. La Calabria e il Mezzogiorno ci sono dentro il documento predisposto da Draghi, che insiste sull’inclusione di genere e sul sostegno ai giovani. CI sono cifre, numeri, proiezioni e, soprattutto, idee, per permettere «che i nostri imprenditori, piccoli e grandi, possano lanciare e far crescere le loro attività rapidamente e efficientemente. Vogliamo permettere alle donne imprenditrici di realizzare i loro progetti. Vogliamo che i lavoratori e le lavoratrici continuino ad acquisire le competenze per le professioni di oggi e di domani. Vogliamo che le persone più sole o vulnerabili possano esser assistite dagli operatori sanitari, dai volontari e dai loro famigliari nel miglior e più tempestivo modo possibile. Vogliamo che le pubbliche amministrazioni e i loro servizi siano accessibili senza ostacoli, senza costi e senza inutile spreco di tempo». Draghi guarda già alla fine del Recovery Plan e immagina cosa sarà dal 2027, ma lo sguardo, in realtà, è sul presente. Perché non si tratta solo di programmare risorse da investire, miliardi da spendere, ma attuare un grande piano di riforme che permettano al Paese il vero salto di qualità: giustizia, pubblica amministrazione, sanità. Buoni propositi e, sicuramente, la voglia di determinazione che ha già mostrato di non perdere mai, quando era presidente della BCE. Auguri, Presidente, ma soprattutto auguri agli italiani. Ne abbiamo tutti bisogno. (s)

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Ecco il testo integrale del discorso di Mario Draghi alla Camera:

Signor Presidente, Onorevoli Deputati, sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze.  Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo.  Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio. L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale. Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere, ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.

Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio.Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica. Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.  L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.” A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.

Prima di concentrarmi sulla descrizione del Piano, vorrei ringraziarvi per il prezioso lavoro di interlocuzione con Istituzioni e Parti sociali svolto dal Parlamento. La buona riuscita del Piano richiede uno sforzo corale delle diverse istituzioni coinvolte e un dialogo aperto e costruttivo Il Parlamento ha effettuato, con eccezionale rapidità, un ingente lavoro di sintesi delle osservazioni e delle istanze di numerosi enti istituzionali, associazioni di categoria ed esperti che ha contribuito alla fase finale di definizione del Piano. Tale lavoro di sintesi si è affiancato all’intensa collaborazione tra i diversi Ministeri a vario titolo coinvolti nella predisposizione del Piano, un lavoro che ha molto beneficiato dell’azione svolta dal precedente Governo. Ringrazio anche le Regioni, le Provincie e i Comuni, il cui ruolo va oltre queste consultazioni. Gli enti territoriali sono infatti determinanti per la riuscita del Piano.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha tre obiettivi principali. Il primo, con un orizzonte temporale ravvicinato, risiede nel riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica.
La pandemia ci ha colpito più dei nostri vicini europei.  Abbiamo raggiunto il numero di quasi 120.000 morti per il Covid-19, a cui si aggiungono i tanti mai registrati. Nel 2020 il PIL è caduto dell’8,9 per cento, l’occupazione è scesa del 2,8 per cento, ma il crollo delle ore lavorate è stato dell’11 per cento, il che dà la misura della gravità della crisi.  I giovani e le donne hanno sofferto un calo di occupazione molto superiore alla media, particolarmente nel caso dei giovani nella fascia di età 15-24 anni.

Le misure di sostegno all’occupazione e ai redditi dei lavoratori hanno notevolmente attutito l’impatto sociale della pandemia. Tuttavia, l’impatto si è sentito soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione.  Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 al 7,7 per cento, per poi aumentare fino al 9,4 per cento nel 2020.   Ancora una volta ad essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani e ancora una volta soprattutto nel Mezzogiorno. Con una prospettiva più di medio-lungo termine, il Piano affronta alcune debolezze che affliggono la nostra economia e la nostra società da decenni: i perduranti divari territoriali, le disparità di genere, la debole crescita della produttività e il basso investimento in capitale umano e fisico.  Infine, le risorse del Piano contribuiscono a dare impulso a una compiuta transizione ecologica.

Il Piano è articolato in progetti di investimento e riforme.  L’accento sulle riforme è fondamentale. Queste non solo consentono di dare efficacia e rapida attuazione agli stessi investimenti, ma anche di superare le debolezze strutturali che hanno per lungo tempo rallentato la crescita e determinato livelli occupazionali insoddisfacenti, soprattutto per i giovani e le donne. Le riforme e gli investimenti sono corredati da obiettivi quantitativi e traguardi intermedi e sono organizzate in sei Missioni I progetti di ciascuna missione mirano ad affrontare tre nodi strutturali del nostro Paese, che costituiscono obiettivi orizzontali dell’intero Piano.  Si tratta di colmare le disparità regionali tra il Mezzogiorno e il Centro Nord, le diseguaglianze di genere e i divari generazionali.

Le risorse fornite attraverso il Dispositivo di ripresa e resilienza della UE sono pari a 191,5 miliardi.  Il Governo ha deciso di stanziare ulteriori 30,6 miliardi per il finanziamento di un Piano nazionale complementare da affiancare al dispositivo europeo.  Questo piano complementare finanzia progetti coerenti con le strategie del PNRR, che tuttavia eccedevano il tetto di risorse ottenibili dal dispositivo europeo.
Il PNRR e il Piano complementare sono stati disegnati in modo integrato: anche i progetti del secondo avranno gli stessi strumenti attuativi.
Sono stati stanziati, inoltre, entro il 2032, ulteriori 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche.

Queste includono la linea ferroviaria ad Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria – che diventerà una vera alta velocità – e l’attraversamento di Vicenza relativo alla linea ad Alta Velocità Milano-Venezia. È poi previsto il reintegro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, utilizzate nell’ambito del dispositivo europeo per il potenziamento dei progetti ivi previsti per 15,5 miliardi.
Nel complesso potremo disporre di circa 248 miliardi di euro. A tali risorse, si aggiungono poi quelle rese disponibili dal programma REACT-EU che, come previsto dalla normativa UE, vengono spese negli anni 2021-2023.
Si tratta di altri fondi per ulteriori 13 miliardi. Se si tiene conto solo di RRF e del Fondo Complementare, la quota dei progetti ‘verdi’ è pari al 40 per cento del totale.
Quella dei progetti digitali il 27 per cento, come indicato dalle regole che abbiamo deciso in Europa.

Il Piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio, per una quota dunque del 40 per cento. C’è una forte attenzione all’inclusione di genere e al sostegno per i giovani.

Il Piano ha effetti significativi sulle principali variabili economiche. Nel 2026 il PIL sarà di circa 3,6 punti percentuali superiore rispetto a uno scenario di riferimento che non tiene conto dell’attuazione del Piano.  Ne beneficia anche l’occupazione che sarà più elevata, di 3,2 punti percentuali rispetto allo scenario base nel triennio 2024-2026.  Queste stime ipotizzano un’elevata efficienza degli investimenti pubblici effettuati, ma non quantificano l’ulteriore impulso che potrà derivare dalle riforme previste dal Piano e per quanto riguarda l’occupazione femminile e giovanile non tiene conto della clausola di condizionalità trasversale a tutto il Piano.  L’accelerazione della crescita può essere superiore a quanto riportato nel PNRR se riusciamo ad attuare riforme efficaci e mirate a migliorare la competitività della nostra economia.

Il governo del Piano è strutturato su diversi livelli.  L’attuazione delle iniziative e delle riforme, nonché la gestione delle risorse finanziarie, sono responsabilità dei Ministeri e le autorità locali, che sono chiamati a uno straordinario impegno in termini di organizzazione, programmazione e gestione. Le funzioni di monitoraggio, controllo e rendicontazione e i contatti con la Commissione Europea sono affidati al Ministero dell’Economia e delle Finanze.  Infine, è prevista una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio, con il compito tra l’altro di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità nell’attuazione del Piano. Voglio sottolineare l’importante ruolo svolto da Regioni ed Enti locali nell’ambito dell’attuazione del Piano. Sono infatti responsabili della realizzazione di quasi 90 miliardi di investimenti, circa il 40 percento del totale, in particolare con riferimento alla transizione ecologica, all’inclusione e coesione sociale e alla salute.

La prima Missione riguarda i temi della Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura.  Nel complesso, le risorse destinate a questa Missione sono quasi 50 miliardi, di cui 41 finanziate con il Dispositivo Europeo e 8,5 con il Piano complementare nazionale, pari al 27% delle risorse totali del Piano. L’obiettivo principale è promuovere e sostenere la trasformazione digitale e l’innovazione del sistema produttivo del Paese.  Abbiamo scelto di investire nella crescita dimensionale delle nostre imprese e in filiere ad alta tecnologia Una particolare attenzione va poi a turismo e cultura.  È facile quando si parla di digitale, parlare di fibra, di cloud, di 5G, di identità digitale, di telemedicina e delle molte altre tecnologie sulle quali proponiamo di investire. In realtà dobbiamo ricordare per cosa la trasformazione digitale è essenziale per il nostro Paese.

Noi vogliamo che dal 2027 le nostre ragazze e ragazzi possano avere accesso alle migliori esperienze educative, ovunque esse siano in Italia. Vogliamo che i nostri imprenditori, piccoli e grandi, possano lanciare e far crescere le loro attività rapidamente e efficientemente. Vogliamo permettere alle donne imprenditrici di realizzare i loro progetti. Vogliamo che i lavoratori e le lavoratrici continuino ad acquisire le competenze per le professioni di oggi e di domani. Vogliamo che le persone più sole o vulnerabili possano esser assistite dagli operatori sanitari, dai volontari e dai loro famigliari nel miglior e più tempestivo modo possibile. Vogliamo che le pubbliche amministrazioni e i loro servizi siano accessibili senza ostacoli, senza costi e senza inutile spreco di tempo.  Vogliamo insomma accelerare l’adozione della tecnologia – nel pubblico, nel privato e nelle famiglie – per dare alla fine del quinquennio 2021-26 eque opportunità a tutti.

In particolare a giovani, donne e a chi vive in territori meno connessi. Per il rilancio della cultura e del turismo, due settori chiave per l’Italia anche per il loro significato identitario, una prima linea di azione riguarda interventi di valorizzazione di siti storici e culturali, volti a migliorare la capacità attrattiva, la sicurezza e l’accessibilità dei luoghi.  Gli interventi sono dedicati non solo ai cosiddetti “grandi attrattori”, ma anche alla tutela e alla valorizzazione dei siti minori. Si aggiungono misure per una riqualificazione ambientalmente sostenibile delle strutture e dei servizi turistici, che fanno leva anche sulle nuove tecnologie.

Il Piano non trascura il fatto che il rafforzamento della digitalizzazione e la spinta all’innovazione devono essere realizzati in maniera sinergica tra settori e aree di intervento.  Molte misure di cui dirò più avanti relativamente ad altre Missioni, ad esempio relativamente a Istruzione e Ricerca o Sanità, completano la strategia del Governo in questa area.

La seconda Missione, denominata Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, si occupa dei grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell’efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell’inquinamento. Essa è particolarmente importante per l’Italia, che è maggiormente esposta a rischi climatici rispetto ad altri Paesi. La missione migliora la sostenibilità del sistema economico e assicura una transizione equa e inclusiva verso una società a impatto ambientale pari a zero. La dotazione complessiva di questa missione è la più cospicua tra le 6 proposte (quasi 70 miliardi, di cui 60 finanziati con il Dispositivo europeo).  Vi sono inoltre investimenti a supporto della transizione ecologica anche in altre Missioni. La Missione prevede misure per migliorare la gestione dei rifiuti e per l’economia circolare, rafforza le infrastrutture per la raccolta differenziata, e ammoderna o sviluppa nuovi impianti di trattamento rifiuti. Per raggiungere la progressiva decarbonizzazione, sono previsti interventi per incrementare significativamente l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, per il rafforzamento delle reti e per una mobilità più sostenibile.

Vi è un significativo sforzo per promuovere l’efficientamento energetico di edifici pubblici e privati.  Per il Superbonus al 110 per cento sono previsti, tra PNRR e Fondo complementare, oltre 18 miliardi, le stesse risorse stanziate dal precedente governo. Non c’è alcun taglio.  La misura è finanziata fino alla fine del 2022, con estensione al giugno 2023 solo per le case popolari (Iacp). È un provvedimento importante per il settore delle costruzioni e per l’ambiente.  Per il futuro, il Governo si impegna a inserire nel Disegno di Legge di bilancio per il 2022 una proroga dell’ecobonus per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021, con riguardo agli effetti finanziari, alla natura degli interventi realizzati, al conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico e sicurezza degli edifici. Inoltre, nella missione, non sono stati trascurati i temi della sicurezza del territorio, con interventi di prevenzione e di ripristino a fronte di significativi rischi idrogeologici, della salvaguardia delle aree verdi e della biodiversità, e quelli relativi all’eliminazione dell’inquinamento delle acque e del terreno, e alla disponibilità di risorse idriche.

La Missione 3 dispone una serie di investimenti finalizzati allo sviluppo di una rete di infrastrutture di trasporto moderna, digitale, sostenibile e interconnessa. Nel complesso a questa finalità sono allocati oltre 31 miliardi. Gran parte delle risorse è destinata all’ammodernamento e al potenziamento della rete ferroviaria.  Si prevede il completamento dei principali assi ferroviari ad alta velocità ed alta capacità (per una spesa stimata in 13,2 miliardi), l’integrazione fra questi e la rete ferroviaria regionale e la messa in sicurezza dell’intera rete.  Vi sono poi interventi per la digitalizzazione del sistema della logistica, per migliorare la sicurezza di ponti e viadotti, e misure per innalzare la competitività, capacità e produttività dei porti italiani.

La Missione 4, Istruzione e Ricerca, incide su fattori indispensabili per un’economia basata sulla conoscenza.  Oltre ai loro risvolti benefici sulla crescita, tali fattori sono determinanti anche per l’inclusione e l’equità.  I progetti proposti intendono rafforzare il sistema educativo lungo tutto il percorso di istruzione, sostenere la ricerca e favorire la sua integrazione con il sistema produttivo. Gli interventi principali riguardano: Il miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione, a partire dal rafforzamento dell’offerta di asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia. Lo sviluppo e il rafforzamento dell’istruzione professionalizzante. I processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti. Il potenziamento e l’ammodernamento delle infrastrutture scolastiche, ad esempio con il cablaggio interno di circa 40.000 edifici scolastici La riforma e l’ampliamento dei dottorati. Il rafforzamento della ricerca e la diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra università e imprese. Il sostegno ai processi di innovazione e trasferimento tecnologico. Alla Missione 4 sono destinati quasi 32 miliardi, di cui uno finanziato con risorse nazionali tramite il Fondo complementare, e 31 con il Dispositivo europeo.

La quinta Missione è destinata alle politiche attive del lavoro e della formazione, all’inclusione sociale e alla coesione territoriale.  I fondi destinati a questi obiettivi superano nel complesso i 22 miliardi. Ulteriori 7,3 miliardi di interventi beneficeranno delle risorse di REACT-EU. Sono previsti investimenti in attività di formazione e riqualificazione dei lavoratori. Si prevede l’introduzione di una riforma organica e integrata in materia di politiche attive e formazione, nonché misure specifiche per favorire l’occupazione giovanile.  Sono introdotte misure a sostegno dell’imprenditorialità femminile e un sistema di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare politiche adeguate a ridurre il gap di genere. Si è scelto poi di destinare importanti risorse alle infrastrutture sociali funzionali alla realizzazione di politiche a sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti.  A queste si affiancano misure per la riqualificazione dei tessuti urbani più vulnerabili (periferie, aree interne del Paese) e interventi di potenziamento dell’edilizia residenziale pubblica e di housing temporaneo e sociale.

La Missione 6 riguarda la Salute, un settore critico, che ha affrontato sfide di portata storica nell’ultimo anno. La pandemia da Covid-19 ha confermato il valore universale della salute, la sua natura di bene pubblico fondamentale e la rilevanza macro-economica dei servizi sanitari pubblici. Le riforme e gli investimenti proposti con il Piano in quest’area hanno due obiettivi principali: rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio e modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario, al fine di garantire un equo accesso a cure efficaci. La dotazione per questa missione è complessivamente di 18,5 miliardi, di cui 15,6 relativamente a finanziamenti RFF e 2,9 di risorse nazionali.

Il miglioramento delle prestazioni erogate sul territorio è perseguito attraverso il potenziamento e la creazione di strutture e presidi territoriali (come le Case della Comunità e gli Ospedali di Comunità), il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina e una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari.  A queste misure si affiancano progetti per il rinnovamento e l’ammodernamento delle strutture tecnologiche e digitali esistenti; per il completamento e la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico; per una migliore capacità di erogazione e monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza. Rilevanti risorse sono destinate inoltre alla ricerca scientifica e a favorire il trasferimento tecnologico, oltre che a rafforzare le competenze e il capitale umano del Servizio Sanitario Nazionale. Nel più generale ambito sociosanitario, introduciamo un’importante riforma per la non autosufficienza, con l’obiettivo primario di offrire risposte ai problemi degli anziani.  Questa misura affronta in maniera coordinata i diversi bisogni che scaturiscono dalle conseguenze dell’invecchiamento. Vogliamo che i nostri anziani possano essere messi in condizione di mantenere o riguadagnare la massima autonomia possibile, in un contesto il più possibile de-istituzionalizzato. Dopo le sofferenze e le paure di questi mesi di pandemia, non possiamo dimenticarci di loro.

Vediamo ora l’impatto del Piano su donne, giovani e sud. Eliminare gli ostacoli che limitano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è fondamentale per la ripresa dell’Italia.  Il Piano interviene sulle molteplici dimensioni del divario di genere e si inserisce nel percorso di riforma avviato con il Family Act.  Il Governo intende lanciare entro il primo semestre 2021 la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026. Il PNRR sviluppa le priorità di questa Strategia nazionale e le articola in un ampio programma. 4,6 miliardi sono dedicati a costruire nuovi asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia.  Quasi un miliardo va a finanziare l’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie per permettere alle famiglie – e alle madri in particolare – di conciliare meglio la loro vita professionale e lavorativa. Il Piano prevede 400 milioni per favorire l’imprenditorialità femminile, e stanzia oltre 1 miliardo per la promozione delle competenze in ambito tecnico-scientifico, soprattutto per le studentesse.  Infine, grazie all’azione di questo Parlamento, l’assegno unico diventerà lo strumento centrale e onnicomprensivo per il sostegno alle famiglie con figli, in sostituzione delle misure frammentarie fino ad oggi vigenti.  È una riforma che rappresenta un cambio di paradigma nelle politiche per la famiglia e a sostegno della natalità.

Un Piano che guarda alle prossime generazioni deve infatti riconoscere la nostra realtà demografica.  Siamo uno dei paesi con la più bassa fecondità in Europa: meno di 1,3 figli per ciascuna donna contro quasi 1,6 della media Ue. Per mettere i nostri giovani nella condizione di formare una famiglia, dobbiamo rispondere a tre loro richieste: un welfare adeguato, una casa e un lavoro sicuro.  Oltre al piano agli asili nido, di cui ho già parlato, i giovani beneficiano dalle misure per le infrastrutture sociali e le case popolari.  E in un prossimo decreto, di imminente approvazione, sono previsti altre risorse per aiutare i giovani a contrarre un mutuo per acquistare una casa.  Sarà possibile non pagare un anticipo, grazie all’introduzione di una garanzia statale. 1,8 miliardi vanno ad accrescere la competitività delle imprese turistiche, di cui una parte importante è destinata a incentivare la creazione di nuove imprese da parte di chi ha meno di 35 anni. Potenziamo il “Servizio Civile Universale” per i giovani tra i 18 e i 28 anni, al quale destiniamo 650 milioni per il periodo 2021-2023. Si tratta di una forma di cittadinanza attiva che è, allo stesso tempo, uno strumento di formazione e un motore di inclusione e coesione sociale.  I giovani possono orientarsi rispetto allo sviluppo della propria vita professionale e, allo stesso tempo, rendere un servizio nobile alla propria comunità e all’Italia.

Sempre per i giovani, investiamo 600 milioni di euro per rafforzare il sistema duale e rendere i sistemi di istruzione e formazione più in linea con il mercato del lavoro. Questo intervento agevola l’occupazione giovanile e allo stesso tempo viene incontro alle esigenze delle imprese in termini di competenze.  Tra le altre misure legate all’istruzione, ribadiamo la centralità dello sport nel percorso formativo dei ragazzi e delle ragazze.Il Piano dedica un miliardo alle strutture sportive per i giovani, in parte dedicato a nuove palestre e attrezzature sportive nelle scuole, in parte a rafforzare il ruolo dello sport come strumento di inclusione sociale e di contrasto alla marginalizzazione. Più in generale, i giovani saranno tra i principali beneficiari di tutto il Piano. Gli investimenti e le riforme sulla transizione ecologica creeranno principalmente occupazione giovanile.  La creazione di opportunità per i giovani nel mondo del lavoro sarà anche l’effetto naturale degli interventi sulla digitalizzazione che, tra l’altro, consentiranno di completare la connettività delle scuole.

Il Piano prevede una specifica attenzione per le persone con disabilità, nell’ambito degli interventi per ridurre i divari territoriali nella scuola secondaria di secondo grado.  Gli interventi per la mobilità, il trasporto pubblico locale e le linee ferroviarie favoriscono il miglioramento e l’accessibilità di infrastrutture e servizi per tutti i cittadini. È previsto un investimento straordinario sulle infrastrutture sociali, nonché sui servizi sociali e sanitari di comunità e domiciliari, per migliorare l’autonomia delle persone con disabilità.  Il miglioramento di servizi sanitari sul territorio favorisce un accesso realmente universale alla sanità pubblica. Si prevede, infine, di introdurre la Legge Quadro sulle disabilità per semplificare l’accesso ai servizi e i meccanismi di accertamento della disabilità. Nel corso dell’attuazione del Piano, l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità monitorerà che le riforme proposte siano adeguatamente inclusive.

La crescita del Mezzogiorno rappresenta l’altro aspetto prioritario trasversale al Piano.  Il potenziale del sud in termini di sviluppo, competitività e occupazione è tanto ampio quanto è grande il suo divario dal resto del Paese.  Non è una questione di campanili: se cresce il sud, cresce anche l’Italia. Più del 50 per cento del totale degli investimenti in infrastrutture – soprattutto l’alta velocità ferroviaria e il sistema portuale – è diretto al sud.  Gli interventi su economia circolare, transizione ecologica, mobilità sostenibile e tutela del territorio e della risorsa idrica destinano al Mezzogiorno 23 miliardi. A questi investimenti si accompagnano la riforma delle Zone economiche speciali e un robusto finanziamento della loro dotazione infrastrutturale, pari a oltre 600 milioni. Stimiamo che l’incremento complessivo del PIL del Mezzogiorno negli anni 2021-2026 sarà pari a quasi 1,5 volte l’aumento del PIL nazionale. L’obiettivo è rendere il Mezzogiorno un luogo di attrazione di capitali privati e di imprese innovative.

Come dicevo, il PNRR non è soltanto un piano di investimenti, ma anche e soprattutto di riforme. La riforma della giustizia affronta i nodi strutturali del processo civile e penale. Nonostante i progressi degli ultimi anni, permangono ritardi eccessivi. In media sono necessari oltre 500 giorni per concludere un procedimento civile in primo grado, a fronte dei circa 200 in Germania. Il Piano rivede l’organizzazione degli uffici giudiziari e crea l’Ufficio del processo, una struttura a supporto del magistrato nella fase “conoscitiva” della causa.  Nel campo della giustizia civile si semplifica il rito processuale in primo grado e in appello, e si dà definitivamente attuazione al processo telematico, come richiesto nei mesi scorsi dal Senato.

Il Governo intende ridurre l’inaccettabile arretrato presente nelle aule dei tribunali, e creare i presupposti per evitare che se ne formi di nuovo.  Questo è uno degli impegni più importanti ed espliciti che abbiamo preso verso l’Unione europea. L’obiettivo finale che ci proponiamo è ambizioso, ridurre i tempi dei processi del 40 per cento per il settore civile e almeno del 25 per cento per il penale.  Vogliamo un sistema giudiziario strutturalmente più efficiente ed elevare la qualità della risposta del sistema.

La seconda riforma di sistema riguarda la Pubblica amministrazione, sulla cui capacità di rispondere in modo efficiente ed efficace incidono diversi fattori Tra questi: la stratificazione normativa, la limitata e diseguale digitalizzazione, lo scarso investimento nel capitale umano dei dipendenti, l’assenza di ricambio generazionale e di aggiornamento delle competenze. La riforma interviene su quattro ambiti principali:

Assunzioni e concorsi, mediante una razionalizzazione delle procedure di assunzione e una programmazione degli organici mirata a fornire servizi efficienti a imprese e cittadini. Buona amministrazione, grazie a una semplificazione del quadro normativo e procedurale.  Rafforzamento delle Competenze, tramite una revisione dei percorsi di carriera, la formazione continua del personale e lo sviluppo professionale. La Digitalizzazione, con investimenti in tecnologia, la creazione di unità dedicate alle semplificazione dei processi e la riorganizzazione degli uffici. Inoltre, entro maggio presentiamo un decreto che interviene con misure di carattere prevalentemente strutturale volte a favorire l’attuazione del PNRR e del Piano complementare.  Oltre a importanti semplificazioni negli iter di attuazione e di valutazione degli investimenti in infrastrutture, si procede a una semplificazione delle norme in materia di appalti pubblici e concessioni.

Il Piano vuole anche impegnare Governo e Parlamento a una continuativa e sistematica opera di abrogazione e modifica delle norme che frenano la concorrenza, creano rendite di posizione e incidono negativamente sul benessere dei cittadini.  Questi principi sono essenziali per la buona riuscita del Piano: dobbiamo impedire che i fondi che ci accingiamo a investire finiscano soltanto ai monopolisti. A questo fine assume un ruolo cruciale la Legge annuale sulla concorrenza – prevista nell’ordinamento nazionale dal 2009, ma realizzata solo una volta nel 2017. Intendiamo varare norme volte ad agevolare l’attività d’impresa in settori strategici come le reti digitali e l’energia. Alcune di queste norme sono già individuate nel Piano, ad esempio il completamento degli obblighi di gara per i regimi concessori oppure la semplificazione delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti.  Il Governo si impegna a mitigare gli effetti negativi che alcune di queste misure potrebbero produrre, rafforzando i meccanismi di regolamentazione e la protezione sociale.

Devo ringraziare questo Parlamento per l’impulso politico che anima tutto il Piano: l’attenzione a ambiente, giovani, donne, mezzogiorno che informa ogni intervento è prima di tutto frutto della vostra azione. Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano. Sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti. Questa certezza non è sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli Italiani, nel mio popolo, nella nostra capacità di lavorare insieme quando l’emergenza ci chiama alla solidarietà, alla responsabilità. È con la fiducia che questo appello allo spirito repubblicano verrà ascoltato, e che si tradurrà nella costruzione del nostro futuro, che presento oggi questo Piano al Parlamento.

SANITÀ, CARISSIMI DRAGHI E SPERANZA
I CALABRESI HANNO DIRITTO ALLA SALUTE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Siamo qui anche per prenderci gli sputi in faccia da chi pensa di partire per una campagna elettorale orrenda, oggi è il tempo sbagliato per cominciare a fare incetta di voti, oggi ci si deve sporcare le mani di lavoro. Noi non siamo chiusi nel Palazzo»: il presidente ff Nino Spirlì in Consiglio regionale difende il suo operato per contrastare la pandemia, ma non convince la minoranza. Nè tanto meno i sindacati. Il segretario generale di Cgil Calabria, Angelo Sposato, aveva postato su Facebook una triste riflessione: «In una Regione normale gli anziani non dovrebbero fare cento km per il vaccino e il centro vaccinale sotto casa rimane fermo con i vaccini nei frigoriferi perché non c’è nessuno. Questa è una vergogna tutta calabrese e ribadisco: Longo e Spirlì non sono adeguati all’emergenza. Serve l’immediato intervento del Governo».

Una cosa mette tutti d’accordo: che venga riconosciuto il diritto alla sanità ai calabresi. È l’appello che, ormai, da mesi, sindaci, Istituzioni, parlamentari e cittadini hanno fatto al Governo per una sanità che «fa acqua da tutte le parti» e che crea continuamente scandalo. Una sanità, quella calabrese, che «versa in uno stato di difficoltà, ormai cronica, nonostante si siano avvicendati negli ultimi anni più commissari ad acta e la materia sia stata recentemente normata da due decreti legge. Questo dato di fatto, purtroppo, si è ulteriormente aggravato a causa della fase emergenziale e non passa giorno che l’argomento non sia oggetto di interventi sulla stampa che denunciano, con forza, la situazione a dir poco preoccupante in cui versa il comparto» hanno scritto i parlamentari calabresi, che hanno chiesto al ministro della Salute, Roberto Speranza, di venire in Calabria «per prendere direttamente visione dello stato drammatico delle cose così da individuare, insieme, le migliori soluzioni per uscirne fuori».

Il consigliere regionale della LegaPietro Molinaro, invece, si è rivolto direttamente al premier Mario Draghi, invitandolo a venire in Calabria per rendersi conto della gravissima situazione sanitaria, economica e sociale in cui è precipitata la regione. Le motivazioni sono sempre le stesse: «L’emergenza Covid continua a mietere vittime, non diminuiscono i contagi e restiamo ultima regione nel numero dei vaccinati con pochi posti letto in terapia intensiva. Fuori controllo la rete ospedaliera ormai assorbita dai reparti Covid. Quasi inesistente la possibilità di ricevere cure e prestazioni sanitarie in sicurezza di tipo diagnostico e terapeutico a rischio implosione il servizio di emergenza-urgenza 118 e pronto soccorso, rinviate di fatto le prestazioni complesse ed a lungo termine ( in particolare quelle oncologiche e cardiovascolari)».

E se la situazione, a livello regionale è grave, lo è ancora di più nella Provincia di Cosenza, dove i sindaci, nella giornata di sabato 17 aprile, hanno fatto un sit-in davanti all’ingresso del pronto soccorso dell’Ospedale Annunziata di Cosenza, messo a dura prova dalla grave emergenza sanitaria in corso, dalle carenze di organico nel personale sanitario, dalla mancanza di posti letto e da un sistema sanitario vicino al collasso che rendono difficilissima la gestione della pandemia.

«Siamo qui per smuovere questo immobilismo» ha dichiarato il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto, che ha spiegato l’obiettivo del sit-in: «chiedere ai più alti livelli governativi, ed anche alla deputazione parlamentare calabrese, perché se ne faccia carico e li sostenga, di far si che chi ha potere per farlo assuma alcuni provvedimenti urgenti e non più differibili. Hanno fatto un piano di assunzione straordinario di migliaia di persone».

Il sindaco di Corigliano Rossano, Flavio Stasi, ha ricordato che era già stato chiesto, al ministro Speranza, «un piano straordinario di assunzioni di personale sanitario. Un anno dopo, nulla è accaduto e noi siamo qui ad avanzare le stesse rivendicazioni».

«Che i commissari – questo l’appello di Stasi  – utilizzino i poteri speciali di cui dispongono per supportare l’erogazione di servizi sanitari nella provincia. C’è bisogno di rafforzare la rete ospedaliera. In questo momento gli spoke rappresentano una delle linee di difesa e quando l’Hub è congestionato vuol dire che tutto quanto il sistema e la rete ospedaliera sono ormai collassati. Bisogna trovare il modo di investire in Calabria nella nostra sanità».

Il presidente della Provincia di Cosenza, Franco Iacucci, ha chiarito che il sit-in di sabato «non è un atto di accusa verso l’Ospedale di Cosenza. Siamo qui perché l’Hub di Cosenza è la punta più avanzata della sanità in provincia, ma il problema esiste anche negli spoke e in tutta la medicina del territorio. C’è una sottovalutazione da parte di chi dovrebbe intervenire, dei commissari, del Ministero della sanità e della Regione Calabria. Non si può consentire a nessuno che nell’unità di crisi regionale si affronti il problema della sanità nella provincia di Cosenza e non c’è una rappresentanza degli enti locali. L’unica regione d’Italia a non aver istituito il comitato tecnico-istituzionale con la presenza degli enti locali è la Regione Calabria».

I primi cittadini, poi, insieme ad Anci Calabria, hanno sottoscritto un documento  indirizzato al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, al Ministro della salute Roberto Speranza, alla deputazione calabrese in Parlamento, ai consiglieri regionali della Calabria e al presidente facente funzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì, al Commissario Straordinario per la Sanità in Calabria Guido Longo, al Commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera Isabella Mastrobuono e al Commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale, Vincenzo La Regina in cui chiedono  azioni urgenti per il contrasto alla pandemia e per la tutela del diritto alla salute nella provincia di Cosenza, attraverso il potenziamento e la migliore organizzazione dei servizi sanitari ospedalieri.

Eppure, è proprio di pochi giorni fa la notizia che la Regione Calabria ha stanziato altri 175 milioni di euro, da destinare alla sanità calabrese grazie ad apposita delibera. Qualcuno sostiene che si tratti di fondi Por rimasti nel cassetto da ottobre e rispolverati per l’emergenza sanitaria. La delibera, comunque, prevede lo stanziamento di 15 milioni di euro per il personale medico, di 60 per la medicina territoriale e di altri 100 per le infrastrutture sanitarie. Si tratta sicuramente di una somma importante, ma non basta, così come non basta il team sanitario dell’Esercito arrivato a dare man forte alla campagna vaccinale, né gli hub vaccinali a Catanzaro e a Corigliano Rossano, a Reggio e a Siderno  per una sanità al collasso, dove «tutti i presidi ospedalieri della regione soffrono di criticità allarmanti, sia per la mancanza di personale che per carenze strutturali e strumentali. Tutte le realtà sanitarie pubbliche sono costrette ad arrangiarsi come meglio possono e, spesso, la soluzione dei problemi è lasciata all’inventiva del personale e della povera gente che ci capita» ha denunciato Ornella Cuzzupi, segretario confederale dell’Unione generale del Lavoro della Calabria, che ha ribadito la necessità di riconoscere ai calabresi «il diritto alla vita e la possibilità di curarsi».

Un diritto fondamentale che, tuttavia, allo stato delle cose, sembra che ai calabresi non sia concesso. Carissimi Draghi e Speranza, ma quanto bisognerà urlare perché ascoltiate finalmente i calabresi? (ams)

Spirlì scrive a Draghi in attesa di un incontro: occorre azzerare il debito sanitario

Azzerare il debito della Sanità calabrese: è questa l’unica strada percorribile per dare una svolta al sistema sanitario calabrese che non trova vie d’uscite. La stretta dell’arretrato debitorio impedisce nuovi investimenti, congela risorse, blocca assunzioni: il presidente ff Nino Spirlì aveva già lanciato questa proposta la scorsa settimana, parlandone a diversi ministri e politici nazionali, durante il suo soggiorno romano. Adesso, Spirlì ha deciso di scrivere direttamente un appello al presidente del Consiglio Mario Draghi perché voglia occuparsi in prima persona della drammatica situazione della sanità calabrese.

«Troppe le criticità e le inadeguatezze e soprattutto il mancato adempimento previsto dallo stesso Piano. I dati che emergono in tutta la loro gravità ci dicono che in questi anni di commissariamento il deficit accumulato dal servizio sanitario regionale non è diminuito. Ho avuto modo di condividere le sue parole quando ha affermato che: “nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili”. In un tempo in cui per salvare il nostro paese da una pesante crisi, sono stati messi da parte i più estremi egoismi identitari non può esservi occasione migliore per porre rimedio alle ingiustizie e ridare la dignità che meritano i cittadini calabresi».

Obiettivo del presidente Spirlì è ottenere un incontro a Palazzo Chigi per esporre personalmente le tante criticità del sistema sanitario calabrese accentuate dalla pandemia. (rrm)

Draghi sposa l’impegno per il Sud: oggi un primo passo per interrompere il divario

di SANTO STRATI – La giornata di oggi è un primo passo contro il divario – esordisce il presidente del Consiglio Mario Draghi collegato in streaming con la ministra Carfagna e gli altri ospiti del Confronto per il Sud –: occorre rafforzare la coesione territoriale in Europa e far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e centro-Nord che è fermo da decenni. Ha un quadro di riferimento tristemente preciso il premier: tra il 2008 e il 2018 la spesa pubblica per investimenti nel Mezzogiorno si è più che dimezzata, passando da 21 a poco più di 10 miliardi. Ovvero, ammette Draghi che il problema esiste ed è ben più vasto di quanto si possa immaginare.

È un successo questo “Confronto per il Sud” che la ministra Mara Carfagna ha voluto concentrare in due giorni chiamando a raccolta personalità del mondo istituzionali, membri del governo, presidenti di regione, amministratori locali. E lanciato un appello ai cittadini del Mezzogiorno di inviare idee e proposte operative attraverso il web: l’appello non è rimasto inascoltato, già nel pomeriggio c’erano più di 400 messaggi propositivi da parte di ogni categoria: semplici cittadini, imprenditori, artisti, intellettuali. La questione meridionale che deve diventare questione mediterranea, con al centro il Porto di Gioia Tauro e il rilancio di tantissime iniziative che dovranno fare capo ad esso, è più che sentita non solo dalle popolazioni del Mezzogiorno, ma dall’intero Paese, non foss’altro perché con i flussi migratori degli ultimi anni le migliori risorse intellettuali e tecniche (quelle che farebbero la fortuna della Calabria) sono andate via, al Nord, al Centro, dove non solo ci sono maggiori opportunità, ma esistono serie probabilità di poter mostrare il proprio talento e far apprezzare competenza e capacità. È la solita vecchia storia: prepariamo ottimi studenti che diventano eccellenti laureati in tre Atenei che sono il fiore all’occhiello di una regione troppo spesso dimenticata e trascurata, poi, però, ce li facciamo “soffiare” da furbastri (meglio dire, però, intelligenti) del centro-nord che ne intuiscono il valore e lo mettono a profitto del loro territorio. Basta farsi un giro per i migliori ospedali di Roma o di Milano, la parlata calabrese è una costante: sono finiti lì i nostri ragazzi, medici, ricercatori, specialisti, diventati professionisti apprezzati, ammirati, ma soprattutto valorizzati. Che se fossero rimasti in Calabria sarebbero diventati disoccupati o professionalità sfruttate con stipendi da fame, senza il minimo di prospettiva per il futuro.

E la partecipazione del premier Draghi a queste assise elettroniche (impossibile fare convegni in presenza) assume – come ha giustamente sottolineato la ministra Carfagna – un significato netto, di adesione e di impegno. «Ci sono due problemi – ha detto Draghi –: uno nell’utilizzo dei fondi europei, l’altro nella capacità di completamento delle opere pubbliche. A fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi, il 6,7%. Nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche.  In oltre due terzi dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. Il 70% di queste opere non completate era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi. Divenire capaci di spendere questi fondi, e di farlo bene, è obiettivo primario di questo governo. Vogliamo fermare l’allargamento del divario e dirigere questi fondi in particolare verso le donne e i giovani. Il nostro, il vostro successo in questo compito può essere anche un passo verso il recupero della fiducia nella legalità e nelle istituzioni, siano esse la scuola, la sanità o la giustizia». È un messaggio forte, rivolto al Paese: «Un vero rilancio richiede la partecipazione attiva di tutti i cittadini».

E la partecipazione non è mancata, in questa prima giornata del Confronto per il Sud: l’Italia ha potuto ascoltare non le solite litanie del Sud dimenticato e depresso, ma numeri e cifre della crisi che possono essere determinanti per costruire un progetto di sviluppo. I dati indicati dalla Banca d’Italia o dall’Istat o dalla Ragioneria generale dello Stato non sono fredde indicazioni dello sviluppo mancato, ma esprimono il percorso virtuoso che occorre seguire se – veramente – si intende colmare l’odioso divario tra Nord e Sud e offrire pari opportunità agli italiani, indipendentemente dal luogo di nascita o di residenza.

Il merito di questa due giorni, che domani si chiuderà con un intervento del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, è soprattutto questo: di aver attirato l’attenzione del Paese sull’incapacità di spesa (non solo del Mezzogiorno) e sulla possibilità di recupero, nei confronti della popolazione meridionale, di un gap che i nostri giovani non potranno mai perdonare se non verrà colmato. È stato rubato il futuro a tanti giovani, adesso si deve dire basta: il Governo Draghi ha detto, per voce del suo capo, che l’obiettivo è migliorare la capacità di spendere. E il Sud non può più attendere. (s)

L’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi

Il video della mattinata (interventi istituzionali)

il video della sessione pomeridiana (presidenti delle Regioni meridionali e sindaci) 

GLI INTERVENTI CALABRESI AL CONFRONTO PER IL SUD

Sud progetti per ripartireAll’evento di ascolto e confronto per il Sud sono stati invitati per la Calabria il presidente della Regione pro-tempore Nino Spirlì, il sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà e la sindaca di un borgo bellissimo quanto suggestivo del Cosentino Rosanna Mazzia, primo cittadino di Roseto Capo Spulico.

Spirlì ha ribadito la sua richiesta di azzeramento del debito della sanità calabrese, vincolo per una qualsiasi idea di ripartenza: «Consentiamo a tutte le Regioni la possibilità di ripartire da zero. Ripartiamo dall’Italia. Ho chiesto un’operazione di risanamento del debito nel settore sanitario, perché mai come oggi è possibile farlo. Nessun commissario di governo sarà mai in grado di ripianare un debito che supera i due miliardi e molti calabresi sono costretti ad andare fuori regione per le cure. In questo governo sono rappresentati tutti i partiti, e chi è fuori ha dato disponibilità ad appoggiare azioni necessarie perché le cose buone vengano fatte. Se questo governo non salva il figlio più debole, come farebbe un buon padre ed una buona madre, allora non ha più diritto di dire che quel figlio è suo».

Il sindaco metropolitano di Reggio Falcomatà si è detto convinto della bontà dell’iniziativa della ministra Carfagna, in vista dell’elaborazione definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e della definizione dell’accordo di partenariato e ha definito «molto importante» l’incontro per affrontare il quale «non si può non ragionare sul tema dell’attuazione dei Livelli essenziale delle prestazioni» che, per l’inquilino di Palazzo Alvaro, rappresenta «la più netta e decisiva discriminazione di residenza fra Nord e Sud d’Italia».

«Qualche giorno fa – ha detto Falcomatà – sono stati declinati i dieci punti principali che determinano questa differenza: la gestione e la costruzione degli asili nido, la costruzione asili nido, il tempo pieno a scuola, l’erogazione dei servizi sociali, i ristori per i Comuni a causa del Covid, il trasporto pubblico locale, il turnover universitario, i posti letto negli ospedali, il fondo sanitario. Fare fronte comune per risolvere questi gap, credo sia il presupposto per imbastire ogni ragionamento, discussione o programma di crescita Mezzogiorno».

«Accanto a questo – ha aggiunto il sindaco – bisogna risolvere la clausola del 34% quale tetto per l’utilizzo dei fondi per il Sud previsti dal Recovery Fund. Questa percentuale, purtroppo, tiene conto anche di quella che è la programmazione ordinaria dell’Fsc 2021/2027 facendo venir meno l’aspetto di carattere aggiuntivo del piano di finanziamento straordinario deciso dall’Europa. Come ha correttamente osservato la Svimez, invece, per un giusto equilibrio nella ripartizione delle risorse del Recovery fund e del Next Generation Ue, al Meridione spetterebbe il 60% dei fondi, ovvero quasi il doppio degli investimenti fissati da quei parametri».

Quindi, il primo cittadino della Città Metropolitana di Reggio Calabria si è concentrato sulle proposte, partendo dalle politiche infrastrutturali con l’idea che «questo Paese non possa più andare a due velocità». Fra le priorità indicate da Falcomatà ci sono «l’alta velocità a 300 km/h fino alla Sicilia, l’ammodernamento della Strada Statale 106 ed un piano d’investimenti massiccio non soltanto sui porti del Sud, come Gioia Tauro, ma anche sul retroporto con l’avvio, finalmente, delle Zes».

«Queste idee – ha spiegato Falcomatà durante il collegamento telematico – sono frutto dei dibattiti con gli altri sindaci delle Città Metropolitane del Sud e con quella che è stata definita la rete dei sindaci del “Recovery Sud” che, nei prossimi giorni, presenterà un proprio dettagliato documento di sviluppo direttamente al primo ministro Mario Draghi».

Falcomatà ha puntato l’attenzione anche sulla gestione dei beni confiscati alle mafie rispetto ai quali «il Governo deve fare un forte investimento rivedendo la legge per l’utilizzo delle risorse derivanti dalla sottrazione dei patrimoni ai mafiosi».

Poi, il tema dei temi: l’occupazione. «Segnalo – ha affermato l’inquilino di Palazzo Alvaro – un progetto straordinario dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, già posto all’attenzione del Governo ed inserito all’interno dei Contratti istituzionali di sviluppo, per la realizzazione di un Campus Agapi all’interno dell’ex area dismessa di Saline Joniche».

«Il progetto – ha spiegato Giuseppe Falcomatà – intende realizzare una sorta di San Giovani a Teduccio nel profondo sud ed all’interno di 54 mila metri quadri di terreno. Esiste già un preliminare, che potrebbe diventare un progetto definitivo d’interventi per circa 90 milioni indispensabili alla costruzione di un distretto dell’innovazione».

«L’Università – ha aggiunto – in questi anni ha preso contatti con importanti players internazionali e partner istituzionali per la realizzazione, in quest’area, di laboratori di start-up ed incubatori di imprese utili ad arginare il problema della disoccupazione, soprattutto, giovanile. I giovani neo laureanti, infatti, non hanno la possibilità di tradurre in produttività le conoscenze acquisite all’interno dei nostri atenei. Parliamo di una previsione di circa 400 nuovi posti di lavoro».

La sindaca di Roseto Capo Spulico Rosanna Mazzia ha puntato, nel suo intervento, sulla necessaria attenzione da riservare ai borghi «quel pezzo di Italia autentica che ha bisogno di rimettere in pista tutte le energie ancora inespresse. I piccoli comuni  – ha detto la Mazzia –  devono assumere un ruolo baricentrico in vista della elaborazione definitiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e della definizione dell’accordo di partenariato. «È una grande soddisfazione per Roseto Capo Spulico essere al tavolo dei lavori di questo importante incontro istituzionale, insieme ai Comuni di Salvitelle e Sulmona e delle Città Metropolitane del Sud, da Bari a Palermo. C’è tanto da fare e questa occasione di confronto ha dato la possibilità ai territori di avere una importante interlocuzione con il governo». (rrm)

 

DUE GIORNI DEDICATI AL FUTURO DEL SUD
LA MINISTRA CARFAGNA IMPEGNA DRAGHI

di SANTO STRATI – È degno della massima considerazione l’impegno che la ministra per il Sud Mara Carfagna sta profondendo già ai primi giorni dell’insediamento nel Palazzo della Galleria Colonna: in una settimana ha organizzato la due giorni di ascolto e confronto per il Mezzogiorno che si apre stamattina a Palazzo Chigi, con l’intervento del presidente del Consiglio Mario Draghi. Già la partecipazione di Draghi la dice lunga su come pensa di muoversi la ministra: coinvolgere e impegnare tutti coloro che hanno il potere, la competenza, la capacità di “fare” qualcosa di concreto per il Mezzogiorno. Non si tratta della solita passerella di rappresentanti istituzionali a ripetere il solito rosario di inadempienze che hanno messo il Sud in condizioni pietose. No. c’è proprio la voglia di elaborare un progetto articolato e fatto di idee e proposte concrete su cui innestare il nuovo sorso che – finalmente? – vedrà il Mezzogiorno co-protagonista dello sviluppo del Paese. Difatti, ci saranno otto tavoli al lavoro dopo gli interventi istituzionali di Fabrizio Balassone (capo del servizio Struttura economica di Banca d’Italia), Gian Carlo Blangiardo (presidente dell’Istat), Biagio Mazzotta (Ragioneria Generale dello Stato), Massimo Sabatini (direttore generale dell’Agenzia per la Coesione), Nicola De Michelis (Direzione generale Politica regionale della Commissione europea), Antonio Parenti (capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea): una bella sfidata di grand commis di Stato che, al di là dei discorsi di circostanza, attestano con la loro presenza la cosa più importante di queste assise: la non più rinviabile apertura di un tavolo istituzionale che metta il Sud al centro del dibattito nazionale. Prevista la partecipazione dei governatori delle regioni meridionali: Marco Marsilio (Abruzzo), Vito Bardi (Basilicata) Nino Spirlì (Calabria), Vincenzo De Luca (Campania), Donato Toma (Molise), Michele Emiliano (Puglia), Cristiano Solinas (Sardegna) e Nello Musumeci (Sicilia). Una presenza non di maniera che serve a rimarcare il diffuso senso comune che solo facendo squadra è possibile interrompere il divario nord-sud che la pandemia sta contribuendo ad allargare, aumentando disagi e criticità sociali.

L’intervento del presidente Draghi attesta, peraltro, da parte del Governo, il riconoscimento di una nuova “questione meridionale”, che, in realtà, oggi sarebbe più corretto ribattezzare “questione mediterranea”: la conferma, finalmente palese, che l’Esecutivo non può più stare a guardare o a trattare con sufficienza le istanze che provengono dalle aree meridionali del Paese. È anche grazie al “disagio” conclamato del Sud che l’Italia ha ottenuto più di tutti gli altri Paesi europei per il Recovery Fund e, dunque, dei fondi – tantissimi – che arriveranno non sarebbe nemmeno giusto riservare la tradizionale quota del 34%, prevista da una legge tardiva ma opportuna: occorrerebbe stanziare più della metà delle risorse europee per far rinascere davvero, questa volta, tutto il Sud del Paese, guardando al Mediterraneo (e al Porto di Gioia Tauro) come il punto di partenza per lo sviluppo di portualità, mobilità, infrastrutture e, ovviamente, nuova occupazione.

La due giorni prevede otto sessioni di lavoro, dopo gli interventi che nel pomeriggio vedranno impegnati i sindaci delle Città Metropolitane di Bari (Antonio De Caro), Cagliari (Paolo Truzzu), Catania (Salvatore Pogliese), Messina (Cateno De Luca), Napoli (Luigi De Magistris), Palermo (Leoluca Orlando), Reggio Calabria (Giuseppe Falcomatà) e dei Comuni di Salvitelle, SA (Maria Antonietta Scelza), Sulmona, AQ (Annamaria Casini) e Roseto Capo Spulico, CS (Rosanna Mazzia). Non è casuale la scelta di tre donne in rappresentanza dei borghi: il ministero per il Sud è retto da due donne con gli attributi (la Carfagna ministro e Dalila Nesci sottosegretario) e il Sud ha una forte tradizione della capacità femminile di ingegnare soluzioni e trovare il percorso ideale per giungere a risultati concreti. I borghi  sono l’altra scommessa per il Mezzogiorno: basti pensare a quelli della Calabria che rappresentano lo scenario ideale per ipotizzare la riconquista di una qualità della vita che si pensava irrimediabilmente perduta. Le donne, in politica, poi, hanno una marcia in più: sono toste, caparbie, tenaci e non s’arrendono facilmente. Il Mezzogiorno deve pensare al suo sviluppo soprattutto in chiave femminile, visto che è proprio questo l’aspetto più deludente nel campo del lavoro (32%, la metà della media europea): mancano le opportunità, mancano i giusti incentivi e, soprattutto, mancano gli aiuti fondamentali perché una donna possa conciliare il suo ruolo di madre e di lavoratrice (autonoma, dipendente, non importa). Mancano asili, aiuti alla maternità, sussidi alle famiglie: facile comprendere la decrescita (infelice) della natalità che al Sud è meno pesante rispetto al centro-nord produttivo, ma non per questo meno preoccupante.

La stessa ministra, nel messaggio dell’8 marzo ha fatto notare che «La crisi innescata dalla pandemia ha danneggiato ulteriormente il lavoro delle donne, che è solitamente più precario, più intermittente e meno garantito. Al Sud la situazione è ancora più grave e i posti di lavoro persi nel secondo trimestre del 2020 sono stati tantissimi. Far crescere l’occupazione femminile è un obiettivo che garantisce davvero il benessere di tutti e che va perseguito, oggi, inserendo nel Recovery Plan investimenti nelle infrastrutture sociali: asili nido, tempo pieno a scuola, assistenza agli anziani e ai diversamente abili. Tutto questo permetterebbe alle donne di liberare appieno il loro potenziale. Un gap quello delle infrastrutture sociali che è ancora più profondo al Sud e che va assolutamente colmato eliminando la ‘discriminazione per residenza’ e garantendo a tutte le donne, a tutti gli italiani, gli stessi diritti a prescindere dal luogo in cui vivono».

Nel pomeriggio previsti anche gli interventi del presidente dell’Unione Province Italiane Michele De Pascale e di Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre, il quale terrà una relazione sui diritti delle generazioni future. Dopo di che si passa alla parte operativa: previste otto sessioni di lavoro parallele, dove saranno coinvolte associazioni, fondazioni, scuole e università, parti sociali, imprese e aziende che si occupano di sanità.

Il programma dei tavoli di lavoro è fin troppo ampio, ma siamo convinti che ci siano le condizioni perché emergano progetti propositivi che, ciascuno nel proprio segmento, possano costituire il punto di partenza per la soluzione ottimale degli eterni problemi del Sud, quelli vecchi e quelli attuali. Ogni sessione è coordinata da parlamentari e da un ingegnere, i quali, domani, saranno chiamati a presentare una sintesi dei risultati dei lavori. Otto argomenti che abbracciano la mission che il ministro per il Sud intende perseguire:

La questione meridionale oggi, con il coordinamento della deputata Giuseppina Castiello, (Lega).

Università per l’impresa e l’amministrazione, coordina il senatore Gaetano Quagliarello (Idea e Cambiamo).

Lavoro e socialità, coordina l’onorevole Michele Bordo (Pd).

Mobilità a lungo e a breve raggi“, coordina la senatrice Fulvia Michela Caligiuri (Forza Italia).

Transizione ambientale, coordina il professor Raffaello Cossu (emerito di Ingegneria all’Università di Padova).

La scuola strumento per rimuovere gli ostacoli, coordina Dalila Nesci (M5S), sottosegretario per il Sud e la Coesione territoriale.

Innovazione digitale, coordina il deputato Catello Vitiello (Italia Viva).

– “Salute, filiera strategica“, coordina il deputato Federico Conte (Liberi e Uguali).

La giornata di domani sarà chiusa dall’intervento conclusivo del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco. Prima del bilancio delle assise tracciato dalla stessa Mara Carfagna, ci saranno gli interventi di Fabrizio Barca, Claudio De Vincenti, Giuseppe Provenzano, Catia Bastoli, Lucrezia Reichlin e del sottosegretario alla Presidenza Bruno Tabacci.

Insomma c’è di che riempire un librone (non dei sogni) per tracciare il percorso che la Calabria, tutto il Meridione, intendono percorrere, da protagonisti del proprio sviluppo. C’è da essere, una volta tanto, ottimisti e fiduciosi, anche perché «se non riparte il Sud non riparte l’Italia», questo è ormai evidente a tutti. (s)

SVIMEZ SCRIVE A DRAGHI: L’INNOVAZIONE
È LA CHIAVE CONTRO IL DIVARIO NORD-SUD

Il Recovery Plan è una vera e propria scommessa non solo per l’Italia, ma sopratutto per il Sud. Un’occasione – più e più volte ribadita da Istituzioni, Enti, sindacati e politici – irripetibile, che potrebbe, finalmente, accorciare l’abisso che, negli anni, si è formato tra il Nord e il Sud sopratutto a livello infrastrutturale.

Gli economisti Luigi PaganettoAdriano Giannola, presidente Svimez, Alessandro Corbino, Leandra D’Antone, Mario Panizza, Flavia Marzano, Giandomenico Magliano, Vincenzo Scott, in un documento inviato al premier Mario Draghi, sottolineano che «l’innovazione è la chiave per progettare e gestire l’unificazione del Paese: Nord e Sud».

«La crisi economica del 2008 – si legge nella lettera – e la drammatica pandemia non hanno messo solo il Mezzogiorno in gravi difficoltà ma, e in modo crescente, anche il Nord; le stesse regioni, cioè, che hanno costituito – nel passato – un ruolo di motrici dello sviluppo. Per questo, oggi, è necessario che il Nord e il Sud rilancino lo sviluppo dell’Italia e di ciascuna delle due aree con un disegno comune».

Il documento inviato, «che nasce anche dall’attività istituzionale condotta dai diversi Centri di ricerca e Universitari cui i firmatari fanno riferimento, possa fornire spunti utili per il progetto che il Governo sta definendo in relazione al Recovery Fund».

«Viviamo in una logica di grandi aree in competizione tra loro, per cui possiamo avvalerci della nostra collocazione nel Mediterraneo e mirare a politiche per l’innovazione e la transizione digitale e ambientale con essa compatibili e, allo stesso tempo, adottare, nella logica Ue, interventi su un sistema di infrastrutture, materiali e immateriali, che rilancino la nostra competitività, tanto del Mezzogiorno quanto del Nord che, da tempo, ha visto decrescere i vantaggi della cooperazione con i Paesi più sviluppati della Ue».

«Siamo certi – hanno scritto gli economisti che l’effetto crescita degli investimenti da realizzare nel Mezzogiorno andranno a vantaggio dell’intero Paese. Il Mezzogiorno e il Mediterraneo diventano la leva per il Nord dell’Italia e per lo stesso Nord dell’Europa e aiutano a far argine a rivendicazioni corporative a sussidi stimolando invece l’impegno a raggiungere tappe coordinate di sviluppo che, nel dare al Sud lavoro e benessere e un definitivo ancoraggio ai valori costituzionali, arricchiscano l’Italia nel suo insieme».

Per la Svimez, dunque, «occorre inserire le proposte per il Mezzogiorno in una strategia di ricomposizione di sistema e, quindi, di sviluppo sostenibile, che trovi la sua collocazione nel quadro in cui oggi si muove l’Europa, in maniera non assistenziale e riducendo le diseguaglianze che impediscono livelli coerenti e omogenei, basilari per la qualità della vita».

«Occorre – si legge nel documento – rimettere in moto, attraverso il Recovery Plan, il Mezzogiorno in modo sinergico con il Centro-Nord e con una visione unitaria, indispensabile per il rilancio di entrambe le macro-aree e funzionale a un riequilibrio del Paese e a ristabilire la sua posizione in Europa e nel Mediterraneo, superando il dualismo storico dell’economia e della società italiana».

«Per farlo – si legge nel documento – occorre partire dal quadro competitivo in cui la stessa Europa si colloca, e le sfide che deve fronteggiare. Oggi siamo concentrati, come è giusto che sia, sulla pandemia e sulla crisi devastante che stiamo vivendo. Molto è stato fatto. L’abbandono delle regole di Maastricht, il cambio di rotta della politica monetaria della Bce e il programma d’intervento del Next Generation Eu ci assicurano un contesto in cui è possibile la ripresa. Ma non bisogna dimenticare che la Eu, nel momento in cui è impegnata a superare il quadro pandemico, si trova a fare i conti con lo straordinario cambiamento globale che si è prodotto in questi anni, a cui deve rispondere come già aveva cominciato a fare al momento dell’insediamento della nuova Commissione.

Due gli aspetti chiave individuati: il primo, «il mancato aumento della produttività (per il quale occupiamo gli ultimi posti) a dispetto dei grandi progressi della tecnologia e dell’aumento degli investimenti in intangibles, quali software e intelligenza artificiale», il secondo «la riduzione delle catene del valore collegata ai rischi e alle incertezze di un mondo dominato dalla pandemia che determina un nuovo assetto della competizione tra le diverse aree del mondo. Rispetto ad esso contano, perché influenzano la produttività, le tendenze di lungo periodo dell’invecchiamento della popolazione europea e le sue conseguenze rispetto a welfare e crescita, anche se esso potrebbe essere in parte bilanciato dagli effetti positivi di migrazioni ben regolate. Le questioni della transizione energetica e quella dei conflitti commerciali in corso per la supremazia tecnologica, sono aspetti importanti di questa competizione tra aree del mondo».

«La conclusione – si legge – è che ciò che sta accadendo dovrebbe spingere la Eu a crearsi nuovi spazi economici, a cominciare da quelli più immediatamente realizzabili, quelli della sponda Sud. Non solo. Nel momento in cui si dovesse abbracciare una prospettiva mediterranea, occorre che alla scelta di area si associno progetti d’investimento in grado di aumentare la produttività, sia che si tratti di progetti per la transizione ecologica che di scelte a favore di quella digitale».

Per la Svimez, infatti, «a livello del nostro territorio, la politica economica dovrebbe tenere conto, sia nelle sue linee generali che in quelle previste dal Pnrr, dell’esigenza di puntare sull’innovazione, prendendo in considerazione le opzioni d’investimento in infrastrutture e logistica coerenti con questa prospettiva, nel momento in cui, ad esempio, ecosostenibilità e tecnologie digitali si applicano alle scelte in materia portuale. Questa scelta strategica complessiva può avere grande effetto sullo sviluppo del Mezzogiorno, se si traduce in interventi che tengono adeguato conto dell’innovazione collegata con le nuove tecnologie che porta con sé aumenti di produttività».

«L’utilizzo delle risorse del Recovery Fund – ricorda la Svimez – impone di fissare precisi obiettivi, varare progetti, definire un percorso che impegni le risorse entro il 2023, da spendere entro il 2026. Per ottemperare al duplice vincolo delle condizionalità e della tempistica va esplicitata in primis una visione realistica, immediatamente operativa, capace di porre mano alla fondamentale esigenza di connettere il Paese e di ridurre, con la ripresa dello sviluppo, le disuguaglianze economiche e sociali che – come la Ue sottolinea – minano alla base il Sistema Italia».

Per la Svimez, dunque, «occorre definire un chiaro Progetto di Sistema che – per quanto attiene al ruolo che compete al settore pubblico – sia incardinato su interventi produttivi, non assistenziali, in conto capitale, organicamente finalizzati a sostenere e migliorare le performance delle imprese e a recuperare il contributo di quel 40% di territorio e di oltre il 30% di cittadini per rimettere in moto il Mezzogiorno nell’ottica nazionale euromediterranea. In questo spirito va colta l’opportunità (da decenni trascurata) di partecipare in posizione centrale al governo del Mediterraneo, il luogo che più radicalmente la globalizzazione ha investito e reso strategico e nel quale l’Unione e noi – unico grande Paese dell’Unione esclusivamente mediterraneo – siamo invece a rischio di una progressiva emarginazione».

«L’obiettivo è quello di consolidare un aspetto di cruciale rilevanza della politica euromediterranea, che è fondamentale per il nostro ruolo. L’upgrading del sistema portuale meridionale, l’effettiva operatività delle Zes consentono di strutturare in modo efficiente le funzioni logistiche dell’intermodalità e della trasversalità territoriale, a cui deve concorrere la progressiva, rapida attivazione di un sistema di Autostrade del Mare (da tempo annunciata e mai adeguatamente sviluppata), fattore di ulteriore nostro vantaggio, sul versante della transizione energetica e della sostenibilità ambientale. Sarà così realizzata la missione di fare del “nostro” Mediterraneo, la grande piazza di un mercato di scambio, riscattando le nostre inerzie strategiche che lo hanno reso, fino ad ora, un passivo mare di transito».

«Partendo, quindi, dal Piano del Sud, riteniamo opportuno ribadire – continua il documento – che una pianificazione dedicata al Mezzogiorno, o una lettura del Mezzogiorno come dimensione geografica a se stante, è un comportamento antitetico a ciò che invece riteniamo approccio di “sistema”. E l’approccio di “sistema” impone una lettura organica e unica dell’intero assetto Paese: sarebbe bene produrre subito un documento organico del rilancio ed dell’ottimizzazione della offerta infrastrutturale e logistica del Paese, in un’ottica di sviluppo sostenibile euromediterraneo».

L’Ente, poi, sottolinea l’urgenza di costituire una unica società per azioni «in grado di ottimizzare, al massimo, le singole potenzialità» dell’offerta portuale del Mezzogiorno, costituita da 13 impianti aeroportuali.

«Una unica Società – viene spiegato – oltre a contenere i costi di gestione, potrebbe anche dare vita ad una vera specializzazione dei singoli scali e, soprattutto, potrebbe attrezzare solo due di essi a un servizio cargo, in grado di rendere efficienti e funzionali i trasporti delle primizie del comparto agroalimentare».

Proposta, anche, una riforma organica dell’offerta portuale del Mezzogiorno, dove «basterebbe – scrivono gli economisti – dare vita ad una chiara distinzione tra la portualità finalizzata al transhipment e quella destinata ad altre attività e definire i porti di Cagliari, Augusta, Gioia Tauro e Taranto come gli unici Hub del Mezzogiorno preposti ad una simile attività, e trasferire la gestione di tali Hub ad unica Società per Azioni. Le altre realtà portuali rimarranno legate a quanto previsto dall’attuale normativa. Il porto di Napoli, di Salerno, di Catania, di Palermo continueranno ad essere all’interno delle Autorità di sistema portuale. Una riforma sostanziale nella offerta di trasporto pubblico locale nelle aree urbane del Mezzogiorno».

La Svimez, poi, ha sottolineato l’urgenza di affrontare alcune questioni che, «se non affrontate, rischiano di fluire negativamente sulle modalità e sui tempi che ci vengono dettati dalla Ue in questo programma di ripresa e di sviluppo sostenibile»: la prima, è quella di «definire un programma a 100 giorni, in cui sarà bene che l’intera compagine di Governo lavori in modo collegiale; è necessario evitare che i singoli Dicasteri lavorino autonomamente perché le interazioni e le interdipendenze tra i vari Dicasteri in questa delicata fase diventano la condizione essenziale per riuscire a ricomporre le tessere socio – economiche del mosaico Paese».

«È, infatti, impensabile – continuano gli economisti – che la ministra del Mezzogiorno, Mara Carfagna, possa produrre delle linee strategiche essenziali per la crescita del Sud senza lavorare, durante i primi 100 giorni, con la ministra degli Affari Regionali, con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il ministro dell’Economia e delle Finanze ecc. In realtà, siamo sempre più convinti che la caratteristica più forte di questo Governo debba essere proprio questa elevata carica di collegialità nel formulare le proposte, nel varare scelte».

La seconda questione, poi, riguarda la definizione delle riforme: «diventa necessario che si pervenga alla definizione delle riforme misurando, caso per caso, le ricadute che ogni riforma provoca in comparti diversi. Siamo sicuri, ad esempio, che la riforma della Giustizia civile dovrà necessariamente essere affrontata leggendo, in modo capillare, le ricadute che si generano nel comparto delle costruzioni. Analogamente, la riforma del trasporto pubblico locale dovrà essere definita non solo dal Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ma anche dal Ministero dell’Ambiente, dal Ministero degli Affari Regionali e dal Ministero del Sud. Questa esigenza di complementarietà nasce proprio dalla esigenza di trasferire su mezzi pubblici la massima domanda di trasporto che invece usa ancora per oltre il 65% mezzi di trasporto privati».

«Occorre, quindi – scrivono ancora – rivedere le logiche con cui lo Stato, oggi, copre circa il 65% dei disavanzi delle società preposte alla gestione di una tale offerta di trasporto e forse occorre misurare quanto incida sulla produzione di CO2 e di polveri sottili tale trasporto e concordare con il Ministero dell’Ambiente la istituzione di un apposito Fondo rotativo capace di premiare le gestioni virtuose; tutto questo coinvolgendo le Regioni che, nel caso specifico, potrebbero concordare con lo Stato l’utilizzo delle risorse comunitarie (Pon e Por) per implementare al massimo la offerta di trasporto pubblico su guida vincolata (metropolitane pesanti e leggere)».

Un’altra questione, riguarda la «rivisitazione della fase autorizzativa delle proposte progettuali relative alle opere che si riterrà opportuno non solo inserire nel Recovery Plan, ma in quel Programma di opere che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dopo un aggiornamento del Programma delle Infrastrutture Strategiche di cui alla Legge Obiettivo, intenda confermare. Ebbene, la fase autorizzativa, che mediamente impiega oltre 30 mesi (con punte di 70 mesi), deve ridursi in un arco temporale di soli 90 giorni. Trattasi della riforma senza dubbio più rilevante ma possibile; perché le motivazioni dei tempi lunghi e delle scadenze temporali non rispettate è legata alla frantumazione dei pareri e alla disarticolata tempistica con cui questi vengono prodotti; è necessario effettuare l’esame di ogni proposta in una sede unica con la presenza dei vari Dicasteri competenti, con la emissione contestuale di tutti i pareri, con la partecipazione della Corte dei Conti e con un unico esame definitivo del Cipe».

«Un’azione del genere – continua il documento – è basilare per il Mezzogiorno dove dei 54 miliardi di risorse del Fondo di Coesione e Sviluppo, in sei anni, se ne sono impegnati solo 24 e spesi solo 7; dove su circa 26 miliardi di opere infrastrutturali approvate nel 2014 sono in corso di realizzazione solo interventi per un importo di circa 5 miliardi». (rrm)

E MARIO DRAGHI ESCLAMÒ A CANNIZZARO
«VIVA LA CALABRIA»: CHE SIA UN OBIETTIVO

di SANTO STRATI – Secondo quanto ha riferito l’on. Francesco Cannizzaro che lo ha salutato alla Camera a margine della votazione di fiducia, il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ha chiuso il dialogo informale col deputato reggino esclamando “Viva la Calabria!”. Detto nemmeno tanto a bassa voce prima di andare via tra gli applausi – ha detto Cannizzaro.

La cosa rende felici i calabresi che osservano con trepidazione le nuove prime mosse del Governo: c’è un corposo carnet di richieste avanzate dai sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, ci sono le preoccupazioni per il Recovery fund, visto che il “Piano di ripresa e resilienza”  elaborato dal governo Conte 2, lo scorso dicembre, ha inopinatamente dimenticato la nostra regione. Completamente: nella bozza, che – è stato promesso – sarà riveduta e ampiamente corretta, l’unica volta che appare la parola Calabria è accanto a Reggio, nel progetto di “ammodernamento” della rete ferroviaria Salerno-Reggio Calabria. Non sappiamo se risulta chiara la parola “ammodernamento”, quando, invece, si attende una nuova rete ferroviaria ad Alta Velocità/Alta Capacità, in grado di consentire un collegamento rapido da Salerno a Reggio. Ovvero permettere ai treni superveloci, che sull’attuale materiale rotabile non possono raggiungere alte velocità, di sfruttare la potenza di cui dispongono.

E poi c’è la storia infinita del Ponte sullo Stretto su cui i troppi no hanno di fatto fatto incavolare calabresi e siciliani. L’ultimo studio di un gruppo di docenti universitari ha consegnato ai governatori di Sicilia e Calabria un dossier da presentare appunto a Draghi perché non si perda l’opportunità offerta dal Recovery fund. Oltretutto, il gruppo WeBuild (ex Impregilo) che fa capo a Pietro Salini e, di fatto, assegnatario dell’esecuzione del progetto dell’attraversamento stabile dello Stretto ha fatto sapere di essere pronto a investire risorse proprie (4 miliardi di euro) per costruire il Ponte, lasciando allo Stato solo le opere accessorie (circa 2 miliardi). A conti fatti costa quasi di più non farlo il Ponte, viste le altissime penali previste in caso di mancata realizzazione.

Draghi ha una visione strategica che va oltre l’Italia, ma comprende l’Europa e il resto del mondo: il nemico numero uno da battere nel più breve tempo possibile si chiama Covid. Una guerra, praticamente, mondiale che si può vincere solo con un’unità di intenti e la comune condivisione di risorse vaccinali e ricerca scientifica. 

Risulta persino odioso pensare che le multinazionali del farmaco difendano i brevetti del vaccino anziché concederli gratuitamente a tutto al mondo. E se non gratuitamente, almeno a un prezzo forfettario che liberi la “proprietà” scientifica e permetta la produzione del vaccino in ogni parte del mondo. Non ci sarebbero problemi di disponibilità se ogni Paese potesse fabbricarsi in proprio il vaccino.

Ma torniamo alla Calabria: il simpatico saluto del presidente Draghi non dev’essere considerato un auspicio, ma ci piacerebbe che fosse un obiettivo, un impegno che l’ex mr BCE prende con i calabresi. I quali – per inciso – molto probabilmente non avranno alcun rappresentante tra gli oltre 40 sottosegretari e viceministri che saranno nominati in settimana proprio da Draghi. Non è questione di campanile, ma farebbe comodo qualcuno dentro l’Esecutivo che parli in nome e per conto della Calabria.         (s)

Cannizzaro (FI): Grande fiducia nel Governo Draghi

Il deputato di Forza ItaliaFrancesco Cannizzaro, ha dichiarato di aver avuto un breve colloquio con il presidente del Consiglio Mario Draghi, e che da ciò «è stato sufficiente a farmi capire che pure la Calabria sarà a suo modo centrale nel piano di rilancio dell’intero Paese, che necessariamente vedrà anche il Mezzogiorno protagonista».

«La ricetta “verde-blu” – ha aggiunto – ovvero ambiente-sostenibilità, che il neo Premier ha sponsorizzato sin dall’inizio, trova fondamento proprio in quel Sud che delle coste, delle aree protette, dei suoi monti ospitali fa principali risorse. Risorse che devono però essere meglio sfruttate».

«La politica che il Governo Draghi – ha proseguito Cannizzaro – deve attuare è resa obbligata dall’emergenza in atto: sconfiggere la pandemia e sfruttare nel miglior modo possibile il Recovery Fund sono, di certo, i primissimi obiettivi. Tuttavia, ciò non può comportare disattenzione per tutto il resto, ed è proprio questa la rassicurazione emersa dal breve dialogo che ho avuto l’onore di avere. Fiscalità agevolata, rilancio del sistema produttivo, implementazione delle risorse a disposizione delle imprese, esecuzione o ammodernamento delle grandi infrastrutture, ottenere il massimo rendimento dalle potenzialità del Sud, è quanto ci si aspetta dal nuovo percorso appena iniziato».

«Io ci credo, Forza Italia ci crede – ha concluso –. Rendiamolo realtà». (rp)

 

Il sindaco Giuseppe Falcomatà: Ripresa post pandemica sia occasione per rilancio del Sud

Il sindaco di Reggio e delegato Anci per il Mezzogiorno e la Coesione Territoriale, Giuseppe Falcomatà, a seguito del discordo del presidente del Consiglio Mario Draghi in Senato, ha sottolineato che «l‘uscita dalla crisi pandemica deve essere un’occasione per il Sud, un’opportunità per riprendere un discorso interrotto 70 anni fa».

«Ho apprezzato il discorso del presidente Draghi – ha detto –. Il richiamo all’unità è certamente un valore. Il presidente ha ragione: uscire da questa pandemia non sarà semplice come riaccendere la luce. Molte cose cambieranno, e la politica ha il compito di accompagnare questa fase di ripartenza sostenendo soprattutto chi è rimasto più indietro. A cominciare dal tema del lavoro, con la promozione di un nuovo paradigma di giustizia sociale».

«Il Sud – ha proseguito – può essere il motore della ripartenza italiana. E gli investimenti del Recovery plan il carburante per tornare in pista, ripensando il modello di sviluppo in un’ottica più equa e più sostenibile. Su questi temi, il nuovo Esecutivo ha un compito gravoso, ma non più rinviabile». (rrc)

L’appello di Giacomo Saccomanno a Draghi: L’Italia riparta dal Sud

L’Italia riparta dal Sud. È questo l’appello che il commissario regionale della LegaGiacomo Saccomanno, ha rivolto al presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi.

«Il Sud – ha spiegato – ha un’occasione storica per passare dalle tante promesse al concreto suo rilancio attraverso la reale realizzazione di opere infrastrutturali che potranno portare, tra l’altro, lavoro e crescita. La Lega, con Matteo Salvini, ha già evidenziato la necessità che si cominci a ragionare in modo fattivo per la realizzazione di quelle opere indispensabili affinchè si possa sostenere lo sviluppo del Sud».

«Oggi ci sono le risorse e, quindi – ha aggiunto – trattasi di esclusiva volontà politica. Per quanto riguarda la Calabria, Matteo Salvini, così come il presidente f.f. Nino Spirlì, hanno già indicato e chiesto la massima attenzione su diversi interventi come l’alta velocità, il ponte sullo Stretto, i collegamenti sulla fascia ionica, il porto di Gioia Tauro, ecc. Si tratta di interventi prioritari che potrebbero trasformare in positivo il futuro della nostra ragione, sui quali tutte le forze politiche devono unirsi per sostenere un piano unitario».

«In tale contesto – ha proseguito Saccomanno – appare anche indispensabile che il Sud e la Calabria vengano adeguatamente rappresentati nel Governo, in modo tale che vi sia quel collegamento stabile tra le esigenze del Mezzogiorno e le scelte che verranno assunte. La Lega, comunque, ritiene che gli interventi del segretario Salvini comprovino, pacificamente, quale sia la volontà espressa per consentire, appunto, che la Calabria diventi il punto di riferimento per i rapporti nel Mediterraneo e, quindi, vi sia la massima attenzione per consentire un corretto utilizzo delle attuali risorse».

«Certamente, risulta, comunque – ha concluso – allo stato prioritaria la lotta alla pandemia, con la evidente necessità di realizzare un piano vaccinale che possa affrontare con coraggio ed efficienza la somministrazione del vaccino a tutta la popolazione». (rcz)