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Al cimitero in bicicletta tra i ricordi di chi non c’è più

di GREGORIO CORIGLIANO – Davvero si stava meglio quando si stava peggio? Non ho certezze, forse. E provo a fare una verifica che definire terra terra è poco. Intanto penso che significhi una cosa soltanto: erano più favorevoli situazioni molto peggiori di quelle di oggi, delle quali ci lamentavamo, eccome. Mi scatta la voglia di fare un giro in bicicletta. Me lo ha ordinato il medico, ma siccome non si può leggere in bici, che fai? Guardi a destra e a manca sulla strada provinciale che da San Ferdinando e, più in generale dalla piana di Gioia Tauro, porta a Nicotera.

Pedala che ti pedala avrei voluto raggiungere il fiume Mesima, ma la mancanza di allenamento, mi ha costretto a cambiare idea, e cosi vado al cimitero per la commemorazione dei defunti.Intanto guardo. Rispetto al passato c’è un bancomat che prima non si sapeva neanche cosa fosse. Mi son detto, hai visto che progresso! Guardo meglio e mi rendo conto che prima, nello stesso posto, c’era un banca, cooperativa, ma sempre istituto di credito. Una banca? Si. Adesso non c’è più perché non corrispondeva ai soci alcun guadagno. Forse perdite, dice qualcuno. Ed allora il consiglio di amministrazione ha deciso di chiuderla.

Già, poco prima aveva chiuso un’altra banca, più grande rispetto a quest’ultima. Non rispondeva alle logiche dell’istituto che ne ha chiuso, da banca interregionale, decine di altre. Ticchiti, fuori una, anzi due. Cammina che ti cammina, anzi pedala che ti pedala, mi vengono in mente le sedi di alcuni commercianti di agrumi. Tutti del luogo dell’anima. Prima porta: sprangata. Seconda porta: cadente. Terza porta: sigillata. Un tempo nell’ordine c’era Pino e Melo e prima ancora Pasquale: avevano la macchina per la pulitura delle arance che i titolari compravano nel paese e vendevano nei mercati del centro Nord, o da Battistini a Firenze.

I proprietari se non erano contenti, nemmeno erano scontenti, vista la perenne crisi agrumicola che, dal 1980 in poi, riguardava e riguarda il comparto. Prima ancora, c’era maggiore soddisfazione per gli agricoltori, ma anche per i commercianti che di mattina giravano per le campagne per visionare la roba e per stimarla e decider di fare le proposte d’acquisto ai proprietari. Più avanti c’era Concetto ed i suoi fratelli: sempre vivo e pronto a scappare di qua e di là, ma con occhio attento alle clementine, al tarocco ed al sanguinello. Un destino crudele lo ha fatto fuori! Più avanti ancora Bagnato chacarel, sempre presente, ma sempre stanco. Anche lui, con figli e nipoti, stesso mestiere. E adesso? Tutto chiuso, non vola una mosca, quando prima era un vociare continuo ed un traffico veicolare non usuale. E più avanti? La macchina olearia dei trumbi Rombolà, alla quale facevano ricorso tutti i non pochi produttori di olive per la provvista di casa se non per la vendita dello stesso prodotto. C’è un portoncino malandato e tutto è sbarrato. Tant’è!

Raggiungo il Cimitero. Mi fermo per un doveroso requiem ai defunti, parenti e amici, non pochi. Torno indietro, sconsolato. Possibile, mi dico che sia tutto finito? Che non ci sia più commercio dei frutti della terra, per la quale si erano fatti sacrifici inauditi? Così è. Arrivo alla curva che porta in paese. E l’officina dei fratelli Spinelli, alla quale si rivolgevano braccianti e proprietari coi loro trattori L5? C’è un supermercato ed il consorzio agrario di Don Gino? Trovavi tutto quanto serviva per la coltivazione della terra, concimi ed anticrittogamici che Mantella portava a spalla e mio cugino Cillo fatturava. Manco il bar del Tacchino, per il tressette o la passatella di lavoratori e non! Chiuso. In compenso ci sono i cinesi ed una parafarmacia. Afflitto da porte chiuse e da abbandoni vado avanti. Manco la “rosa dei venti”!Il bar dell’Enal, punto di ritrovo degli stranieri ed una volta “centralino telefonico”, secondo a quello di Chicchina del telefono. Facevi la fila per fare o ricevere una telefonata. Al muro segnati a penna i numeri di uso frequente: medici, ospedale, albergo (c’era scritto “sfogo”, per poter trovare, a richiesta, “compagnia”). Pedala che ti pedala, mi fermo: un portone in alluminio anodizzato, sbircio. Un salone vuoto. Era la sede dell’Agenzia della Cassa di risparmio, anch’essa chiusa. Gesù, Gesù.

Al posto del negozio di tessuti gestito prima da Preiti (prihchiti) e poi da Pascalino ‘u lupo, un abbandonato bar di infimo ordine, chiuso, stavolta per fortuna. Dell’agenzia di viaggi di Pino Di Tommaso, sostituita da una pescheria è rimasto un rudere.Ed il botteghino del “durceri”, dove trovavi tutto l’occorrente per spedire un cesto di arance ad amici e parenti, con targhetta, spago, piombo? Porta sbarrata. Ed il bar del ‘Regno? E’ diventato la casa del figlio, mentre, girato l’angolo, la puticha di generi alimentari della moglie, un ritrovo di gioco a poker di pochi intimi, Nandu e Cicciu. C’è invece il negozio di scarpe di Belfiore? Ma quando mai? Anch’esso chiuso. Trovavi anche bottoni e filo a spagnolette! E la parruccheria di Fernanda? Chiusa da tempo immemorabile. La figlia di Nando Ingegnere, bravissima, trasferita a Cosenza, maritata Campisi, è salita in Cielo. Di fronte c’era il palazzo del prete, adibito a sede Cisl, al piano di sotto, e della Dc, con annesso stanzone per l’Azione Cattolica (con tavolo di ping pong e biliardino – ho trascorso la mia vita da giovane studente- al piano di sopra: oggi è un normale appartamento.

Ed il negozio di bombole di gas e lampadari di Celeste? Scomparso nel nulla. Il barbiere Placido, con pantaloni dieci centimetri più corti, che fungeva da sacrestano? Solo il ricordo. Anche della super profumeria di Calì padre, coadiuvato da moglie e figlie, si ricordano, chi più chi meno, gli olezzi francesi al bergamotto. Se giri l’angolo, non trovi la sartoria Aricò, la macelleria Stilo e vorresti assaggiare il gelato al bacio del Cavallo! Venivano anche dai paesi vicini per gustare le prelibatezze dolciarie di mastru Micu. In piazza c’è la falegnameria di Mastro Filippo, nipote di mio padre? Neanche l’ombra! il negozio della Gioitta? Solo l’odore del vino che vendeva sfuso. Ed il bar dei cento proprietari? Ultimo dei quali Micuccio Cicchedu (prima u Zella?) che teneva il gioco a carte per i giovani studenti universitari, ma anche la bazzica? Il pensiero, solamente, di noi ex giovani che ricordano, come ho fatto io, Franchino Mariani, Frank Palla, Pepè Tavella, Lele Broso, Picicia, Mommino i Missina. Oh mio Dio!

E non puoi comprare la carne di Ciccio Stili, come lo chiamava Micu Canduni, perché ha lasciato questa terra, come Mastru Iapicu e Micu sette teste. Non c’è più il negozio di Radio, televisori, cucine e frigoriferi di Mercurio Fornaciari, il commerciante che portò, nel 1956, con l’ausilio di turinecci e del caciotto, il primo apparecchio televisivo in piazza, per la delizia di grandi e piccini.

E anche la casa dei Marchesi Nunziante, di grande pregio, ha fatto posto, non si è mai ben capito il motivo, al Municipio, diventato, Comune di San Ferdinando. Noto che il camion di Milio, per fortuna, non c’è più e, purtroppo neanche Carminu da calia, come è sparita la sartoria di Cicciu tricchili, che cuciva e tagliava anche chi capitava sotto il tiro infuocato del fratello Nando e del poliziotto-canazzo di guardia Calabrò. Torno a casa? Non mi so regolare, proseguo il mio tour. Il neo aperto Pane e parole è volato via assieme all’inventore Liberto, ma c’è Augusto con la figlia del maresciallo che tengono banco con frutta verdura e vino casaloro.

Non c’è più la ditta di legnami e similia Bonifacio-Liberto e naturalmente spariti, ovviamente, coloro che ferravano i cavalli. Ed i vigneti? Rasi al suolo, per far posto a case, case, ville e alla figlia di Tuttofare che, con Michele, soddisfa palati fini. Toh, anche una improvvisa pizzeria. Giro! Il vecchio super apprezzato cinema Garden, che ha preceduto centri più importanti della Piana e dove hanno proiettato un film con l’attore Pino Policriti, biondo, è stato fatto crollare. C’è, però, un affermato dentista ed uno studio legale, condotto dalla figlia di un mio amico che, a quei tempi, non c’erano.

Sono stanco, la bicicletta è dura da gestire ormai, torno a casa. Per nostra grande immensa fortuna, è rimasta la Chiesa Madre, punto di riferimento di cattolici e non solo. Dovrei girare ancora. Avrò sicuramente dimenticato altre presenze, colpa dell’essere diversamente giovane!

Sicuramente non troverei più i miei punti di riferimento giovanili: tra questi la storica edicola Attuario, il coiffeur Nandu Lanzo, mastro Michele del Totocalcio, il corpo dei vigli urbani. Si stava meglio allora perché risuona molto rimpianto e nostalgia dei tempi passati che, seppur non magnifici erano sicuramente migliori. Si era poveri davvero, ma c’era, sicuramente, il sapore della gioventù! Quella che non torna più. Ed allora nella ricorrenza dei morti non mi resta che tornare al Cimitero per una doverosa e sentita visita ai morti. (gc)