L'INTERESSANTE RIFLESSIONE DEL PROF. PIETRO MASSIMO BUSETTA SUL RIPENSAMENTO DI DIVERSI PARLAMENTARI;
giuliano Amato, Franco Bassanini e Roberto Calderoli al tavolo del Comitato LEP

AUTONOMIA DIFFERENZIATA, C’È LA FUGA
DI CHI SI ERA (MAL)FIDATO DI CALDEROLI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Forse non bisognava nemmeno entrare nella commissione Calderoli. Andare in cordata con chi sai che ti può tagliare la fune che ti unisce agli scalatori in qualunque momento è un’operazione a dir poco temeraria. E molti di coloro che sono entrati in tale commissione, compreso il presidente Sabino Cassese, non potevano non immaginare che i problemi sarebbero arrivati, laddove si fosse voluto tenere un atteggiamento equilibrato nei confronti del Paese e delle esigenze di equità  nella spesa. 

Che la spesa storica fosse distribuita in maniera non equilibrata era già venuto fuori dai conti economici territoriali, voluti da Carlo Azeglio Ciampi.

Al di là della valutazione che veniva fatta di 50-60 miliardi di differenza tra un pro capite uguale, sia che che che uno nascesse a Reggio Calabria o a Reggio Emilia, e il pro capite effettivo, al di là delle contestazioni di alcune appostazioni che alcuni ritenevano opportune e altri invece non adeguate, uno zoccolo duro di differenza rimaneva sempre ed era riconosciuto da tutti.

Chi è entrato nella commissione evidentemente non aveva chiaro il vero obiettivo delle autonomie differenziate che era quello di rimanere con la spesa storica rendendo tale sistema legittimo, considerato che invece adesso è anticostituzionale perché cittadini non sono tutti uguali in qualunque parte del Paese essi nascano.

Era evidente peraltro che la spesa storica delle regioni avvantaggiate dovesse rimanere tale e che bisognava aumentare quella delle regioni penalizzate per adeguarla alle altre. Operazione che non può essere fatta se non in presenza di crescite molto consistenti che vengano destinate ad una parte del Paese e che coprano la spesa corrente relativa ai servizi che coprano i livelli essenziali delle prestazioni.

Perché invece il fatto strutturale doveva in realtà essere coperto con le risorse del PNRR, malgrado esse dovessero essere destinate al sistema economico del Mezzogiorno, per far partire la seconda locomotiva, invece che essere investite nei diritti di cittadinanza in maniera da consentire di avere strutture  di partenza analoghe.

Adesso che il vaso di Pandora è stato scoperchiato ed è noto a tutti che vi sono differenze nella spesa pro capite tra le varie regioni, tanto che diversi uomini politici, governatori di regioni del Sud come De Luca, ne reclamano l’uguaglianza credo che non si possa più far rientrare il genio della lampada uscito ormai dal suo prigionia o far rientrare la pasta dentifricia di nuovo dentro il tubetto.

Adesso bisogna prendere atto delle differenze in tutti settori: dalle infrastrutture, alla sanità, alla scuola, che rappresenta il passo fondamentale per costruire una vera classe dirigente del Sud e permettere, aumentando la consapevolezza dell’elettorato passivo, l’elezione invece che di una classe dominante estrattiva di una vera classe dirigente che abbia come obiettivo il bene comune.  E l’occasione dei fondi disponibili e del piano di ripresa e resilienza dovrebbe essere assolutamente non persa perché altre, a questo livello, sarà difficile che se ne presentino.

Ma anche questa volta, senza voler essere pessimisti per forza, sarà complicato riuscire a completare una operazione così articolata.

Non parliamo di una realtà come la Corsica o come Malta, con poco meno di mezzo milione di abitanti, ma di un territorio che se fosse un’unica nazione, nella graduatoria dei paesi più popolati dell’Unione,  sarebbe al sesto posto tra i 27.

Si è già visto cosa è accaduto con gli asili nido, per errori di impostazione del Governo Draghi, ma certamente anche per incapacità da parte delle comunità locali di utilizzare le risorse disponibili.

Ma non bisogna sottovalutare che questo aspetto che riguarda l’incapacità, per carenza di capitale umano formato, è una parte fondamentale del problema.

Infatti il tema non riguarda soltanto la disponibilità delle risorse ma anche la capacità sia centrale che periferica di mettere a terra, come ormai é uso dire, ciò che è disponibile.

È accaduto tutto questo con i fondi strutturali, ovviamente è facile che accada anche con quelli del piano di resilienza.

D’altra parte la centralità più volte predicata  del  Mezzogiorno si scontra poi con tutta una serie di esigenze di un Paese complesso, non ultime le calamità naturali che richiedono interventi urgenti e risorse infinite.

Mi riferisco alla alluvione dell’Emilia-Romagna che fa dire a molti che invece di fare per esempio il ponte sullo stretto si dirottino quelle risorse per la messa in sicurezza di un territorio molto fragile. Ovviamente qualunque problema si verifichi potete stare sicuri che, dopo aver contato fino a tre, qualcuno dirà che invece del ponte si possono fare le mille cose che sono necessarie nel nostro Paese.

D’altra parte il timore da parte dei territori sviluppati di  perdere alcune rendite di  posizione che li hanno caratterizzati da sempre,  ma anche il dubbio che mettere a regime il Sud potrebbe voler dire far perdere affari ad alcune realtà settentrionali é un tema che non va sottovalutato.

Parlo per esempio di Genova e Trieste che vedrebbero nella concorrenza di Gioia Tauro e Augusta la possibilità della diminuzione dei loro affari o che da un turismo più consistente delle coste o delle città d’arte meridionali vedrebbero la perdita del primato ormai acquisito da anni delle presenze.

È difficile far passare il messaggio che la crescita del Sud in realtà non può che portare a un nuovo sviluppo di tutto il Paese, avvantaggiando enormemente anche le realtà che hanno raggiunto livelli importanti di reddito pro capite e che nell’ultimo periodo, invece, stanno perdendo posizioni rispetto alle realtà più evolute della Mittel Europa. Il pensiero dominante é invece che le risorse che vengono destinate al Sud vengano considerate perse rispetto ad un utilizzo che potrebbe essere migliore e possano  trovare destinazione più opportuna e proficua.

Come si vede il cambio culturale è di quelli a 180° e deve coinvolgere la vera classe dirigente del Paese, quella che accede ai media nazionali, e che dà gli indirizzi veri dello sviluppo, al di là del rumore di fondo che riguarda le abbondanti grida che nel tempo risultano tali. Un Governo, che ha una speranza di vita di cinque anni, potrebbe e dovrebbe porsi tali  problematiche strutturali. (pmb)

[courtesy Il Quotidiano del Sud / L’Altravoce dell’Italia]