di CATERINA RESTUCCIA – «Quando sentiremo fortemente la sua mancanza fisica, guardiamo le sue opere e lo sentiremo vicino, perché le opere d’arte parlano, parlano della sua grande spiritualità», aveva concluso con queste parole la sua omelia Padre Luigi Ragione per le esequie dell’artista e Maestro rosarnese Adriano Fida.
E nulla è casuale nella vita di chi sa lasciare il proprio segno, il sema marcato e la traccia perfetta di sé stessi in un mondo confuso e distratto quale oggi appare.
Padre Luigi non è stato un sacerdote qualunque, che ha celebrato occasionalmente l’estremo saluto ad Adriano, egli era la sua guida, una guida spirituale e religiosa che da sempre, nonostante le distanze lo avessero allontanato solo geograficamente dalla Calabria, lo aveva accompagnato in ogni passaggio e sosta della sua vita. Era stato il papà ad affidarlo a lui, un papà che nella fede ha costantemente cresciuto Adriano accanto ad una Chiesa non solo credente, ma anche e soprattutto buona, come buoni d’animo sono loro uomini di buona volontà.
Una nota espressione latina recita “Nomina sunt omina”, ossia “I nomi sono presagi” e, forse quanto mai altrove, in questo caso è più calzante che mai. E ciò che sgomenta è che lo è in duplice direzione.
Fida e fede sono parole che hanno la stessa radice etimologica e semantica “fides”, ed è proprio la fede (fides) che, anche a dire dalle stesse espressioni di Padre Luigi Ragione, ha plasmato Adriano Fida come artista di un mondo spirituale intenso, corposo, fino a mostrarsi “teso”. La sua tensione era tensione verso l’alto, verso Dio, verso l’Oltre. Ed in quest’Oltre che si incrocia l’altra interpretazione del presagio dello stesso nome e dell’artista, come vuole evidenziare un testo di saluto e di critica del grande personaggio Vittorio Sgarbi.
Adriano è scomparso solo poco più di un mese fa, andato via in silenzio, con quel silenzio che lo contraddistingueva da tutti, un silenzio che diventava “fabula” e narrazione nei suoi colori, nelle sue linee, in quelle figure di un Oltre, di una fantasia magica e surreale.
Sono davvero molte le corde che potrebbero intonare a lui un canto di celebrazione e di elevazione, non mancano i grandi critici come già lo stesso Sgarbi, poc’anzi citato, che a lui attribuisce l’aggettivo “onirico”, poiché onirica è tutta la sua ispirazione, una vera combustione di fantasia e di protesa immaginazione, che, talvolta, addirittura sconcerta.
Tuttavia, il vero Adriano non è soltanto l’artista, è, piuttosto, il giovane uomo riservato, “solitario ed eccentrico” come lo ha incorniciato Sgarbi nella sua mostra a Sutri, esposto sino al 20 novembre tra altri grandi artisti da Usellini a Tornabuoni, da Vaccari a Maffesanti e tanti ancora.
Egli, cresciuto in un piccolo centro della provincia di Reggio Calabria, Rosarno, e che si era inizialmente formato in giovanissima età presso l’Istituto d’Arte in Palmi, completato un iter artistico all’Accademia delle Belle Arti reggina, si era portato nella capitale, Roma, in quella città divenuta per lui meta di fuga e rifugio, loco di scoperta e rinnovo di sé stesso.
Il suo melodioso racconto d’arte rielaborava, inoltre, quelle tecniche e quelle tematiche visioni, anche misteriose, sulla linea del pittore torinese Silvano Gilardi, in arte Abacuc. Dagli incontri culturali nei suoi viaggi di crescita, per il suo vissuto prima, segnato da una perdita importante, quella della sua giovanissima madre, e per le sue intuizioni artistiche visionarie e misteriose dopo, nascevano le sue maestose opere.
Sogno, allucinazione, spiritualità, esaltazione della natura e del divino si rintracciano nel suo “Padre Pio Stigmatizzato”, ne “La madre degli angeli”, ne “L’occhio dell’Angelo” e in infiniti altri dipinti che, tra esplosioni e squarci di tele, teschi e allusioni di una fantasia fervida e inarrestabile, ci dicono ancora di lui per sempre immortale.
Per poterne disegnare a tutto tondo l’immagine, è il giovane e legatissimo fratello, Pasquale Fida, a risponderci, perché ad un filo di vita reciso troppo presto non facile dare risposte ai molti quesiti.
Subito per questo gli chiediamo
Qual è stato il motivo principale per cui Adriano ha scelto Roma a città adottiva?
«Adriano si trasferì a Roma nel 2010, dopo aver conosciuto Ilenia (sua ex compagna) nel 2009, lei viveva già lì da diversi anni. La scelta fu dettata non solo dal legame amoroso ma dalla necessità di vivere da vicino il fermento artistico romano che lo avrebbe portato ad entrare in contatto con le personalità artistiche contemporanee e con galleristi e curatori di arte con cui già collaborava da tempo a distanza. Entrò infatti a far parte di un circuito di artisti raffinati e onirici, quale era lui, come Roberto Ferri, Alessandro Sicioldr, con cui strinse tra l’altro una sincera amicizia».
Qual era il suo più grande sogno o/e progetto?
«Adriano aveva tanti progetti, mi piace però ricordare l’ultimo di cui mi parlò fino a qualche giorno prima di venire a mancare. Avrebbe voluto realizzare una grande pala d’altare per il Santuario di Natuzza a Paravati, avrebbe dovuto raffigurare l’incontro tra Natuzza e una persona a lei molto vicina, Luciano Regolo, che negli ultimi anni aveva stretto una forte amicizia con Adriano, tanto da essere stata l’ultima persona a voler sentire per telefono proprio chiedendogli di venire presto a trovarlo perché avrebbe dovuto parlargli del suo progetto».
Ogni qual volta si presentasse occasione sentiva il bisogno di scendere a Rosarno oppure aveva mantenuto un legame semplicemente di necessità fisiologica perché c’erano i suoi familiari e i suoi amici più cari?
«Ambo le cose. Tornava a Rosarno sia per stare con i suoi familiari e i suoi amici, sia perché era molto legato alla Calabria. Gli piaceva il contatto con la natura che qui ritrovava ogni volta e a Roma non sentiva. Uno degli ultimi regali che si fece, per il suo 44° compleanno, fu un binocolo perché mi diceva che, appena si sarebbe ripreso, avrebbe voluto improntare la sua vita immerso nella natura e a stretto con contatto con essa. Ed ora è così che mi piace immaginarlo, parte della Natura che mi circonda. Lo ritrovo in bel tramonto, nel volo di una farfalla, in un cielo pittoresco».
Quali erano le opere di cui parlava di più?
«Una delle opere a cui era più legato è sicuramente la tela “Padre Pio stigmatizzato” realizzata nel 2020 e donata al Santuario di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, dove è attualmente conservata, che fu accolta con un’ intensa cerimonia da parte dei Frati Cappuccini. La tela aveva segnato un momento particolare della sua vita, quello in cui la malattia si era arrestata tanto da farci sperare che ormai sarebbe stato solo un brutto ricordo».
Aveva intenzione di rientrare per sempre a Rosarno?
Si, aveva deciso che sarebbe ritornato a vivere in Calabria, ma per la Calabria e per tutto ciò che questa terra offre di bello mi riferisco sempre alla bellezza della Natura. Rosarno lo aveva deluso molto negli anni, non era riuscita a comprenderlo e lì non aveva trovato l’appoggio da parte delle istituzioni per realizzare i suoi progetti, come per esempio una scuola di pittura. Merita molto di più dal suo paese spero che ora che non c’è più gli sia almeno riconosciuta la sua grandezza di artista».
Era molto silenzioso lui, ma con te si raccontava?
«Adriano non era una persona particolarmente silenziosa e introversa, anche se amava condividere le sue idee e i suoi progetti solo con le persone alle quali si sentiva legato per affinità e che lo avrebbero compreso. Raccontava tutto attraverso le sue opere e poi scriveva molto, lui stesso scrive: “Ogni mio dipinto ha preso ispirazione da spicchi di vita vissuti. Sentimenti come l’amore, la delusione, nati dall’ascolto di un brano musicale o dall’esperienza di un viaggio. L’arte ti dà la possibilità di esorcizzare ogni emozione incubata, la difficoltà sta nel non cadere in un costante auto celebrarsi e di non dipingere egoisticamente o per semplice sfogo, credo che così facendo si possa essere coinvolti in un immaginario chiuso della propria esistenza. Personalmente sto cercando il giusto compromesso nella ricerca di una forma capace di comunicare il più possibile con l’osservatore, anche stravolgendo l’estetica ma senza snaturare la mia poetica. Forse questa è lezione più significativa che sto apprendendo, perché se si riesce a comunicare le proprie emozioni di conseguenza dipingere diventa una grande responsabilità nei confronti di chi interiorizza il proprio messaggio».
Questa dote artistica era stata stimolata da una figura familiare o amichevole o era una qualità innata in lui e non legata a nessun altro legame sociale?
«La sua dote era innata, come spesso accade per i grandi artisti, e la sua cara mamma Rosaria lo aveva assecondato, capendone le qualità fin da piccolo. Mi raccontava spesso dei disegni che realizzava già dalle scuole elementari, affatto inusuali per un bambino di quell’età. I soggetti erano semplici come cavalli, fiori in particolare, ricordo un iris che realizzò su uno strofinaccio da cucina, così dettagliato nella tecnica esecutiva che faceva già presagire quello che sarebbe stato. A chi gli domandava come avrebbe visto la crescita del suo processo creativo rispondeva: “Credo che la crescita sia la conseguenza nel tempo di un lavoro svolto con costanza e ambizione. Personalmente ho un obiettivo che è quello di donare purezza intellettuale ed emotiva e lo farò anche se un giorno dovessi avere la necessità di sintesi che possa portarmi a dipingere il mondo con un solo punto”».
Da Rosarno era partito con uno straordinario carico di valori umani, tramandati dalla sua famiglia e dall’ambiente parrocchiale a cui aveva persino donato ai primi anni del suo itinerario artistico due splendide tele “Crocifissione” e “Sacro Cuore di Maria”, solo qualche giorno prima di lasciare la confusa terra per il candido Cielo condivideva sulla sua pagina Facebook un post ricordo di quelle opere rimaste alla fede rosarnese e non solo.
Grazie, Adriano Fida, per la tua lezione di vita buona e di arte unica e inconfondibile.
Il mio ultimo incontro con il grande Maestro Adrano era avvenuto il 4 agosto scorso. Adriano sempre presente all’evento in ricordo della nostra cara amica Nunzia Staltari, scomparsa nel 2020. Ogni anno davamo testimonianza alla nostra cara pittrice con i nostri ricordi di lei, ed era stata proprio Nunzia a spingere e stimolare sin dai primi passi Adriano un campo artistico.
Ci eravamo dati appuntamento per coordinarci e coinvolgere lui e le sue opere e altri amici per un altro evento della Staltari. Improvvisamente è calato, però, il sipario. (cr)