Nel nome di Denis, di Francesco Ceniti

di PARIDE LEPORACE – Sono 33 anni che Denis Bergamini è morto. Senza quel maledetto 18 novembre oggi avrebbe sessant’anni il calciatore del Cosenza diventato protagonista di un “cold case” infinito.
Pochi i libri sul caso. Il più rumoroso quello del suo collega Carlo Petrini che nel 2001 con “Il calciatore suicidato” contribuì ad alimentare la morte senza verità del biondo centrocampista.
Da qualche settimane è nelle librerie Nel nome di Denis. La storia vera di Bergamini il calciatore ucciso due volte.

Francesco Ceniti è un bravo giornalista sportivo. Firma di punta della Gazzetta dello Sport, ha scritto diversi libri. Quello di maggior successo In nome di Marco dedicato a Pantani con la doppia firma della mamma Tonina. Altro dramma sportivo che su quei tornanti cerca di riscattare la figura del celebre ciclista.
Non è un libro inchiesta terzo quello di Ceniti. La sua ottima scrittura si è messa in azione per sostenere a priori la tesi dell’omicidio organizzato dalla sua ex fidanzata. Lo si verifica dall’incipit affidato a Gianluca Di Marzio, figlio di Gianni e allenatore di Bergamini, che nell’attacco della prefazione scrive: “Non ho mai pensato, neanche solo per un secondo che Denis si fosse tolto la vita. Mai”.
Ceniti con applicazione ha scritto un livre de chevet per quella moltitudine rumorosa che senza se e ma non ha alcun dubbio sulla tesi dell’omicidio e di un conseguente complotto.
Le fonti adoperate sono esclusivamente quelle della famiglia e dell’avvocato esperto di processo mediatico e penale. Su questo si stende un canovaccio avvincente, ben scritto, anche documentato nella sua visione di parte.
La tecnica di scrittura si rifà al celebre Amabili resti dell’americana Alice Sebold in cui una ragazzina uccisa per stupro rievoca in prima persona da morta il suo calvario. Anche qui Bergamini racconta “la verità” in mezzo alle ricostruzioni di Ceniti. Una scelta che andava maggiormente intensificata nelle pagine considerando il giudizio commosso che Gigi Simoni, il migliore amico e compagno di squadra di Denis, ha testimoniato in una trasmissione sportiva di Giuseppe Milicchio affermando “sembra proprio di sentirlo”.
L’autore scava episodi commoventi sconosciuti come quello di Denis che veglia un ragazzo in coma della curva del Cosenza, ricostruisce il calvario della famiglia con passione coinvolgente, in particolare nella descrizione della lotta senza fine di papà Domizio. Descrive con pathos i funerali, accende il suo occhio partecipe sulla grande manifestazione cosentina che nel 2009 chiede “verità e giustizia” per accertare il delitto. Tra metafore calcistiche sempre ben assestate e digressioni sportive, lo scrittore sviscera con ripartenze studiate tutti i tornanti di una kafkiana vicenda che ebbe il torto nelle prime 48 ore di trascurare i rilievi fondamentali per accertare le cause di una morte violenta.
C’è un sottotesto molto valido nel libro. Tema che l’autore dovrebbe prendere in considerazione per sue future pubblicazioni. Quello dei giornalisti. Hanno nomi modificati e non sono sempre riconoscibili. Ceniti si è formato con loro da giovane nel suo apprendistato al Quotidiano della Calabria. Le parole e le movenze di cronisti e del direttore raccontano molto bene i mutamenti della professione prendendo solo a pretesto il caso Bergamini. Quello su cui si sta vedendo celebrare un processo che è rimasto fuori dal libro nel suo svolgersi e soprattutto nel suo verdetto di primo grado.

Un racconto sentimentale a tesi chiusa quello di Ceniti. Non contempla l’impossibile suicidio o l’ipotetico incidente di Denis. Un nome da tragedia giovanile come quello di Eurialo e Niso, Narciso e Boccadoro, raccontato in ogni dettaglio compresi i garbugli dell’anagrafe, la carriera calcistica, gli incroci della malasorte, le donne di casa e quelle di fuori, Argenta e Cosenza. Per Ceniti, ucciso e strappato da un complotto ai parenti, ai tifosi, al mondo. Come i più sostengono per partito preso. Senza nemmeno un ragionevole dubbio. (pl)

 

FRANCESCO CENITI
NEL NOME DI DENIS. LA VERA STORIA DI BERGAMINI IL CALCIATORE UCCISO DUE VOLTE
Cairo Editore, ISBN 9788830902626

L’atomo inquieto, di Mimmo Gangemi

di FILIPPO VELTRI  – Mimmo Gangemi ci regala con ‘’L’atomo inquieto’’ (Solferino) uno straordinario romanzo che inquadra la vita, i tormenti e i percorsi inquieti di un personaggio di cui si parla da decenni. È il fisico Ettore Majorana, scomparso misteriosamente  e sulla cui sorte sono nate decine di leggende, vere o false che siano, che hanno alimentato tutto un filone anche letterario (pensiamo solo al romanzo di Leonardo Sciascia). Ma anche un filone di cronaca che e’ stato a lungo legato persino alla Calabria, con  la leggenda di una sua permanenza nella Certosa di Serra San Bruno.

Uno straccione misterioso che abita in una baracca. Un incidente. Una notte tra la vita e la morte in cui riemerge il mistero di un passato inimmaginabile. Perché quell’uomo si è trovato, per decenni, al centro della storia. È stato un professore di fisica noto e reputato a Roma, ma scomparso in un giorno di primavera del 1938, presunto suicida. È stato uno scienziato al servizio di Hitler, in corsa contro il tempo per costruire l’arma definitiva, la bomba capace di vincere la guerra.

È stato un paziente in un sanatorio altoatesino, precario rifugio per ex nazisti braccati. È stato un tecnico di laboratorio in Venezuela, dopo essere arrivato in Sud America in compagnia di Adolf Eichmann. E poi è tornato di nuovo in Italia, ha attraversato altri luoghi e altre identità, fino a non averne alcuna se non quella di un disperato che campa di poco e niente in terra ionica: come a voler espiare, facendosi fantasma in vita, i troppi errori di troppe reincarnazioni.

Questo è Ettore Majorana, perché di lui si tratta, e in quell’unica notte rende in prima persona la sua confessione: una vicenda di guerre e di intrighi, di amore e di pericolo, attraverso cui il filo rosso della scienza e del progresso corre tingendosi, a tratti, di sangue.

Mimmo Gangemi riporta in vita una delle figure più interessanti ed enigmatiche del Novecento distillando dagli scarsi indizi e dalle molte congetture sulla sua scomparsa con una sontuosa e avvincente narrazione, tipica del Gangemi che ci ha regalato ineguagliabili pagine di letteratura come la Signora di Ellis Island, L’acre odore di aglio, Il giudice meschino e Il popolo di mezzo.

Ancora una volta emerge nitida la sua capacità di descrizione dei luoghi, “quel mare con onde senza forza di assalire la riva’’ o  “quel fruscio che si avverte solo nelle pause dei rumori del mondo’’.

E ancora: un Gangemi che scava nelle fonti come un vero romanziere storico cui aggiunge, pero’, uno stacco di scrittura facile e coinvolgente.

Gangemi stavolta ci restituisce un Majorana insieme fedele alla realtà storica e pienamente contemporaneo, nella tensione estrema tra scienza e morale che percorre la sua vita e nel dilemma tra dovere e libertà che segna anche il nostro tempo.

MIMMO GANGEMI
L’ATOMO INQUIETO
Solferino, ISBN 9788828210818

L’ultima fermata – di Tommaso Labate

di GREGORIO CORIGLIANO – A giudicare da quanto è successo e continua a succedere nella elezione dei presidenti della Camera e del Senato, il mio amico Tommaso Labate (che non conosco di persona, ma solo di video o di commentatore politico ma che apprezzo molto)  può prepararsi a scrivere un altro libro. L’ultimo che ha scritto è già di suo, notevolmente di interesse, non solo per chi fa politica, ma per quanti ne seguono gli avvenimenti pressoché quotidiani, ci fa conoscere, eppure leggiamo quotidiani ogni giorno, fatti e accadimenti che abbiamo dimenticato, o che non avremmo mai immaginato.

L’ultima fermata, questo il titolo, edito da Solferino, tra le altre cose, ci fa capire, per esempio, cosa sia “la strategia del palombaro” che è stata o deve essere utilizzata, o si consiglia di utilizzare, in momenti decisamente importanti come, guarda caso, l’elezione di una carica dello Stato, per esempio, la più alta, il Presidente della Repubblica. E Labate parte con un esempio che molti non ricorderanno, se si fa eccezione per i seniores della politica, quelli della c.d Prima Repubblica. Era Presidente del Senato Cesare Merzagora, un uomo con tutte le caratteristiche ed i titoli per salire al Quirinale. Antifascista, senatore, già ministro e soprattutto da dieci anni occupava lo scranno più alto di Palazzo Madama. Ogni “comunicato” della Radio – allora si chiamavano così – non citava che lui, tutti i quotidiani lo citavano per i suoi impegni istituzionali, insomma era sulla cresta dell’onda. Ed aveva il sostegno della sinistra, della dc, dei partiti minori. Era conosciuto dal Palazzo e apprezzato dalla società. E si era convinto di riuscire nell’intento di avere tutti i titoli per essere eletto Presidente della Repubblica. Anzi si sentiva già al Quirinale.

Èstato un giovane Giulio Andreotti, scrive Labate, a dirgli che non gli conveniva esporsi. Che in questi desiderata, meno ci si espone meglio è. Merzagora non si disse convinto perché riteneva di avere tutti gli appoggi necessari. Ed Andreotti, di rimando, “se te lo dicono in molti, devi diffidare”. E così fini, il povero Merzagora, con le prive nel sacco. Fuori tempo massimo, il senatore aspirante, dovette dare ragione al giovane Giulio. Non era stata applicata, la strategia del palombaro, neanche da Amintore Fanfani, uno dei due cavalli di razza della DC. E neanche Arnaldo Forlani e Romano Prodi applicarono quella strategia. Moro è stato evocato da Sandro Pertini, quando al momento della elezione, nel discorso di insediamento, dopo l’uccisione del Presidente della DC, ebbe a dire: “Lui, non io, avrebbe meritato di fare il presidente.”

E Berlusconi? Il suo, afferma Labate, come si dovrebbe ricordare, fu un vero e proprio “tormentone”. Consapevole di aver fatto ben 3.369 giorni di governo, aveva avuto il sogno da sempre di salire il Colle più alto. Lo aveva promesso alla signora Rosa, sua madre. Bravo nel calcio, super nell’edilizia,  nell’editoria e in politica? Mi tocca, sembrava esclamare. La “botta in testa” la prese con la decadenza da senatore perché condannato (non sembra oggi? E poi con il sorpasso di Forza Italia ad opera della Lega, a Milan. Purnondimeno  il cavaliere si risente ringalluzzito dopo qualche tempo. La pandemia, il covid, la convalescenza non lo abbattono. Salvini lo rincuora da Giletti, perchè  uscito dal Conte primo, per volere di Renzi, vuole rientrare in gioco. E il capo (per quanto ancora?) della Lega, si dice d’accordo con Berlusconi al Colle. È abbastanza vicino per non essere ricordato il periodo del sogno di Berlusconi, come lo scazzo, adesso, con La Russa al momento della elezione di quest’ultimo alla presidenza del Senato.

Labate, che è un nostro corregionale di Marina di Gioiosa Jonica, ricostruisce la vicenda, assai complessa della rielezione di Sergio Mattarella, questa storia saremo in molti a non conoscerla. Anche se è recentissima, i particolari poco noti, sono nell’”ultima fermata”. E, come in tanti ricordiamo, Mattarella, dimostra di aver fatto, non seguito, il palombaro. È sparito, entro i limiti in cui poteva farlo da Presidente in carica, ma ha sempre negato la volontà di rimanere al Colle. Anche col trasloco dal Quirinale in un appartamento centrale, ma non centralissimo di Roma. E, nello stesso alloggio, Mattarella, rese felice, l’inquilina uscente, che mai si sarebbe aspettata di vedere il presidente della Repubblica a casa sua, per affittare o comprare l’alloggio. Fatto sta, lo evidenzia giustamente il collega del Corriere della Sera, che tra i politici italiani è tra i pochissimi a non avere una casa di proprietà a Roma. Tutto questo, con particolari di interesse culturale “stuzzichevole” che si dovrebbero sapere.

E il gioco di Renzi? Citato più volte, viene considerato come l’oracolo delle soluzioni impossibili. Aveva, proposto e fatto eleggere Mattarella, prima e poi il senatore che aveva avanzato la soluzione di Draghi, alla presidenza del Consiglio. Un uomo, insomma, capace. Sempre sulla breccia, aveva anche tentato la soluzione di Pierferdinando Casini, appreso il mestiere di palombaro, a Presidente della Repubblica. Elezione, si ricorderà, mancata per poco. Mentre dalla rielezione di Mattarella e, per diversi mesi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che ha contribuito a bloccare la elezione di Mario Draghi a presidente della Repubblica, non si sono più incontrati. Salvini ha perso su tutti i fronti. Sta tornando in auge il rapporto tra i tre, ma non si sa fino a quando. Fine corsa di Labate, che anche stasera vedremo dalla Palombelli o da Monica Maggioni. Pronto alla prossima fermata! (gco)

L’ULTIMA FERMATA
di Tommaso Labate
Edizioni Solferino – ISBN 9788828210764

Tre colpi al cuore – di Sandro Principe

di PINO NANO – Appena uscito, appena presentato dal giornalista Francesco Kostner in una assemblea di mille persone, è già un grande successo editoriale. Tre colpi al cuore –  Una vita difficile al servizio delle Istituzioni” è questo il titolo del libro scritto da Sandro Principe per la Pellegrini editore, ed in cui l’ex Sottosegretario di Stato, socialista della prima ora, ex parlamentare, ex sindaco di Rende, ex studente di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma ai tempi in cui suo padre Cecchino dominava la scena politica italiana, racconta se stesso come nessuno avrebbe mai potuto immaginare da un uomo riservato e schivo come lui, caratterialmente forte, apparentemente scontroso, coriaceo, intollerante e “superbo”, almeno negli atteggiamenti esteriori della sua lunga militanza politica.

Un diario di bordo, forse è meglio dire un diario personale, senza dubbio è il racconto viscerale meticoloso attento severo intimo della sua vita, con dettagli nomi e location che nessuno in realtà ha mai conosciuto per intero, neanche i suoi amici più cari e più antichi, una sorta di confessione plateale, pubblica, completamente libera e coraggiosa, un volersi mettere a nudo davanti alla società che lo segue, nel bene e nel male, da sempre.

Un libro che ci offre di Sandro Principe un profilo inedito, per altro molto affascinante della sua infanzia e della sua giovinezza, diviso tra la vecchia casa di Rende e il primo anno in collegio a Roma, combattuto tra il desiderio di studiare lettere classiche e i consigli del padre “statista” che alla fine lo convince a fare giurisprudenza per non rischiare di dover fare il professore per tutta la vita, un padre dalla personalità dirompente, eternamente scomodo per lui, e con cui Sandro convive, combatte, riflette e dissente, due strade le loro diverse e lontane, che alla fine però si ritrovano e si riincontrano nel grande e unico crocevia rendese.

Una saga, come tale piena di amori e di emozioni, di conflitti e di contraddizioni, ma anche di incomprensione ataviche, ma questa è la vita di ogni famiglia piccola o grande che sia, borghese come la sua o meno borghese come tante altre. Un Sandro Principe che si rivela in questa occasione uno straordinario narratore di se stesso.

Quasi un romanzo della sua esistenza, come se all’età di 70 anni il vero protagonista della nostra storia volesse lasciare alle nuove generazioni il segno del suo lungo percorso affrontato tra gli scranni del Parlamento e la vecchia Rende, meravigliosa roccaforte di tempi passati.

I suoi amici, le sue scampagnate, le sue serate mondane, i suoi impegni istituzionali, il rapporto privilegiato con il mondo della Chiesa, due vescovi importanti che hanno attraversato e segnato la sua vita in positivo, mons. Dino Trabalzini, poi ancora mons.Salvatore Nunnari, vescovi e sacerdoti alla vecchia maniera, che non lo hanno mai lasciato solo con se stesso, neanche nei momenti di maggiore solitudine per lui.

Nel “cuore” del suo libro l’autore racconta con una lucidità che è parte integrante del suo carattere il giorno dell’attentato, un colpo di pistola secco al centro del viso, la disperazione del suo popolo, i lunghi mesi di degenza in ospedale, al Careggi di Firenze, e infine la carezza finale di Natuzza Evolo che rispetto ai medici che lo avevano dato per “spacciato” conforta la moglie rassisurandola che “Sandro si sarebbe ripreso”.

Un racconto emozionante, commovente, a tratti assolutamente coinvolgente.

Prefazione illustre per questo libro, la firma è di Claudio Signorile, uno dei “principi” del socialismo italiano di questi ultimi 60 anni di storia politica italiana, e che dopo aver tessuto le lodi di “Sandro suo vecchio amico di sempre”, usa per il libro parole ben definite: “Un libro molto importante- scrive il vecchio ministro socialista-  perché credo si inserisca a pieno titolo in quella preziosa pubblicistica che aiuta a non dimenticare fatti e persone; quanti, come senza dubbio è possibile affermare dell’autore, hanno contribuito a scrivere la storia migliore del nostro Paese”

Claudio Signorile non ha nessun dubbio in merito, e lo scrive anche con assoluta chiarezza: “I giovani devono essere aiutati a comprendere come la politica non sia un oggetto misterioso e, come strumentalmente è stato fatto credere negli ultimi decenni, uno strumento finalizzato unicamente a compiere scelte di potere o a perseguire interessi poco leciti. Al contrario, essa è l’arte nobile, ma difficile, del pensare e dell’agire in funzione degli interessi collettivi”.

Il libro si apre con un capitolo “amaro”, dal titolo “La Tragedia”, non è altro che il racconto angosciante drammatico disperato e terribile del giorno in cui alla porta di casa Principe bussano i carabinieri.

“Alle 6,15 del mattino di mercoledì 23 marzo 2016 vengo svegliato dal suono del citofono. Balzo dal letto mentre mia moglie, che ha già risposto, mi dice: “Sono i Carabinieri! Che è successo?” Ed io di rimando: “Può succedere di tutto in questo Paese”. I militari mi notificano un’ordinanza del GIP, presso il Tribunale di Catanzaro, che dispone, “bontà sua”, gli arresti domiciliari, dopo che il PM aveva chiesto la custodia in carcere. Vengo accompagnato presso il Comando Provinciale di Cosenza per il rito umiliante della fotografia e della registrazione delle impronte digitali, che oggi avviene strumentalmente”.

Vittima o carnefice?

La risposta che il romanzo ci riserva riapre il grande dibattito insoluto sui pentiti di mafia: “Ma più di ogni altra cosa valgono le chiacchiere dei pentiti (“in questo Paese che di pentiti e ripentiti ha avuto sempre abbondanza”), tutti dichiaranti de relato, a sostegno del teorema che poggia sul nulla: il niente che è niente!”

E adesso – si chiede Sandro Principe in questo suo romanzo autobiografico- chi mi restituirà l’onore?

“Chi risarcirà la mia famiglia, mia moglie, le mie figlie dagli incalcolabili danni morali ed anche materiali, quando, ne sono certo, sarà riconosciuta la mia innocenza?”

E qui, il vecchio parlamentare socialista chiede aiuto a Voltaire riportando quello che Voltaire scriveva nel suo Traité sur la tolérance à l’occasion de la mort de Jean Calas: “…Ma se un padre di famiglia innocente è caduto nelle mani dell’errore, o della passione, o del fanatismo; se l’accusato non ha altra difesa che la propria virtù, se gli arbitri della sua vita non corrono altro rischio, facendolo sgozzare, che quello di sbagliarsi; se possono impunemente uccidere con una sentenza…”.

È spietata l’analisi che Sandro Principe fa della giustizia. Scrive testualmente: “Tutto può succedere quando in una democrazia esistono poteri irresponsabili, che la rendono di fatto autoritaria”. Poi si chiede: “E se non vedessi il giorno in cui verrà proclamata la mia innocenza?”.

Ancora più impietosa è la risposta che si dà: “Tutti ricorderebbero Sandro Principe presunto mafioso, poiché Sandro Principe costruttore di città, uomo buono, colto e sensibile sarebbe vaporizzato nell’oblio. A ingiustizia seguirebbe ingiustizia. E sarebbe molto di più di ciò che già sono costretto a subire. L’onta di una mortificazione senza pari: la damnatio memoriae”.

Ecco il vero perché di questo saggio.

Sandro Principe vuole affidare alle generazioni future la storia vera del suo impegno politico, e rinvia il racconto della sua vicenda giudiziaria ad un saggio successivo: “Non parlerò  della vicenda giudiziaria che ingiustamente mi affligge. Se ne avrò forza ad essa dedicherò un altro libro. Forse l’ultimo della mia vita, che lascerò ai posteri, affinché comprendano e riflettano sui tanti modi attraverso cui può essere ingiustamente inferta una sofferenza. Un dolore. Una mortificazione. E perché, fino a quando ciò accadrà, nessuno potrà ritenere di vivere in una società degna di questo nome. In una democrazia vera. In un mondo in cui giustizia e libertà sono pilastri fondanti del vivere civile”.

Un libro dai toni forti, 267 pagine ricche di informazioni, un indice meticoloso dei personaggi incontrati e qui raccontati, dentro c’è tutta la prima e la seconda Repubblica, copia di vecchie delibere, di atti municipali, di appunti privati, e tra le tante foto storiche, bellissime quelle insieme a Sandro Pertini, una in particolare commuove più di tutto il resto, è lui insieme alle sue figlie Carolina e Rosamaria e a cui, insieme alla moglie Wally e ai nipotini Federico e Ginevra, Sandro Principe dedica questa suo testamento. Da leggere tutto, e si legge in un fiato, dalla prima all’ultima pagina.

 

TRE COLPI AL CUORE
di SANDRO PRINCIPE
Luigi Pellegrini Editore, ISBN 9791220501354

Event Marketing di Sonia Ferrari

di FRANCESCO BARTUCCI – Spettacoli, manifestazioni ed altri eventi hanno oggi un ruolo molto più rilevante che in passato: oltre a momenti di divertimento e socializzazione, infatti, essi sono mezzi per comunicare ed elementi delle strategie di marketing sempre più utilizzati da enti, aziende, territori, destinazioni turistiche.

Sono questi i temi affrontati dal volume di Sonia Ferrari ‘Event marketing. I grandi eventi e gli eventi speciali come strumenti di marketing’ oggi alla quarta edizione, che è stata appena pubblicata dall’editore Wolters Kluwer. Il libro, che rappresenta da anni un importante punto di riferimento per gli studiosi di eventi in Italia, approfondisce i temi dell’impatto di festival ed altre manifestazioni sul territorio e del loro ruolo come strumenti di comunicazione per soggetti di varia natura.

Nell’odierna economia dell’esperienza, in cui i consumatori ricercano esperienze uniche ed indimenticabili e le imprese desiderano creare con essi rapporti forti e duraturi, mentre le destinazioni turistiche e i territori competono in modo sempre più acceso, gli eventi rappresentano, infatti, leve di marketing dall’importanza crescente. Sono strumenti che possono rafforzare immagine, brand e posizionamento, differenziare l’offerta, far sì che uno sport o una forma d’arte diventino veicoli per coinvolgere consumatori, residenti, finanziatori, investitori.

Questa quarta edizione del volume affronta temi nuovi, anche alla luce dell’evoluzione dei consumi nel post-Covid, e presenta numerosi casi ed esempi stimolanti. Il lettore sarà accompagnato alla scoperta del settore degli eventi attraverso gli occhi dello studioso interessato a conoscere effetti, impatto, implicazioni di marketing ed eredità di eventi speciali e grandi eventi, ma anche di manifestazioni meno rilevanti, in termini socio-culturali, ambientali ed economici. L’autrice, Sonia Ferrari, insegna Marketing Territoriale e Marketing del Turismo all’Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha presieduto il corso di laurea in Scienze Turistiche e la laurea magistrale in Valorizzazione dei Sistemi Turistico-Culturali. I suoi principali interessi di studi e ricerca riguardano, oltre all’event marketing, tematiche relative al marketing del turismo, il turismo esperienziale, il turismo delle radici.

Un capitolo del volume, scritto dal sociologo Chito Guala, studioso di queste tematiche da anni e conosciuto a livelli internazionale, è dedicato alle Olimpiadi ed altri grandi eventi come momenti di avvio di processi di rigenerazione urbana. Con Guala la Ferrari ha realizzato numerose pubblicazioni internazionali.   (fba)           

SONIA FERRARI
EVENT MARKETING
edizioni Wolters Kluver, ISBN 9788813379841
370 pagg. 33,00 euro

La tragedia degli Alberti e la strage di Pentidattilo, di Saverio Abenavoli Montebianco

La Tragedia degli Alberti e la strage di Pentidattilo, edito dalla Rondine di Catanzaro, è il nuovo documentatissimo saggio dello storico Saverio Abenavoli Montebianco, appassionato cultore della Civilisation normande e della affascinante epopea dei normanni dell’Italia Meridionale.

Il testo illustra il tragico avvenimento della strage di Pentidattilo con lo sterminio della Famiglia del Marchese Alberti, la quale esce dall’ambito della storia locale o regionale per acquistare specificità di simbolo di rivolta contro l’immenso degrado morale, sociale, economico e comportamentale, contro la protervia usurpatrice e banditesca della nuova classe dirigente dei funzionari e dei “nuovi nobili” della Corte del Vicereame di Napoli nei secoli XVI e XVII, a parere unanime degli storici e degli studiosi, i secoli più oscuri, più tenebrosi, più corrotti, più degradati e più lacrimevoli della storia del Mezzogiorno di Italia.

Per la Corte spagnola del Vicerè, la Calabria ed il Napoletano erano solo delle Colonie di rango africano dalle quali prelevare risorse economiche necessarie per le continue guerre.  I Vicerè che si sono succeduti non governarono affatto il Meridione di Italia e lo amministrarono molto male anche con l’aiuto di funzionari corrotti e dei “nuovi nobili” che erano arrivati al feudo dopo le loro scorrerie di sopraffazioni e di illegittimi maneggi mercantili!.

La tragedia di Pentidattilo pertanto, non può essere enucleata dal suo contesto e dal suo naturale background storico nel secolo XVII che resta lo scenario principale ed il terreno necessario e la conditio sine qua non, per una corretta, valida ed equilibrata relazione espositiva. Altrimenti si rischia di perpetuare ulteriormente ed ancora, tutte le falsità storiche della “sfrontata e perfida montatura spagnola”, che voleva fare ricadere sulle spalle del povero Bernardino e della sua sfortunata Antonia tutte le colpe del misfatto!.

Falsità storiche, ingiuste accuse, devastazioni del buonsenso e della ragionevolezza, falsi racconti di eventi, e bugie stellari, da parte degli arroganti funzionari spagnoli per accusare Bernardino dei tanti omicidi che andava impiccato insieme alla moglie Antonia, per impossessarsi dei loro ricchi e rinomati feudi tanti agognati dai funzionari spagnoli.

Questi ultimi cercarono con ogni mezzo a disposizione di rapinare le verità storiche che riguardavano gli avvenimenti della tragedia ed il comportamento di alcuni personaggi incolpevoli ed innocenti, i quali al contrario, fin dal primo momento dei tragici eventi avevano invece conquistato il cuore, l’animo ed il profondo favore della vox populi e dei profondi valori delle tradizioni cavalleresche del mitico Aspromonte e dell’Area Grecanica Reggina. 

Non mancarono, pertanto, degli studiosi e letterati ed intere popolazioni dei paesi e dei casali Reggini, che nel comportamento politico e sociale del Cavaliere Bernardino erede di tanti eroici ed antichi cavalieri normanni – che portarono in Calabria i sani ed i corretti principi della cavalleria di Carlo Magno di cui avevano sposato le figlie ed i costumi cavallereschi – hanno voluto intravedere una valenza patriottica e risorgimentale  e la continuazione della rivoluzione napoletana di Genoino e Masaniello del luglio 1647!

L’ammirazione per Bernardino Abenavoli, l’inserimento di elementi di verità e di correttezza nell’azione di Bernardino, la complicità del Clero e di ben due noti Arcivescovi Calabresi, la tolleranza dello stesso Governatore spagnolo di Reggio Calabria, subito allontanato dalla Corte, nonché la declamazione e la divulgazione della famosa sentenza di totale assoluzione di Bernardino da parte di Sua Maestà Imperiale Leopoldo di Austria, Capo della Lega Santa eseguita presso l’Altissima Corte Imperiale di Vienna nell’anno 1686, che reintegrava il valoroso Bernardino nei suoi titoli, nei suoi averi,  nei suoi feudi e nelle sue alte Dignità Nobiliari e nel suo ruolo di Condottiero dell’esercito austriaco, e infine la visione enfatizzata della sua morte eroica combattendo contro i Turchi che stavano conquistando Venezia e Vienna, nascondono con una onesta dissimulazione l’opposizione alla Spagna e creano il primo tipo di Bandito Ribelle della Calabria Moderna.

In questo saggio storico, tra la storia vera ed il mito (che sempre storia è!), l’Autore racconta nella sua documentatissima opera non solo la singolare e molto conosciuta vicenda della “Strage di Pentidattilo” che ha interessato molti scrittori e numerosi cronisti, ed anche il teatro e soprattutto il piccolo e grande schermo, ma fa rivivere anche ed ancora il mito scespiriano di Antonia e Bernardino, cioè  la magnifica storia di amore contrastato tra la bellissima ed affascinante Antonia Alberti, Marchesa di Pentidattilo, ed il romantico ed eroico Cavaliere Avenel Drengot Bernardino Abenavoli, Barone di Montebello, dei Principi Normanni Avenel Quarrel Drengot di Aversa e di Capua.

L’autore Saverio Abenavoli Montebianco dedica con affettuosa emozione questa sua opera alla Marchesina Antonia Alberti, la vera protagonista di questa storia di immenso amore, insieme con tutte le figure femminili, storiche e non, le quali patirono nella loro esistenza a causa di sublime e romantica idealità sentimentale ed amorosa!.

Esse furono sempre vittime dell’ignoranza, della ingiustizia, dell’arroganza, e degli intrighi di potere della nostra società prepotentemente governata dagli uomini, quasi sempre esse furono manipolate ed asservite nel loro ruolo essenziale di donne da una inesorabile cultura maschilista. A tal punto, come accadde alla nostra amatissima Antonia, di desiderare di essere relegata in un Convento, dove la solitudine ed il silenzio del Chiostro, riuscivano a conciliare anche con le preghiere il forte convincimento, finanche religioso, di poter trovare finalmente nell’altra vita, il premio del proprio riscatto e la conferma della propria felicità.

La tragica vicenda di Pentidattilo, dove nella notte di Pasqua del 1686 venne distrutta quasi tutta la famiglia Alberti, certamente per mano del truce “Capobastone” degli “scherani” del Marchese Alberti, che da molti cronisti viene indicato con il nome di Giuseppe Scrufari, fa da sfondo come in una tragedia greca al tragico amore tra Bernardino ed Antonia.

Ma nello stesso tempo dimostra l’eroica statura e la grande forza d’animo della giovanissima e bella Antonia, che cercò di opporsi e volle combattere contro il dominio maschile del fratello Lorenzo che la voleva sottoporre per motivi mercantili e di mero utilizzo sociale al matrimonio con uno sconosciuto di cui non sopportava neanche la presenza.

E tutto questo scempio nel bel mezzo del suo delicato periodo adolescenziale (Antonia aveva solo 18 anni ! ), durante il quale l’amore giovanile veniva ad inondare di pura e nuova luce e di incancellabile incanto il suo primo amore di donna che faceva volare i suoi sentimenti al confine con la divinazione!

Il comportamento della bellissima Antonia, la cui bellezza superava quella delle Dee dell’Olimpo, venne così a confermarsi come una personale e libera “reconquista” nell’amore per Bernardino che rappresentava non solo il suo agognato traguardo, ma la sua ancora, il completamento dei suoi sogni e della sua giovane esistenza e soprattutto del suo destino di donna!

La bella Antonia amava infatti con tutto l’ardore dei suoi giovani anni, il giovane ed adorabile Bernardino, anch’egli fortemente innamorato della splendida Antonia che poi riuscì a sposare!

Ma le conseguenze furono veramente tragiche come gli avvenimenti confermeranno. 

Donna Antonia, “Coscienza Umiliata”, nei suoi affetti più cari e nei suoi sentimenti più intimi ed essenziali della sua esistenza, della sua personalità, e della sua dignità di donna, a causa dello strapotere familiare e maschilista, nonché a causa di intrighi di esperte cortigiane e di arcaiche consuetudini sociali, diventa così il simbolo sublime e la testimone della dignità umana delle donne e della idealità romantica e sognante dell’Amore Cortese.

Il tempo ha cancellato ragioni e colpe, gioie e lutti, rovine e stragi!

Sopravvive solo nel tempo e diventa leggenda e si trasforma in Mito il grande amore contrastato tra l’affascinante castellana Antonia Alberti Marchesa di Pentidattilo, e Baronessa di Montebello, dopo il suo matrimonio con Bernardino, il leggendario cavaliere Avenel Quarrel Drengot, che immolò la sua vita combattendo contro i Turchi che stavano conquistando Vienna e Venezia!

Per la fiamma immensa della loro luminosa passione, per le loro inenarrabili pene, per le loro giovani esistenze immolate senza colpa, Antonia e Bernardino diventano con il tempo una sacra icona, un monumento perenne ed il simbolo più autentico e sublime che illumina il cuore, l’animo e la mente dell’Uomo e della Donna nel creato e per l’eternità…

La tragedia sofoclea shakespeariana della loro vicenda passionale scritta dall’impareggiabile mano del Destino, vola verso l’eternità e continua idealmente a vivere confermandosi come solido avvenimento storico che la sensibilità e la fantasia popolare ha trasformato in un romantico Mito non meno toccante, infelice e lacrimevole, ma certamente più intenso e più  sentito di quello di Giulietta e Romeo o di quello di Paolo e Francesca, con lo sfondo superbo ed incomparabile del Mitico Aspromonte, la Montagna Sacra, sede della Fata Morgana, sorella di Re Artù e culla della “Canzone di Aspromonte”, il Poema Cavalleresco dei Normanni che dall’Aspromonte volò verso l’intera Europa e verso le Corti Europee nel XII secolo, decantando il valore e le virtù cavalleresche dei Cavalieri Normanni!

La Storia non è in contrasto con i Miti, anche perché molto spesso noi riusciamo a conoscere la vera storia attraverso e grazie ai Miti!

E non va dimenticato che il “Mythos Omerico” era una parola sacra poiché veniva pronunciata da un Dio in circostanze particolarmente solenni!

Ancora oggi noi sappiamo che il Mito può essere una ricchezza inestinguibile, straordinaria e divina che ci può guidare nei sentieri aspri ma sacri della storia e nella conoscenza dei meandri dell’animo umano. 

LA TRAGEDIA DEGLI ALBERTI
E LA STRAGE DI PENTEDATTILO
di Saverio Abenavoli Montebianco
Rondine Edizioni   ISBN 9788832268614

La Chiesa e il Sud: l’ultima intervista di mons. Cantisani su Wojtyla in Calabria nel 1984

La Chiesa e il Sud: ritorna in un libro l’ultima intervista del vescovo emerito mons. Antonio Cantisani (scomparso il primo luglio dell’anno scorso) sulla storica visita di papa Wojtyla in Calabria, dal 5 al 7 ottobre del 1984. Il libro è firmato da don Giovanni Scarpino, che guida da anni la parrocchia di San Massimiliano Maria Kolbe a Catanzaro.
Cantisani – scrive Scarpino – cittadino onorario e illustre del capoluogo calabrese, fu il primo metropolita e il primo a celebrare il Sinodo nelle due diocesi unificate nel 1986. Fu anche il primo a fare visita al Consiglio Regionale della Calabria, invitando tutti i rappresentanti della politica a riscoprire e promuovere sempre la centralità della persona e il bene comune.
Dopo avere ricordato le prestigiose pubblicazioni, fra cui i profili dei vescovi e di Cassiodoro, Don Giovanni Scarpino ricorda come Cantisani ribadiva “la necessità, soprattutto ai pastori, di evitare ritardi e peccati che hanno segnato anche il cammino umano della Chiesa, fra luci e ombre, ma sempre vivificato dalla misericordia e dalla grazia del Signore”. Cantisani “ha sempre insegnato a tutti a saper vivere con gioia ed impegno in una Chiesa sinodale”.
Scarpino a proposito della visita del Papa, annota: “In quel tempo la Calabria si presentava con un’anima amara per l’invincibile disgregazione sociale; la mancanza di lavoro, le bande che sequestravano, le lupare che ammazzavano e il traffico della droga, la più pesante esclusione dai grandi processi di trasformazione economica”. Commentando le parole del Papa pronunciate in Calabria a Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria, Lamezia, Serra San Bruno, Paola, secondo Mons. Cantisani come riporta Don Giovanni Scarpino “non possiamo accontentarci di una catechesi superficiale, che presenta solo qualche verità astratta, e unicamente in preparazione ai Sacramenti. Succede così che dopo la prima comunione o al massimo la cresima, i ragazzi ci lasciano quasi tutti”. E riporta anche parole di Giovanni Paolo II per la necessità di recuperare “quel vasto fenomeno della religiosità popolare, che se liberata dalle eventuali incrostazioni superstiziose, costituisce una grande ricchezza spirituale delle genti di Calabria”. E ancora il Papa al popolo che l’acclamava all’arrivo all’aeroporto: “La legge divina costituisce il fondamento di ogni giustizia, e solo tenendo conto di essa è possibile dare origine a modelli sociali conformi alla dignità umana. Quando si offusca la luce della morale, all’uomo viene a mancare la stella polare su cui orientare il proprio comportamento di vita ed egli finisce con l’organizzare la terra contro se stesso”.
Sollecitato dalle domande di Scarpino se con la visita del Papa i calabresi abbiamo capito di più i segni efficaci dei sacramenti, Cantisani precisa: “Certo, è un fatto positivo che, nonostante il secolarismo che avanza, quasi tutti i calabresi continuino a chiedere i sacramenti. Ma, nella maggior parte dei casi, rimangono riti che non coincidono con la vita”.
E poi sulla famiglia: “quando si dissolve il vincolo fondamentale della famiglia…, anche la società corre irreparabilmente verso l’abisso della propria disgregazione”; la politica, “l’auspicio che si formi una nuova classe dirigente, capace di distinguersi per il rigore morale, per la competenza progettuale e operativa, e per il generoso impegno a servizio del bene comune”; i giovani, “perché essi, per la loro età, sono le antenne che percepiscono in anticipo le strade lungo le quali la storia è chiamata a camminare”. Nessun fedele deve tirarsi indietro.
Cantisani, morto il primo luglio del 2021, si è sempre servito anche della stampa per ampliare la sua voce. Aveva pensato anche ad un canale televisivo a livello regionale. Fra i giornali che aveva fondato, il prestigioso giornale cattolico Comunità Nuova, che dava voce alle parrocchie, ai fedeli, e naturalmente al Vaticano, oltre che servizio di informazione capillare sull’agenda del Vescovo, cultura, attualità, costume, preghiera, storia, approfondimenti. Ma ormai Comunità Nuova non si vede più da oltre un anno, un’altra voce incomprensibilmente soffocata.
Don Giovanni Scarpino chiudendo il suo lavoro, corredato da fotografie di Cantisani con Giovanni Paolo II, Papa Francesco, e altre immagini storiche, parla dell’Arcivescovo di Catanzaro-Squillace Mons. Cantisani come “un pastore mite e di grande sapienza spirituale. Per tutti ha avuto una parola buona, poiché ha sempre rispettato la centralità della persona, promuovendo il bene comune con il dialogo e la misericordia. Grazie Pastor Bonus. Rimarrai sempre nei nostri cuori”.
Il titolo del libro di Don Giovanni Scarpino è “La Chiesa e il sud nelle parole dell’Arcivescovo Mons. Antonio Cantisani” (Grafiche Simone). Il Vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani sezione Calabria, Luigi Stanizzi, ha espresso parole di riconoscenza verso l’autore, fra l’altro “per avere saputo ancora una volta, in modo impareggiabile, interpretare le attese dei lettori che sulla figura carismatica di Mons. Antonio Cantisani, richiedono costantemente   informazioni, commenti, ricordi, studi. Fra quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo c’è chi chiede la pubblicazione delle sue omelie, che arrivavano al cuore attraverso la ragione. L’opera di Scarpino cristallizza la storica visita di Papa Wojtyla vista con gli occhi di Mons. Cantisani, pubblicazione unica nel suo genere”.
Don Giovanni Scarpino guida da anni la sua parrocchia avvicinando in particolare giovani e anziani in una realtà rara se non unica in Italia: la chiesa all’interno dell’area di un mega Centro Commerciale: Le Fontane. Già Cancelliere dell’Arcivescovado, da giornalista don Scarpino scrive per le più prestigiose testate locali e nazionali, da scrittore ha pubblicato numerosi volumi di carattere religioso e storico che hanno riscosso successo di critica e di pubblico. (rcz)
GIOVANNI SCARPINO
LA CHIESA E IL SUD NELLE PAROLE DELL’ARCIVESCOVO MONS. ANTONIO CANTISANI
GRAFICHE SIMONE

Il cercatore di luce di Carmine Abate

di FILIPPO VELTRI – Carlo ha dodici anni quando sale in Scanuppia, una montagna del Trentino, per trascorrere le vacanze estive nella baita di famiglia. I genitori non fanno che litigare, la tensione è palpabile, eppure un inatteso sollievo lo coglie quando si immerge nel dipinto appeso nella sua stanza: una giovane donna con un bambino tra le braccia. Chi sono quelle due persone? Al ragazzo pare di riconoscerle e chiede notizie alla Moma, la nonna originaria della Calabria, scoprendo che il nonno aveva conosciuto il pittore, Giovanni Segantini.
Carlo si trova così a ricostruire la trama intima e collettiva di un intero secolo, a partire dalla travolgente vicenda umana di Segantini, legata a quella della propria famiglia. Mentre è alle prese con i primi turbamenti sentimentali, il ragazzo si appassiona all’amore tra l’artista e Bice Bugatti, donna carismatica e compagna fedele, sempre al suo fianco dall’incontro a Milano agli anni in Brianza e in Svizzera.
In un romanzo epico e visionario, Carmine Abate torna a raccontare un’appassionante storia famigliare, e vi intreccia con maestria la straordinaria avventura esistenziale e artistica di uno dei nostri più grandi pittori, muovendosi – con l’autorevolezza di chi li conosce nelle più segrete profondità – in luoghi lontani ma dalla identica, struggente meraviglia: dal Trentino di Arco e della Scanuppia, paradiso naturale degli urogalli, alle altezze sublimi di Maloja, all’altopiano della Sila, monumento alla bellezza nel cuore del Mediterraneo.
Avvalendosi di un meccanismo narrativo ad alta precisione alimentato da una lingua insieme morbida e acuminata, Abate scolpisce un potente romanzo corale che affronta temi universali: la vita, la natura, la morte, gli stessi del famoso Trittico della Natura di Giovanni Segantini. È lui l’inesausto cercatore di luce che, pur presagendo la fine ormai prossima, sale in montagna a dipingere l’ultima, grandiosa opera. L’unico modo per sconfiggere la morte. La sua e la nostra.
Carmine Abate è nato a Carfizzi, un paese arbëresh della Calabria. Emigrato da giovane ad Amburgo, oggi vive in Trentino. Come narratore, ha esordito in Germania con Den Koffer und weg! (1984) e in Italia con Il ballo tondo (1991), cui sono seguiti raccolte di racconti e romanzi di successo. I suoi libri, vincitori di prestigiosi premi, sono tradotti in numerosi Paesi. Con La collina del vento (2012) ha vinto il 50° Premio Campiello.
Il suo ultimo romanzo è appunto “Il cercatore di luce”. (fv)

CARMINE ABATE
IL CERCATORE DI LUCE
Mondadori, Isbn 9788804737391

La scomparsa di Pietro Citati: il ricordo di Chiara Fera

Grande cordoglio nel mondo della cultura per la scomparsa di Pietro Citati, scrittore, saggista e fine letterato. Lo ricorda Chiara Fera, giornalista e autrice de Il libro invisibile di Pietro Citati edito da  Rubbettino e presentato a Roma nel 2018  da Giorgio Montefoschi (scrittore Premio Strega) e Piero Boitani (direttore letterario della Fondazione Lorenzo Valla e già docente di Letterature Comparate all’Università La Sapienza di Roma e di Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Cambridge).

«Il più grande scrittore dei nostri tempi – ha detto la Fera –.  Autore di brillanti articoli e saggi sui più importanti scrittori della letteratura mondiale, con la sua prosa giornalistica lucida e immediata ha compiuto il più straordinario del miracoli: riportare la letteratura lì dove è nata, tra la gente, avvicinando donne e uomini alla bellezza delle parole che raccontano la loro stessa vita e dimostrando che non può e non deve essere impolverata con tecnicismi accademici, né rinchiusa nelle aule universitarie o ridotta a pruriginoso sentimentalismo sulle terze pagine dei quotidiani. Il mio libro è una ricerca sulla sua straordinaria cifra stilistica che ha affascinato milioni di lettori nel mondo, sull’abilità di immedesimarsi nei grandi scrittori della letteratura mondiale, di insinuarsi nella loro individualità più intima per poi riemergere con incastri narrativi prima di lui inimmaginabili: autori e personaggi, romanzi e testi poetici sono stati spogliati, sviscerati e ricostruiti (o meglio, riscritti) con un ineguagliabile impulso narrativo che invade con prepotenza lo scopo critico dei suoi articoli, in cui autore e opera divengono protagonista e trama di un inedito romanzo critico».

Spiega Chiara Fera: «Appassionante la monografia su Fëdor Dostoevskij, scritta inavvertitamente e sorprendentemente sulle pagine culturali dei quotidiani, per lettori comuni, vincendo la faticosa sfida contro il reazionario elitarismo della letteratura. Per la sua intransigenza attirò diverse critiche. Ma faceva bene. Nella vita bisogna essere intransigenti. L’alternativa perseguita il nostro tempo: mollezza di spirito, superficialità d’animo, inconcludenza spaventosa. In uno dei nostri incontri mi disse: “Non badi alle chiacchiere che si fanno in giro, lasci perdere le mode del momento, i consigli improvvisati. Legga. Non deve fare altro che leggere, non solo per imparare a scrivere, ma per imparare a vivere”. Era austero, inscalfibile, aveva dalla sua la meraviglia della conoscenza sconfinata. Era il mare che arrestava la vanagloria del turbinio mediatico e gli elogi vacui e interessati dei pensatori del momento. Che riposi in pace, in uno dei tanti mondi che amava esplorare sulla sua poltrona giallo tenue, con un occhio rivolto alle parole e un altro alla mente fantasiosa»  (rrm)

Elsa di Angela Bubba

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Roma, giugno 2022. La città è asciutta. La bocca arsa. Trinità dei Monti una coltre di sole. Giugno è torrido sulla scalinata e anche altrove. Ho bisogno di un libro da leggere. Di pagine che voltate movimentano l’aria. Di una storia che mi trasporti altrove. Magari in un’isola. Passando per scogliere e mare blu.
Via del Corso, libreria Feltrinelli, Galleria Alberto Sordi (appena qualche settimana prima la chiusura dei battenti).

 La copertina è calda come Roma. Elsa è attraente. Angela Bubba, (Elsa – Ponte Alle Grazie, 2022), un’illuminazione sopra tutta la letteratura italiana.
Al Colosseo, il primo affondo. Poi altrove. Via del Babuino, Via dell’Oca, Basilica di Santa Maria del Popolo. Il ritorno in Calabria. La mia terra e la radice di Angela. È qui che mi inoltro con profonda devozione e rilasciamento, nella vita di Elsa Morante scritta da Bubba. Una lettura che mi raccomanda solitudine. Che è desiderio e godimento interiore. Procida è di fronte casa. Nei giorni di chiaranza la intravedo. Un punto a cui miro per non perdermi e non smarrire Elsa, a cui più passano i giorni più mi affeziono. Quasi mi affido. Conoscerla, è un desiderio antico. Conoscerla fino in fondo intendo. Fin dentro la pancia, nella testa, nelle pieghe dell’anima. Mi perfora il racconto di Angela. 

La sua scrittura è potente, ribelle, casta e assordante. Elsa non dà pace. Non ne ha. 

Irrompe nel sonno, corrompe al mattino. Turba e non risarcisce. Urge. Arde. Non un giorno di pioggia, tutto sole in questo viaggio intimo nella donna letteraria del ‘900.
Un volo il cui atterraggio è sempre stracolmo di urti. E dove fa male, dove rassetta il dolore. Irma, Elsa… Due madri diverse. Perché nessuna ha mai una copia identica. La prima compiuta, l’altra mancata (forse).
Augusto, Rolando, Arturo, la madrina… Il miagolio dei gatti e la gattara.
Elsa quasi sempre figlia e distrattamente madre. Madre irredimibile di Arturo. Un cuore grande quanto la sua isola. I battiti, le palpitazioni, gli arresti e le improvvise riprese. Le assenze assurde, quasi omicide.
Utilizzo come segnalibro, la sovracoperta, piccina piccina, de L’amata alla finestra di Corrado Alvaro. Una congiunzione che quasi mi disorienta, ma che avviene spontanea. Tengo entrambi i libri vicini, la raccolta di Alvaro è vecchissima, la copertina usurata. Elsa la tiene al riparo da ulteriori danneggiamenti tra le pagine di Angela che, tanto sapientemente l’accompagna, la sostiene, e si fa voce, e si fa incanto. Reincarnazione.
La vita di Elsa è millenaria. Ricca di appunti e di incontri. È “La storia”. La donna “menzogna e sortilegio”.
L’incontro con Alberto Moravia nel ‘36, il premio Viareggio nel ‘48.
Moglie e amante, scrittrice irrimediabile. Condannata al carcere dal demone sobillante della narrazione.
La perdizione con Luchino Visconti nel ‘50, l’incontro col poeta sopra ogni poesia nel ‘54. Pasolini, amicizia e sbattimento.
Premio Strega nel ‘57, lo sconfinamento del sogno nella realtà. 

Arturo, Procida, la meraviglia di tornare per sempre dove restare è l’idea, il progetto, al di là di ogni terrena emozione o condanna.

Angela Bubba accompagna Elsa Morante a fare a pezzi il mondo per ridargli vita. Soffre con lei. Vince, perde. Fa nodi e diventa una fune bagnata.
Il destino è pazzo, burlo. Quest’anno io Elsa e Angela siamo state proposte allo Strega. Il mio debole, però, era tutto per loro. Nonostante “io”. Sembrerebbe poco normale. Invece è normalissimo. È reale. Ed oggi che, con Angela Bubba, ho invaso, grazie all’eternità della letteratura, l’intimità di Elsa Morante, comprendo ciò che verso di loro mi calamitava. E anche il motivo per cui Angela Bubba non lo ha vinto, il Premio Strega. Elsa non era avvezza ai premi, ai podi, alle pose. Tra le pagine di Angela, il suo spirito forte e ardito, finalmente trova la pace a cui l’anima della Morante ha sempre anelato.
Non v’è definizione di spazi tra Elsa Morante e Angela Bubba.

 Esse sono una e una cosa sola.
“La fenice senza ceneri. Io. Elsa.” La spada.

ELSA, di Angela Bubba
Ponte alle Grazie, ISBN 9788833315294