LA RIPARTENZA RISCHIA UN AMARO RINVIO LA CALABRIA IDEALE PER DELOCALIZZARE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Quella tanto agognata ripresa sembra essere a rischio, non solo per l’Italia, ma anche per la Calabria. Nel rapporto L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina del Centro Studi di Confindustria, si parla, infatti, di una “recessione tecnica”, con un calo, nella migliore delle ipotesi, di -0,2% e di -0,5% nei primi due trimestri a causa degli effetti negativi della guerra, per poi immaginare una previsione (rivista ancora in calo) della crescita del 2022 pari al +1,9%.

Previsioni che, tuttavia, non costituiscono buone notizie per la nostra regione, soprattutto se, tra la serie di rischi non nuovi indicati dal Centro Studi, c’è «uno slittamento dei tempi di attuazione del Pnrr o una sua minore efficacia nell’alzare la crescita potenziale». Un rischio che deve essere impedito, in virtù del fatto che il rilancio e lo sviluppo della Calabria – e del Mezzogiorno – dipende da quei preziosi fondi con cui si possono ammodernare e realizzare nuove infrastrutture, migliorare il welfare, il lavoro e tutto ciò che potrebbe migliorare la vita dei calabresi.

Eppure, il Centro Studi ha evidenziato come «anche gli effetti positivi derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono a rischio, perché alcuni degli investimenti previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali. Inoltre, la scarsità di vari materiali potrebbe rendere difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. È, quindi, probabile che alcuni progetti debbano essere rivisti alla luce del contesto attuale, affinché il Piano possa essere effettivamente implementato».

Ma non è solo il Pnrr a rischio. Come evidenziato dal Centro Studi,  la guerra in Ucraina ha avuto un impatto di non poco conto sull’attività economica, e «agisce come uno shock di offerta profondo, al momento difficilmente quantificabile, perché il quadro è in continua evoluzione».

«In Italia – si legge nel rapporto – i rincari di petrolio, gas, carbone, stanno facendo crescere i costi delle imprese. Da un’analisi svolta con l’utilizzo delle tavole input-output, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione (a parità delle voci di costo non energetiche) aumenterebbe del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022. In euro, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile, ovvero in un maggior onere di 68 miliardi su base annua. Il settore maggiormente colpito è di gran lunga la metallurgia, dove l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%)».

«Le imprese – secondo il rapporto – hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi, invece di scaricarli sulle fasi successive della produzione. I margini erosi spiegano perché l’inflazione core in Italia è bassa, molto più che altrove. L’unico aspetto positivo è che questo andamento di prezzi e margini ha salvaguardato la competitività delle imprese italiane rispetto a quelle di altri paesi, ma non è sostenibile. Per questo diverse imprese stanno riducendo o fermando la produzione, o prevedono di farlo nei prossimi mesi».

«D’altra parte, i rincari dei prezzi energetici (+52,9% annuo a marzo) comprimono il potere d’acquisto delle famiglie e ciò influirà sull’ampiezza e il ritmo di crescita dei consumi, il cui recupero è stato prima ostacolato dall’aumento dei contagi e ora anche dalla maggiore incertezza che influenza la fiducia, che a marzo è crollata. La normalizzazione della propensione al risparmio delle famiglie, ancora elevata nel 2021 (13,5% in media fino al terzo trimestre) appare quindi rinviata. Famiglie e imprese, infatti, saranno indotte a rivedere cautamente le proprie decisioni di consumo e di investimento. L’indice di incertezza della politica economica per l’Italia è salito del 21,1% nella media dei primi due mesi del 2022 rispetto al quarto trimestre del 2021 ed è destinato ad aumentare ulteriormente da marzo».

Il Centro Studi, poi, ha evidenziato come «La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare per quelli che provengono dai tre paesi coinvolti»e che ciò comporta «in primo luogo, uno shock concentrato in specifiche produzioni. In secondo luogo, poiché si tratta di input a monte delle catene globali del valore, utilizzati in numerose produzioni a valle, gli effetti di colli di bottiglia si amplificheranno lungo le filiere, fino ai beni di consumo e investimento».

«Ma l’export di beni – viene evidenziato – è penalizzato dal conflitto anche perché questo tenderà a rafforzare le strozzature nella rete di approvvigionamento globale, già manifestatesi nel 2021. La specializzazione geografica dell’export italiano, più rivolta ai paesi della UE, non aiuterà; come anche la specializzazione merceologica del nostro export, in cui ad esempio conta molto il settore dei prodotti in metallo».

«I numeri che escono dal rapporto del Centro Studi – ha dichiarato Fortunato Amarelli, presidente di Confindustria Cosenza – allarmano e rendono urgente una azione aggiuntiva rispetto a quanto fatto fino ad ora imponendo un tetto per il prezzo del gas. Perché le misure fin qui adottate dal Governo sul fronte del caro-energia non sono sufficienti ed appaiono di mero respiro temporale mentre i rincari di petrolio, gas e carbone, stanno facendo crescere, purtroppo, i costi per le imprese e ne stanno minando, in non pochi casi, la stessa sopravvivenza».

Per il numero uno degli industriali cosentini, questi rincari potrebbero avere un impatto negativo sull’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza perché gli investimenti previsti potrebbero risultare di difficile realizzazione ai prezzi attuali e nei tempi previsti.

«Proprio di questo tema cruciale, cioè del Pnrr legato alle opportunità e progettualità che potrebbero interessare la Calabria e la provincia di Cosenza in particolare – ha sottolineato Amarelli – abbiamo parlato nei giorni scorsi in occasione del primo Consiglio Direttivo itinerante di Confindustria Cosenza tenuto presso Alfagomma, una delle principali aziende del territorio».

Gli imprenditori hanno rimarcato il ruolo sociale ed economico svolto dal sistema delle imprese, tanto in termini di sviluppo dei territori quanto in termini occupazionali ed hanno chiesto ai rappresentanti di governo delle istituzioni politiche maggiore attenzione per il superamento di alcuni gap che limitano lo svolgimento delle attività, in primis lo snellimento della burocrazia.

«Aziende come l’Alfagomma – ha spiegato Amarelli – ci dimostrano che è possibile fare impresa in Calabria a livelli eccellenti ed in molteplici campi. L’attenzione alle competenze ed al capitale umano, il rigore e la serietà con le quali viene portata avanti l’attività risultano premianti. Se supportati e messi nelle condizioni di poter bene operare, potrebbero svilupparsi tante nuove attività perché non ci difetta la volontà e la capacità di fare. Ciò che abbiamo registrato in questa attività di ascolto sul campo, evidenziata negli interventi degli imprenditori presenti in rappresentanza delle realtà di tutti i territori della provincia ci induce ad essere positivi, a provare a fare sempre di più e meglio in un territorio che abbia consapevolezza del valore strategico delle imprese tanto dal punto di vista economico che sociale».

«Lo sviluppo della Calabria – ha detto ancora Fortunato Amarelli – non potrà che passare anche attraverso l’attrazione di investimenti esterni, come nel caso di Alfagomma. La nostra regione, più di altre, può candidarsi ad essere il luogo ideale per delocalizzazioni domestiche, grazie ad incentivi mirati, minor costo della vita e risorse umane competenti, unite a semplicità di gestione, lingua, legislazione e raggiungibilità che costituiscono un’importante vantaggio competitivo. Bisogna però prestare immediata attenzione alle zone industriali, che da abbandonate e degradate devono diventare luoghi puliti, organizzati ed infrastrutturati».

«Come sempre – ha concluso il presidente di Confindustria Cosenza – è il fattore tempo a determinare il successo di ogni iniziativa, gli esiti della nuova emergenza, che ha cause soprattutto internazionali, limiteranno fortemente gli scambi con l’estero ma tenderanno a riportare in Italia la produzione manifatturiera, occorre essere pronti a cogliere questa opportunità». (ams)

 

L’AUMENTO DEI COSTI E CRISI DA PANDEMIA
IN CALABRIA L’URGENZA DI VERI SOSTEGNI

di ORLANDINO GRECO  – La pandemia ha avuto effetti assai nefasti, facendo emergere non solo le contraddizioni del nostro sistema sanitario ma accentuando le asimmetrie economiche e sociali, con conseguente aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze.

Un vero disastro, certificato anche dall’ultimo rapporto Istat sull’occupazione, che dal 2004 non registrava un dato così allarmante. Il livello generale di tensione generato dalla condizione pandemica è talmente alto da superare perfino le preoccupazioni per il Covid stesso. Da qui l’irrazionalità dei tanti complottisti, negazionisti e detrattori della scienza e delle Istituzioni.

L’aumento del costo delle materie prime e delle imposte sono, in ordine di tempo, gli ultimi eventi di un’escalation di conseguenze negative della pandemia sul tessuto produttivo nazionale ed internazionale.
Nello specifico, al crollo della produzione e quindi dei fatturati, dovuto ai primi lockdown, ha fatto seguito l’allentamento delle stesse misure restrittive che ha incentivato nuovamente la grande domanda su scala globale che a sua volta ha portato con se’ l’aumento dei prezzi delle materie prime.

L’effetto è stato destabilizzante per tutti, perché il mercato era comprensibilmente impreparato, con l’aggravante che l’Europa, colpita dal crollo della produzione di beni, sia di base che tecnologici, è stata surclassata dai Paesi asiatici i quali, si sa, hanno un costo della manodopera più basso rispetto al nostro.

Il forte aumento del costo dell’energia nel 2021 è divenuto insostenibile per i più, comportando l’aumento delle bollette per energia elettrica e gas, dovuto prevalentemente all’aumento del costo del gas naturale, causato dalle distorsioni del mercato: la ripresa economica di alcuni Paesi, l’inverno particolarmente freddo nel Nord Europa e l’ingente domanda di gas proveniente dalla Cina che ha dirottato l’offerta russa verso l’Oriente.

Aggiungasi la lotta al cambiamento climatico, attraverso la quale si stanno disincentivando i consumi energetici con un funzionale rincaro dei costi. Un rincaro, a fronte dei numeri, avvenuto senza gradualità e dunque avvertito maggiormente dalle famiglie a basso reddito e per le piccole e medie imprese.

Vi è poi la questione dei bilanci pubblici che andrà affrontata una volta che questa fase eccezionale di espansione fiscale e di investimenti si esaurirà. Il combinato disposto tra recessione e aumento della spesa pubblica per fronteggiare la crisi ha incrementato il debito pubblico di tutto il globo, Ue compresa, e ciò dovrà essere il tema di oggi e di domani per far sì che la boccata di ossigeno data dalla sospensione del Patto di Stabilità, rappresenti un momento di riflessione seria su come reimpostare le politiche di bilancio dell’Unione Europea.

Per far fronte alle conseguenze sociali di questi squilibri l’Europa ed il G20 dovranno mettere in campo misure di sostegno ai meno abbienti perché il rischio è che la situazione diventi insostenibile per queste famiglie, minando la credibilità dei governi. La pandemia ha purtroppo acuito gli effetti di una crisi economica e strutturale già in atto, in particolare in Italia.

Per invertire la rotta e restituire fiducia agli italiani e agli investitori occorre da un lato accelerare la campagna vaccinale, affrontando il tema in modo sistemico e quindi globale e, dall’altro, agire con concretezza sull’emorragia del mercato del lavoro, calmierando le tasse e incentivando di conseguenza la domanda, perché il tempo a disposizione per restituire la speranza di un futuro migliore ad intere generazioni è poco.

Ed è proprio questa la più grande lezione da apprendere sul Recovery Fund: porre l’accento sulla crescita, sulle riforme e sugli investimenti. (og)

COVID-19: SENZA INFORMAZIONE ADEGUATA
I SOCIAL SEMINANO SOLO PAURA E ALLARME

di FRANCESCO RAO –  Le criticità sanitarie della Calabria dovrebbero richiamare la nostra attenzione ad un rapido cambio di passo rispetto al passato. I tempi cambiano. Cambiano le sfide quotidiane. Cambiano anche le risposte e le reazioni sociali.

Al cospetto dei dati rilevati quotidianamente e diffusi dalle agenzie d’informazione, paragonabili ad un vero e proprio bollettino di guerra, si assiste ad un crescente pretesto utile soltanto per dare fuoco alla città, incrementando confusione e destabilizzazione sociale, senza considerare gli strumenti che la scienza ha messo a disposizione in pochissimo tempo per superare in modo concreto il problema. In Calabria, oltre alla questione sanitaria, vi è anche un deficit culturale, animato dal 15,2% di analfabetismo funzionale per il sesso femminile e il 10,9 % per quello maschile.

Tale dato, oggi più che mai, non va nuovamente messo sotto il tappeto. In pratica, 243.466 persone, pur avendo le capacità di leggere e scrivere, sono prive di molte competenze nella vita quotidiana e con molta probabilità, a mio parere, anche in questo segmento sociale è rilevabile una certa resistenza alla vaccinazione. Non va poi trascurato il potenziale moltiplicatore esercitabile da quest’ultimi su altre persone.

A questi Cittadini – rivolgendomi al Presidente Roberto Occhiuto – bisogna tendere la mano, applicando una comunicazione sanitaria di prossimità mirata, praticabile soltanto dai Medici di famiglia e dai farmacisti i quali, continuano ad essere il riferimento fiduciale per le cure mediche dei Calabresi. Partendo dal basso potremo vincere questa spaventosa Guerra chiamata pandemia. Vi sono ormai conclamate evidenze comunicative in merito, la crescente preoccupazione è rilevabile soprattutto dalle numerosissime discussioni (chiamiamole così per garbo nei confronti dei lettori) avviate suoi social. 

Messe da parte le competenze scientifiche, possedute da pochissimi soggetti impegnati nella ricerca e non propensi a stracciarsi le vesti in pubblica piazza, vi è da affrontare l’emergenza pandemica con una chiave di lettura non riconducibile ad un Referendum. In tal senso, le fazioni politiche (svuotate in grosso modo dalle rispettive ideologie) hanno trovato occasione per riemergere, ottenendo una visibilità e una legittimazione mediatica precedentemente persa grazie a quanti hanno animato le piazze d’Italia ribellandosi alla via vaccinale.

La pervasività della comunicazione ha fatto il resto, rilevando e potenziando “l’effetto” di un malessere che prima di essere sanitario era economico-occupazionale. La forte spinta proveniente dal basso ha spostato l’asse dell’attenzione verso quel “malcontento sociale”, emerso molto velocemente durante il primo lockdown. In tal senso, la politica non può sottrarsi alle proprie responsabilità. L’aver lasciato in balia del dubbio e della paura quanti non comprendevano la pericolosità del virus e la velocità della sua diffusione perché impegnati a inventarsi un modo per sbarcare il lunario a fine mese, rappresenta ancora oggi un effetto dirompente nel percorso intrapreso per contrastare la diffusione della Pandemia.

Quest’ultimo passaggio, a mio avviso, rappresenta il “tallone d’Achille” della questione in quanto: l’informazione sanitaria spetta ai medici e non può essere un ruolo svolto in via esclusivo dalla politica, tranne i casi di politiche sanitarie adottate a seguito del fondante contributo scientifico. 

Nella nostra realtà sembrerebbe che i ruoli siano stati capovolti: i medici sono stati sottoposti a criticità pazzesche per far fronte alle emergenze e quando hanno espresso le loro opinioni pubblicamente hanno ricevuto anche minacce di morte; i politici, non tutti per fortuna, nel loro agire, hanno ben pensato di tramutare il malessere sociale, diffuso a macchia d’olio nel paese, come vessillo di battaglia scegliendo di schierarsi al fianco di quanti non hanno condiviso la linea afferente al percorso vaccinale, senza (voler) considerare la vera entità del problema, ossia l’implementazione di uno scollamento sociale con le istituzioni che dovremmo iniziare a  non sottovalutare perché sotteso alla sicurezza nazionale. (fr)

[Francesco Rao è sociologo e presidente della sezione Calabria dell’Associazione nazionale sociologi]

Le lezioni che ci lascia la pandemia: un memorandum per il futuro della Calabria

di FRANCO CACCIA – È già passato un anno dall’inizio dell’emergenza Covid che, con le immagini e il linguaggio di guerra, ha stravolto le nostre vite, azzerato certezze ed abitudini consolidate, cancellato posti di lavoro. Un evento di tale portata è destinato ad avere pesanti conseguenze nelle fasi successive. L’agognata ripresa genera aspettative e pensieri diversi. Ritroveremo la cosiddetta normalità o dobbiamo convincerci che quanto avvenuto in quest’anno abbia tracciato un netto confine e che niente sarà più come prima?  La risposta a queste domande non è univoca e sono diversi gli insegnamenti che, come singole persone e come comunità, dobbiamo riuscire ad apprendere. Nel corso di una celebrazione liturgica del maggio scorso, papa Francesco ebbe a dire che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Proviamo quindi a riflettere su alcuni temi, generati dai vissuti di questi mesi, da cui trarre spunti e suggerimenti su cui costruire la fase della ripresa.

1a lezione: la centralità delle competenze organizzative 

Il buon funzionamento delle organizzazioni non avviene per caso o in maniera automatica. Specie in situazioni particolarmente complesse, come nel caso della gestione di una pandemia, sono richieste competenze ed attitudini ben definite. In Calabria le note debolezze strutturali dei servizi pubblici hanno ingigantito le difficoltà incontrate per affrontare un fenomeno di certo sconosciuto, ma in cui si sono registrati forti ritardi, ingenti sprechi e messaggi discordanti che hanno creato non poca confusione tra le famiglie calabresi.  Le linee di comando erano comunque   schierate ma il loro funzionamento ha mostrato forti limiti. La ragion d’essere di una struttura organizzativa risiede nella sua capacità di garantire il raggiungimento dei risultati attesi. In assenza dei risultati tutti i castelli costruiti sono destinati, prima o poi, a crollare. Cosa possiamo imparare: Quale nuovi criteri e quali competenze è opportuno utilizzare per riuscire a gestire in maniera efficace l’evolversi della pandemia in Calabria?

2a lezione: il ruolo della comunità

Il corona-virus è apparso, per buona parte di questo drammatico anno, come un mostro a 5 teste, praticamente inattaccabile. In attesa dell’arrivo delle munizioni (il vaccino) l’unica arma a nostra disposizione è stata rappresentata dal comportamento responsabile. Abbiamo pertanto toccato con mano il reale significato di salute come “bene comune”. Una condizione questa che si conquista e si mantiene grazie alle scelte dei singoli ma anche dei gruppi che abitano all’interno dei singoli contesti. Non è stato facile, né poteva essere dato per scontato, ma, specie nella prima fase, in cui autorevoli scienziati indicavano come unica medicina l’uso della mascherina ed il distanziamento sociale, il comportamento messo in campo dagli italiani e dai calabresi, nella stragrande maggioranza dei casi, è stato esemplare. Cosa possiamo imparare. 

Come potenziare il senso di responsabilità civica dei cittadini all’interno di una rinnovata strategia di contrasto alla pandemia?

3a lezione: nessuno si salva da solo

Di fronte al rischio di contagio, ancora oggi, tutti siamo vulnerabili ed esposti al pericolo. Abbiamo pertanto sperimentato la fragilità delle nostre vite e dei nostri cari ed abbiamo visto quanto sia rassicurante il ruolo protettivo della sanità pubblica, a partire dai medici di famiglia, delle istituzioni pubbliche, del vicinato, delle organizzazioni di volontariato. In molti comuni della Calabria i cittadini si sono concretamente attivati per far fronte alle emergenze e dare una mano a chi si è trovato in difficoltà.   

Cosa possiamo imparare. Quali politiche pubbliche possono rafforzare la partecipazione attiva e responsabile del cittadino e renderlo protagonista attivo della promozione della salute come bene comune? Quali comportamenti e strumenti possono adottare le istituzioni pubbliche direttamente coinvolte sul tema della salute: aziende sanitarie, comuni, associazioni, scuole del territorio?

4a lezione: gestire le diseguaglianze digitali

Con gli obblighi scattati fin da subito, molte attività di studio e di lavoro si sono dovute svolgere direttamente da casa. E’ stato così che abbiamo scoperto che può esistere un nuovo modo di lavorare, indicato con il termine smart-working (lavoro agile), così come abbiamo sperimentato, pur con tanti limiti e difficoltà, la DAD (didattica a distanza) con cui i nostri ragazzi hanno potuto seguire le lezioni didattiche utilizzando il computer.  Pur con tutte le difficoltà e le evidenti differenze tra famiglie e territori, l’uso delle nuove tecnologie sarà sempre più esteso in futuro così da ipotizzare un’ampia gamma di attività, lavorative, formative, di intrattenimento, di tutela della salute, verrà assicurata proprio attraverso la rete. Cosa possiamo imparare. Come intervenire per diffondere fra la popolazione, specie quella in difficoltà socio-economiche, strumenti e conoscenze necessarie per l’uso delle nuove tecnologie? Quale ruolo di supporto e di promozione possono svolgere i comuni? 

5a lezione: Lo sviluppo socio-economico passa dalla salute 

Il mondo intero si è fermato a causa del corona-virus. Il numero dei morti è quello che si è soliti annotare alla fine di lunghe guerre. Dall’inizio della pandemia, a livello mondiale, si registrano ben 2 milioni e 700 mila deceduti. In Italia i morti superano i 104 mila ed in Calabria i decessi sono già arrivati a 764 (report regione Calabria del 19 marzo 2021).  I numeri sono ancora più drammatici per quanto riguarda la chiusura di aziende e la perdita di posti di lavoro. Questi scenari sono sufficienti per comprendere il valore, etico-sociale-economico, della SALUTE quale bene essenziale per la costruzione del benessere delle singole persone, dei territori, dell’intera umanità.  Quanto avvenuto deve portare a guardare al settore della salute, inteso nella moderna accezione di servizi fra loro integrati, non già come un settore che genera spese, magari da tagliare. La salute è un bene indispensabile che incide profondamente sul benessere delle popolazioni e sulla vita stessa dei sistemi economici. Cosa possiamo imparare. La Calabria saprà sfruttare questa fase di ri-costruzione dei sistemi di cura per elevare la qualità dei servizi e per ritagliarsi il ruolo di regione leader per l’innovazione dei servizi di prossimità, in particolare per la non autosufficienza e le persone fragili?  

6a lezione: Ripartire dalla salute 

Questi lunghi ed angoscianti mesi hanno fatto emergere, anche in Calabria, la presenza di risorse spesso sconosciute e tanto meno utilizzate.   Sono stati i calabresi che si sono adoperati, con dedizione e passione, a dare sostegno ai territori, ad organizzate reti di solidarietà e di aiuto. In un’epoca in cui gli interessi individuali hanno spesso avuto la meglio su azioni e progetti volti al perseguimento del bene comune e dell’interesse collettivo, la salute può rappresentare il tema su cui annodare i fili dell’identità locale e costruire la collaborazione tra quanti abitano il territorio. Servono però spazi di incontro e competenze, soprattutto di tipo sociologico, con cui portare avanti processi di crescita del welfare di comunità. La salute, lo diciamo nei convegni e lo scriviamo nelle pubblicazioni, ha soprattutto bisogno di servizi nei territori che aiutino le famiglie ad assumere stili di vita corretti, mettere in campo campagne di sensibilizzazione e di condivisione di conoscenze rispetto ai temi concreti quali l’abbandono scolastico, vecchie e nuove forme di dipendenza, la ludopatia, la solitudine degli anziani. Il territorio, come ha dimostrato questa pandemia, non è solo il luogo in cui si registrano bisogni ma anche lo spazio in cui sono disponibili o attivabili risorse preziose rappresentate dalla disponibilità e dalla competenza dei cittadini, dall’impegno delle associazioni di volontariato e dalla voglia di futuro delle nuove generazioni.  Tutto ciò è possibile se ci si apre ad un nuovo pensiero con cui progettare l’organizzazione dei servizi per la salute dei calabresi. Cosa possiamo imparare                          

I tempi sono maturi  perché le istituzioni, a partire dall’ente regione Calabria, facciano il possibile per non sprecare questa opportunità? (fca)