di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Se su base costituzionale, il paese viene sancito come una Repubblica democratica fondata sul lavoro, in realtà l’Italia non è che una Repubblica dispotica fondata sul “cugno“.
Una genialata la cui invenzione pare abbia carattere addirittura anacronistico. E che fa irruenza nell’articolo uno della Costituzione, parafrasando ogni forma democratica di meritocrazia. Il 2 giugno l’almanacco dei giorni, da diversi anni ormai, porta rosso. Il calendario recita festivo. Lo stesso giorno del 1946, gli italiani vennero chiamati alle urne per un referendum istituzionale con il quale v’era da decidere la forma di stato da dare al paese: monarchia o repubblica.
Da allora, che Repubblica fu, ogni anno, nel giorno che ne ricorda la nascita, una corona d’alloro viene deposta all’Altare della Patria, dal Presidente della Repubblica, in onore al Milite Ignoto. Ma che è costui? Un Milite e pure ignoto!
Il suo nome e il suo volto nessuno li sa. Ma quel che conta, e che gli attribuisce ogni titolo e ogni riconoscenza, sono i suoi meriti. Il sacrificio, il coraggio, la determinazione. Atti che scrivono al Milite il suo più brillante curriculum vitae. Le vere rimostranze di cui l’Italia tiene conto, facendogli omaggio. Il Milite ha fatto, si dice, e va omaggiato; il Milite, merita, e va premiato.
Il Milite non aveva cugni, e forse per questo è deceduto. L’Italia al di là del 2 giugno, istituito in onore della Patria, in cui si scappella alla bandiera, colorandosi dei tre bei suoi colori il cielo, il 3 già ripone il drappo e pure il merito. E da fondata sul lavoro, avanza come la nuova Repubblica del cugno.
Chi porta un cugno in dote, passa, chi no, agogna. E si fa Milite, ma senza corona di alloro, e senza un due giugno da celebrare. Ma veniamo al cugno, alla parola e al suo significato.
Il cugno non è che un rialzo di legno utilizzato a sostegno di qualcosa. Per fermare una porta, rialzare un mobile. Ma il significato è soggetto di immediate variabili. Il cugno, in dialetto, equivale al santo in paradiso in italiano. Che si fa immediato consiglio ‘amichevole’ dato con tono di sorta.
E se in falegnameria ferma le porte, in Italia le apre. E si fa merito, laurea, master, intelligenza, carta che canta ‘ncannolu. Pure per ciucci e per scecchi.
In Calabria poi, la celebrazione del cugno, è un fatto decisamente serio.
“Si mi ncugni ti votu, si non mi ncugni no”.
E parte uno scambio assiduo di visite, appuntamenti e baratti vari, affinché il cugno vada a buon fine. Eserciti la sua potenza, e si trasformi nell’incarico sospirato o nel tanto ambito posto di lavoro. La politica del cugno, tanto è diffusa, e soprattutto praticata, che anche i poeti, seppur con sarcasmo, rimandano al concetto nelle proprie opere.
Ecco cosa scriveva nella sua celebre lirica dialettale ‘La Suppressata”, il maestro Francesco Mazzè, di San Nicola da Crissa:
Lu zziu ‘Ntone avìa na figghia,
all’esami la mandau:
succedìu nu parapigghia,
propio nente cumbinau.
Ma la figghja u fu approvata
rigalau na suppressata!
Pemmu ottegnu nu progettu,
mi dannai, no sacciu quantu!
Setti ott’anni eppi m’aspetto;
alla fini eru già stancu.
Ma la carta u fu firmata
‘nci portai na soppressata!
Una pratica abusiva, che per certo rompe la grammatica del sistema, ma con ancor più certezza, rischia di ‘scugnare’ definitivamente l’Italia della Repubblica, indebolendole la struttura.
La Repubblica del cugno, non arretra, anzi, perentoriamente avanza. Sgomita! E nella logica del favore, occupa posti di rilievo nella cosa pubblica, e si insedia tra i banchi della classe dirigente, accovacciandosi nelle università, nei templi massonici della politica, nell’eremo pubblico della sanità, occupando le migliori poltrone istituzionali. Con il figlio dell’amico, ca eni beju assai, l’amico del parente chi esti troppu educatu. E poi l’amicu dell’amicu ca eni unu chi merita, e il parente del mio compare, ca a unu comu a diju ‘nci attocca. Popolando così anche la Repubblica del 2 giugno, la sola fondata sul lavoro, di un esercito di ‘ncugnati che, grazie ai santi in paradiso, si aggiudicano il posto, con ‘nduja e salame, pecorino e vino, e al prezzo della sfioritura completa dell’Italia. Dove il cugno è preciso alla raccomandazione.
Cara Repubblica Italiana, che ti fondammo sul lavoro e non sull’assistenza, né sul cugno, né sui favori, in questo due giugno, questa volta, o ti ribelli, o muori. E il cazzo è che se muori, noi moriamo con te. Senza altare, né Patria. Con un Milite che non potrà mai più risorgere.
Buona Festa della Repubblica italiana, fondata sul lavoro! (gsc)