L'ANALISI DEL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA SU UN'EMERGENZA CHE LA POLITICA DOVREBBE RISOLVERE;
Scuola a tempo pieno

ANCHE NEL TEMPO PIENO C’È UN DIVARIO
NELLE SCUOLE DEL SUD È SOTTO IL 25%E

di PIETRO MASSIMO BUSETTAFa specie vedere le classifiche relative al tempo pieno nelle scuole pubbliche nel nostro Paese. Che l’Italia sia duale non lo scopro certamente io oggi, ma vedere come ogni volta, anche in quelli che sono i servizi che dipendono dallo Stato Centrale, vi siano grandi differenze tra le varie parti stupisce sempre. E qui non parliamo solo di servizi essenziali, perché bisogna  fare la differenza tra quelli  che riguardano il passato ed altri che riguardano il futuro. 

Mi spiego meglio quando parliamo di sanità il tema di cui si parla è quello della vita media dell’individuo, della sua qualità della vita, di diritti certamente fondamentali, ma che attengono alla vita dei cittadini e per una parte, quella relativa ai giovani, anche il futuro. Così come la mobilità nei territori riguarda il presente perché mette in discussione la qualità della vita, la possibilità di investimenti e di attrazione di essi dall’esterno dell’area. 

Ma il tempo pieno è qualcosa di più perché attiene all’investimento per il futuro. Quando la Sicilia ha un tempo pieno, che riguarda la metà degli istituti di quelli della Lombardia, si capisce come alle realtà meridionali si stia rubando il futuro. Si dice spesso che la responsabilità del mancato sviluppo del Mezzogiorno sia nella mancanza di classe dirigente. E che il Sud sia colpevole per l’incapacità di scegliere la sua classe politica. Per cui accade che una classe dominante estrattiva riesca a permanere ai vertici delle Istituzioni.  

Ma nelle analisi bisogna andare alla testa dell’acqua per evitare che quelli che sono gli effetti vengano scambiati con le cause.  E le cause della carenza di vera classe dirigente, sopratutto politica nel Mezzogiorno, quella che ha come obiettivo il bene comune e non quello dei propri clientes, deriva da una mancata consapevolezza dell’elettorato attivo, che é fortemente legata al ruolo della scuola pubblica. 

 Se ancora oggi assistiamo a classifiche in cui ancora Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna sono tutte vicine al 50% e Calabria, Abruzzo, Puglia, Campania, Sicilia e Molise tutte al di sotto del 25% delle classi a tempo pieno, allora tutto quello che da anni viene raccomandato è stato totalmente inutile e questo Paese in realtà non vuole risolvere il suo problema atavico e principale. 

L’Ufficio parlamentare di Bilancio si è concentrato sul «tempo pieno» e sulla disparità enorme che In Italia esiste. Lo aveva già rilevato la Svimez in uno studio intitolato «Un Paese, due scuole». Un bambino del Mezzogiorno frequenta in media quattro ore in meno alla settimana rispetto a un suo coetaneo del Nord. Significa che nell’arco del ciclo scolastico della primaria è come se studiasse un anno in meno. Senza pensare alla mancanza di asili nido che già nella prima infanzia incide sul percorso formativo iniziale.

Risolvere questo divario dovrebbe essere una priorità politica. Ma se si volesse garantire in tutte le Regioni d’Italia il tempo pieno a tutti i ragazzi, bisognerebbe trovare una somma di oltre 4 miliardi di euro annuali. Non mi pare siano somme particolarmente rilevanti, mentre mi pare sia proprio il problema da cui partire, insieme a quello della occupazione, anche femminile, che consenta di avere in famiglia una educatrice preparata e che conosce il mondo, oltre che quella lotta alla dispersione scolastica che non permetta  più che i bambini ed i ragazzi possano fare altro che giocare e studiare, mentre non sia consentito loro di lavorare.

E considerata la dispersione scolastica esistente nel Sud non vi è dubbio che tale fenomeno è ancora molto diffuso e poco combattuto. Come  volete che votino in modo consapevole coloro che arrivano all’età per essere elettori, coloro che ai quali manca qualunque educazione civica e conseguente capacità di scelta di coloro che dovranno amministrare la cosa pubblica?

E come non sia naturale quel distacco da qualunque impegno civico che sfocia poi in un astensionismo generalizzato, prodromico al sostegno a movimenti populisti, che illudano  le popolazioni che si possa uscire da problemi complessi con soluzioni semplificate?

Senza pensare che l’impostazione ancora vigente non sia stata modificata per tenere il Sud in una  posizione di colonia, più facile da conservare se invece che da una classe dirigente esso venga gestito da una classe dominante ascara, pronta a vendersi per pochi spiccioli al miglior offerente. 

A pensar male diceva qualcuno   si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. E molti elementi ritornano  nella gestione di questo Paese, come il ritardo del collegamento con la ferrovia del porto di Gioia Tauro, e  concorrono a far pensare che in realtà moltissime delle decisioni, compresa quella di aver fatto fermare l autostrada del sole a Napoli e l’alta velocità ferroviaria a Salerno, non siano proprio casuali, ma facciano parte di un progetto strategico che prevedeva un Nord produttivo ed un Sud asservito e ancillare. 

Che fornisse manodopera facile a cui attingere, territori nei quali localizzare gli impianti inquinanti, ora per diventare batteria del Nord, realtà da cui estrarre il più possibile, rendendola dipendente in termini sanitari, formativi, produttivi; mercato di consumo per le iniziative persino editoriali che avrebbero trovato lì una parte del mercato di cui avevano bisogno. Pronti a giocarsi la dimensione dei 60 milioni di abitanti sui tavoli internazionali, sui  quali alcune volte era necessario presentarsi con la forza dei numeri demografici per ottenere vantaggi diversi, dalla localizzazione dei grandi eventi a quella delle agenzie internazionali, sempre per caso poi da svolgere o localizzare nel Centro Nord. 

Cambiare passo sarebbe indispensabile ma il fatto che ancora oggi si assista a carenze così fondamentali ci fa essere molto dubbiosi sulla volontà di affrontare seriamente il divario che, prima che economico, é sociale e culturale.

 Il ricco bulimico Nord non vuole perdere quella dominanza  che viene assicurata dall’avere il monopolio di tutti i quotidiani nazionali, la vera gestione di tutte le televisioni private  e pubbliche, di tutti i grandi eventi e delle agenzie internazionali, di tutti i grandi centri di ricerca e delle Università di eccellenza.  Mentre bisognerebbe partire dal riequilibrio fondamentale se si volesse essere credibili rispetto ad una volontà di unificazione, che sembra essere molto dichiarata e poco perseguita. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]