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L’OPINIONE / Franco Cimino: La questione Facoltà di Medicina è politica

di FRANCO CIMINO – Egregio sig Presidente, caro Roberto, “lo vedi come fa? Prendere e levare”.  Sono due espressioni tratte, la prima, da un vecchio modo di dire. Da una nota canzone di Francesco De Gregori, la seconda. Tradotte nella nostra lingua calabrese e adagiate sul nostro calabrese sentire, assumono un diverso significato.

La prima: “u vidi comu sta jendu?” La seconda: “pigghia cà e porta drà!” Quella Calabria, che pensavamo di aver in gran parte sepolto sotto le barricate e le macerie del luglio del 1980 e bruciata al fuoco di Reggio Calabria, la nostra bellissima Città sullo Stretto, agli albori della Regione istituzionalizzata, è tornata prepotentemente, se mai avesse ceduto in qualche modo e in qualche frangente il suo incalzante passo. Qui si litiga tra noi. Dappertutto.

Nei bar e nelle vie per le squadre di calcio calabresi, ciascuna tifoseria tifando non per la vittoria o promozione della propria squadra, ma per la sconfitta o la retrocessione delle altre, chiamate eufemisticamente consorelle. Eppure, ci sarebbe spazio per tutte le vittorie e promozioni. Un esempio? Eccolo, bell’e pronte. In serie B, competono la Reggina e il Cosenza. Le promozioni sono tre. Invece… In serie C, lottano insieme il Catanzaro e il Crotone. Potrebbero essere promosse ambedue. Invece… E nell’altra serie, la D dei semidilettanti, competono la Vibonese e il Lamezia e il Rende.

Anche qui, lo stesso discorso. Solo la nostra squadra viva! A morte tutte le altre. Come se dalla rovina di tante possa automaticamente nascere la gloria di una sola. E i comuni? Tutti separati, divisi e distanti, oggi vieppiù belligeranti, tra loro. E il territorio unico dei cento pezzi di territorio? Spezzato in più parti, sfarinato e rovinoso alle prime più intense piogge. E con le singole parti rotte, separate e distanti dalle altre, incomunicabili tra loro. Quasi che un invisibile filo spinato o un’altissima montagna, non li facesse neppure incontrare. Muti, non si parlano. E quando singolarmente piangono, gli altri pezzi non devono sentire. Diciamocelo francamente, almeno una volta, questa: nessuno si dispera o si commuove quando disastri ambientali colpiscono e rovinano questo o quel territorio. Non è il nostro, quello stretto e particolare, e quindi solita musica della solita indifferenza. Le lotte di campanile si sono intensificate.

Quei comuni, oggi irrobustiti di competenze e risorse, anche quelle necessarie e giuste per l’adeguamento delle indennità degli amministratori, che si sperava ricostruissero quel tessuto democratico indispensabile per una terra che voglia diventare ricca e forte con le istituzioni a baluardo di ogni attacco all’etica dei comportamenti individuali e alla dignità della Politica, sono diventati castelli di cartapesta chiusi, in cui sempre più prevale il proprio piccolo interesse e l’ostilità verso gli altri castelli simili. Di questi tempi la battaglia non è più soltanto quella di prendere una cosa in più di altri comuni, ma di “levare”, prendere cioè ad altri ciò che ad altri appartiene.

Lo scopo è molteplice. Prendere una cosa per sé sottraendola a quel dato comune, farebbe non solo più ricco il sottraente(per non usare un altro termine forse più appropriato), ma più debole il nostro avversario. Cosa c’è di più stupido in questa logica antisolidaristica, è difficile dire, se non ai più stupidi tra gli stupidi. Qui, da noi, questa logica sta divenendo dominante. Si prenda l’ormai nota questione della Facoltà di Medicina, che, sotto mentite spoglie, è sempre stata nella logica di una certa cultura accademica che venisse in tempi brevi istituita anche a Cosenza. Sono state fatte molte parole in queste settimane in cui la politica calabrese dei campanili, si è accorto del problema. E il rumore nelle strade, trovando incrociate due opposte unità territoriali, quella di Catanzaro e quella di Cosenza, vorrebbe che la questione si spostasse nelle piazze, così che tutti i protagonisti politici potessero apparire in regola rispetto al proprio elettorato o alla propria cittadinanza.

La mia personale, preoccupata, opinione, è che l’intenzione comune sia quella di distrarre le popolazioni da altri più gravi e urgenti problemi, di cui una classe politica, tra il vecchio e il nuovo, porta una gran parte di responsabilità unitamente alla scarsa capacità di risolverli. La Politica, e l’intera classe dirigente catanzarese e regionale, per decenni non si è occupata della sua Università, abbandonandola al desiderato, comodo e conveniente isolamento dell’Ateneo. Un Ateneo che, ancor più convenientemente, ha operato per “ i fattacci” propri, senza manifestare interesse al più sano rapporto tra Università e Città.

Lo ripeterò fino alla noia: Catanzaro, tra l’altro capoluogo di regione, è l’unica città al mondo che si è progressivamente indebolita nonostante abbia il mare e l’Università. Tutte le altre, possedendo anche soltanto una di queste risorse sono diventate ricche e potenti. Lungo questa strada, tra le decisioni assunte già, l’autonomia propria delle Università e la robusta forza politica che accompagna la decisa volontà di istituire la Facoltà di Medicina a Cosenza, nella quale si sospetta vi sia quella “ irresistibile” del presidente della Regione, altro spazio non vi sarebbe se non quello dello scontro di campanili. Uno scontro e potrebbe ricordare quello con Reggio di cinquant’anni fa. No, no, certo che non lo auspico e non lo immagino neppure lontanamente simile a quello. Ma il solo fatto di ripristinare rancori feroci sul vecchio adagio “ n’arrobbaru puru Medicina”, non farà bene alle due Città.

Farà più male, alla lunga, anche a Cosenza se essa pensa davvero di crescere da sola, senza e contro le altre Città. Farà malissimo a Reggio e a Cosenza, come a Vibo e a Crotone, a Lamezia e alle altre realtà urbane più grandi, se ritenessero di poter fare per sé stesse con una Catanzaro umiliata e indebolita. Farà drammaticamente male all’intera Calabria, se tutte queste realtà urbane insieme a chi guida e governa la nostra terra, pensassero a una crescita complessiva del nostro territorio senza un capoluogo forte e prestigioso. Come vedi signor Presidente e amico di un tempo di belle comune battaglie ideali, il problema della duplicazione della Facoltà di Medicina è un fatto squisitamente politico. Un problema tanto grande e politicamente impegnativo da richiamare l’intervento diretto del presidente della Regione, l’unica autorità, che, anche per il prestigio personale acquisito, potrà convincere tutti, sulla linea da te più volte indicata, che Le Università devono, nella loro forma organizzativa più razionale e moderna, essere protagoniste importanti per la costruzione di quella Calabria, che, come diceva uno slogan molto efficace della tua campagna elettorale, davvero “non t’aspetti”.

Ma prima che essere rivolto al resto dell’Italia e del mondo, questo messaggio deve essere rivolto a noi, i calabresi tutti. Dentro e fuori la Calabria. Stupiamoci noi per la prima volta. E per la prima volta stringiamoci la mano. Anzi, prendiamoci per mano e andiamo a lottare per il bene dei singoli territori e di tutta la nostra regione. Facciamolo con l’attuazione del Pnrr, innanzitutto. Ma intanto, cominciamo dalle nostre Università. Lavoriamo tutti, con in testa il governo e il Consiglio regionali, per rafforzare e potenziare l’esistente. Per fare di Cosenza- Arcavacata, di Reggio e di Catanzaro, i tre poli del sapere, specialmente scientifico, più importanti del Sud del Paese e dell’Europa. Il polo di ingegneria, alta tecnologia applicata al territorio, a Cosenza, quello di architettura e della cura dei beni culturali, a Reggio.

E quello di Medicina, e delle altre scienze ad essa applicate, a Catanzaro. E così per le altre facoltà già presenti ed per le altre totalmente nuove che dovessimo conquistare. Egregio Presidente, caro Roberto, ti impegnerai in questa direzione? Sì, che ti impegnerai. E vincerai. Con te vinceranno tutti, Cosenza, Catanzaro, le altre città. Vinceranno le Università dell’unica grande Università che è la Calabria. (fc)