SPADOLA (VV) – Una giornata dedicata alle fiabe per bambine e bambini

L’Hotel la Fontanella a Spadola, in provincia di Vibo Valentia, organizza per domenica 16 luglio: “Fiabe ed esperienze per Bambini e Bambine’ guidate da Chiara H Savoia, Attrice, Regista e Pedagoga di base a Milano.

Durante l’evento, verranno lette delle fiabe ai bambini, con lo scopo di incentivare l’ascolto e la partecipazione attiva alla lettura.

L’attrice Chiara H Savoia guiderà, nello spazio esterno dell’Hotel, gli spettatori, che saranno poi invitati a sperimentare e sviluppare le capacità creative che vengono espresse con la parola, con il disegno e con il corpo: pratiche espressive teatrali e percorsi di immaginazione guidata che inviteranno i partecipanti a fare un’esperienza creativa alla ricerca di parole e pensieri che li aiutino a parlare a se stessi e delle loro emozioni, attraverso le tematiche e il vissuto emotivo della fiaba. «Perdersi nei boschi della fiaba aiuterà i più piccoli a rielaborare paure e a esprimere incertezze».

Chiara H. Savoia inizia a fare teatro all’età di sedici anni. Dopo aver conseguito il diploma di maturità artistica sperimentale, si forma attraverso l’incontro con le sperimentazioni di Chiara Guidi, Alejandro Jodorowsky, Marcel Marceau, Barbara Friedrich, il Deutsches Institut Für Improvisazion di Berlino, Cathy Marchand e molti altri maestri, passando attraverso approcci al Kathakali indiano e il teatro NO giapponese.

Ha fondato la compagnia RadiceTimbrica Teatro nel 1996. Con la compagnia crea numerosi spettacoli rappresentati nella provincia di Milano e Varese, in Toscana, in Emilia Romagna, in Lombardia, in Piemonte e nel Lazio, spingendo la propria ricerca anche verso la performance e le letture sceniche. nel 208 la compagnia riceve la menzione speciale al festival Nuove Espressioni di Milano e nel 2009 vince ex-equo il concorso UP_nea con lo spettacolo ‘Ho il cuore dappertutto’.

Attrice nello spettacolo “Giuditta, un inno alla vita”, prodotto dal Teatro delle briciole di Parma, vincitore del premio Scenario Infanzia 2006.

Diplomata presso la Scuola di Formazione in Teatro Terapia diretta da Walter Orioli nel 2005, si dedica con passione alla conduzione di laboratori teatrali presso scuole e centri culturali. Tiene inoltre corsi di formazione per insegnanti, educatori, cantanti, team building aziendali.

Nel 2010 ha firmato la regia dell’opera lirica “Artemisia” di Francesco Cavalli al festival Herrenhausen di Hannover, e de “Il ritorno di Ulisse in Patria” di Claudio Monteverdi, rappresentato nel 2011 a Parigi (Citè de la Musique, 5me Biennale d’Art Vocal), Ratisbona (Velodrome, Tage Alte Musik), Amsterdam (Concertgebouw, Robecco Zomerkonzert), Stoccarda (Barock Festival).

Dal 2012 al 2017 lavora come assistente alla regia di Chiara Guidi della Socìetas Raffaello Sanzio nell’ambito dell’Accademia Drammatica e del Metodo Errante e negli spettacoli “Gola”, “La terra dei lombrichi”, “La cattedrale sommersa” (nei quali è anche attrice). Sempre per la Societas, è attrice nello spettacolo “Edipo”.

Nel 2016 apre il Teatrino Fontana a Legnano, in cui svolge il proprio lavoro di ricerca teatrale e in cui organizza i Piccoli Fuochi Fatui: incontri, performance, prove aperte e accadimenti fugaci, visioni private per piccoli gruppi di spettatori, nel tentativo di proporre un’alternativa culturale e una fruizione differente, attraverso eventi che difficilmente si ripeteranno.

Nel 2019 consegue la Qualifica di Educatore professionale socio-pedagogico. Grazie alla curiosità e a questo percorso poco lineare ha elaborato un approccio personale nei confronti della materia teatrale.
Al percorso teatrale, ha sempre affiancato la passione per la pittura e il disegno. Dal 2004 al 2010 lavora come pittrice per il gallerista Pierugo Mozzoni, nell’ambito del progetto artistico GASP!, partecipando a numerose mostre tra cui Immagine Arte Fiera di Reggio Emilia (2006), Arte Fiera di Bergamo (2007), Vicenza Arte (2007), Chiari e Geniali (2007). Illustra storie e video storie.

Il Programma prevede nella prima parte alle ore 17:00: ‘La traccia segreta’, un racconto evocato della fiaba di Hansel e Gretel, per bambini e bambine dai 4 anni in su, seguirà una merenda allestita nel giardino e alle 18:00 è prevista la seconda parte: ‘Specchietto, Favella’!, un racconto evocato dalla fiaba di Biancaneve, per bambini dai 7 anni in su, seguiranno esperienze di teatro e gioco.

Il numero dei partecipanti è limitato, il costo è di 10 euro e la partecipazione all’attività è in omaggio per i bambini con prenotazione della cena (ristorante o pizzeria).

Per info è possibile contattare i nn. 3357507145-3472990381 o mail a: info@hotellafontanella.it. (rvv)

TROPEA (VV) – A settembre il Festival della cipolla rossa

Contribuire a destagionalizzare ed internazionalizzare la destinazione Calabria attraverso una delle sue icone agroalimentari più apprezzate e riconosciute nel mondo, chiave del turismo enogastronomico. Era e resta questo l’obiettivo della Tropea Experience che, se l’anno scorso ha spostato le lancette dell’avvio dell’Estate di qualche mese prima, a cavallo tra aprile e maggio, quest’anno spingerà la bella stagione un po’ più in là. Il Festival della Cipolla Rossa sarà inaugurato alla vigilia dell’equinozio d’autunno e si terrà da venerdì 22 a domenica 24 settembre.

È quanto fanno sapere il Sindaco Giovanni Macrì ed il presidente del Consorzio della Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP Giuseppe Laria esprimendo soddisfazione per la conferma di questa preziosa collaborazione che porterà nel territorio tanti e prestigiosi ambasciatori di questo ingrediente importantissimo per l’economia di tutta la regione.

Il laboratorio esperenziale Le Mani in Pasta per imparare dalle signore del posto a preparare la fileja, la pasta fresca fatta in casa tipica della provincia di Vibo Valentia. I momenti di approfondimento scientifico sulle mille proprietà della Rossa di Tropea. L’educazione alimentare ed i percorsi ludico – ricreativi per i più piccoli. Il concorso rivolto agli studenti degli alberghieri calabresi che avranno la possibilità di essere giudicati dagli chef stellati protagonisti di questa nuova edizione con le loro ricette ed i cooking show in piazza Cannone.

Affiancati dagli chef calabresi Ercole Villirillo, Luigi Quintieri, Pierluigi Vacca, Giuseppe Romano, Enzo Barbieri, Francesca Mannis l’edizione 2023 de La Tropea Experience, vedrà il ritorno di grandi chef ed ambasciatori nel mondo dell’ingrediente principe della Dieta Mediterranea: da Igles Corelli che nella sua carriera è stato insignito di sette stelle dalla guida Michelin a Max Mariola, volto di Gambero Rosso Channel; da Hironiko Shoda, ambasciatore della cucina giapponese in Italia che torna a deliziare gli ospiti con la sua speciale ricetta della cipolla in tempura; a Francesco Mazzei, chef calabrese, uno dei migliori del Regno Unito, cittadino onorario di Tropea e tra i fondatori della Confraternita della Cipolla Rossa di Tropea; Antonino Esposito, maestro pizzaiolo e volto di Alice MasterPizza, talent show dedicato a uno dei prodotti più importanti e diffusi al mondo.

Con loro ci saranno quest’anno anche Cristiano Tomei, vulcanico chef dalle radici toscane, amatissimo volto televisivo e una stella Michelin e Celestino Drago, lo chef amato dalle star di Hollywood, pioniere della moderna cucina italiana nella west coast californiana. (rvv)

VIBO VALENTIA – Piano di Protezione civile, il consiglio comunale approva

Il consiglio comunale di Vibo Valentia, nella seduta di martedì, ha approvato all’unanimità dei presenti una pratica di fondamentale importanza per la gestione dei rischi, ovvero l’aggiornamento al Piano di Protezione civile comunale, tematica alla quale è stata data ampia priorità dal sindaco Maria Limardo e dall’intera amministrazione. Il Piano, redatto dall’ufficio tecnico sotto il coordinamento dell’assessorato ai Lavori pubblici, è stato illustrato in aula con una dettagliata relazione da parte dell’assessore al ramo Giovanni Russo.

«La redazione dell’aggiornamento – spiega l’assessore Russo – ha richiesto mesi di intenso lavoro da parte degli uffici, cui va il mio ringraziamento per essersi spesi ed avere approntato un Piano dettagliato e che risponde alle esigenze di sicurezza della collettività. Oggi Vibo Valentia è dotata di uno strumento previsto per legge ma che necessitava dei dovuti correttivi. Nel Piano è contenuta un’analisi delle tipologie di fenomeni che, nel territorio di Vibo Valentia, possono dare origine a scenari di rischio. A tal fine sono stati identificati quegli ambiti territoriali ove fenomeni naturali o antropici potrebbero causare effetti dannosi su popolazione, strutture o infrastrutture, tramite un’analisi di pericolosità sulle porzioni di territorio esposte a fenomeni potenzialmente dannosi. Le analisi di pericolosità e la definizione degli scenari di rischio hanno riguardato: rischio idraulico; rischio idrogeologico; rischio sismico; rischio maremoto; rischio incendi “di interfaccia”; rischio industriale».

Grande novità introdotta con l’approvazione dell’aggiornamento riguarda l’applicazione LibraRisk, scaricabile da ogni dispositivo mobile. Una piattaforma che opera su un duplice fronte: da una parte consente all’amministrazione di rendere disponibile per la popolazione il proprio Piano, sia nella parte geografica che descrittiva, e di attivare un canale di comunicazione diretto con i cittadini tramite un servizio di push notification pensato per dare informazioni di Protezione Civile, sia in tempo di quiete che in fase di allertamento o emergenza; dall’altra consente al cittadino di consultare il Piano in modo interattivo, e di fruire del servizio di push notification per essere sempre informati, tramite i messaggi inviati da LibraRisk o dal Comune in tema di Protezione civile, o di diffondere, tramite un sistema multi-canale (WhatsApp, mail, social network e sms anche con funzionalità di Piano Familiare), le notifiche ricevute e favorire così l’ampia diffusione delle informazioni. (rvv)

JONADI (VV) – Un campo scuola per imparare la protezione civile

L’Istituto per la Famiglia sez. 278 Jonadi (Vv), partecipa alla tredicesima edizione del progetto nazionale “Anch’io sono la protezione civile”, con un campo scuola riservato ai ragazzi dai 14 ai 16 anni, in programma dal 17 al 23 Luglio 2023 presso l’Ostello della Gioventù località Joppolo di Monte Poro, VV. Ionadi.

In un percorso di una settimana che alternerà esercitazioni pratiche ad attività ludico-ricreative e momenti di confronto didattico, i partecipanti avranno l’opportunità di conoscere Piani locali, Sistema Nazionale della Protezione Civile e Anti Incendio Boschivo. Il progetto è finanziato dalla Regione Calabria e patrocinato dal Comune di Joppolo (VV) con il Sindaco Giuseppe Dato e dal Comune di Jonadi (Vv) con il sindaco Fabio Signoretta.

I ragazzi avranno la possibilità di trascorrere un tempo di orientamento al volontariato, formazione e divertimento. Il progetto consente ai più giovani di acquisire consapevolezza e di farsi a loro volta veicolo di conoscenza tra coetanei e in famiglia attraverso la somministrazione dei moduli didattici previsti che andranno a riguardare il complesso universo della protezione civile, visto dal punto di vista sia delle strutture operative che da quello delle componenti istituzionali.

Il Campo scuola è stato per svariati anni realizzato con successo ed ha visto la partecipazione dei V.V.F.F. e delle Forze dell’ordine, disponibili a trasmettere ai ragazzi le nozioni base dell’attività inerente la protezione civile. La metodologia di tipo attivo permetterà il massimo coinvolgimento dei giovani in attività esplorative, di ricerca e di esercitazione.

Riferisce il Presidente Luigi Leone «Questo periodo epidemiologico ci ha insegnato che non possiamo prescindere dal coinvolgimento delle nuove generazioni nelle attività informazione e prevenzione rischi e catastrofi. E’ anche necessario che i giovani vengano addestrati ad essere di supporto in ogni necessità anche in caso di eventi imprevisti di natura ecologica».

L’associazione Ipf 278 è da oltre un decennio impegnata ad organizzare incontri formativi rivolti alla popolazione e a diffondere degli opuscoli informativi per ogni fascia d’età per delle situazioni tipo che possono verificarsi.
Tutto questo fa parte dello spirito altruistico cristiano che ci ha ispirati sin dalla fondazione dell’Istituto per la Famiglia da parte del Dott. Gilberto Perri, il quale ci ha trasmesso l’ormai famoso motto “Nel bene del tuo prossimo c’è il tuo bene”. (rvv)

VIBO VALENTIA – Rifiuti, bonus per chi conferisce rifiuti al centro di raccolta: la manifestazione d’interesse

«Ci sembra doveroso premiare con un contributo economico, sotto forma di rimborso, le utenze domestiche e non domestiche che si distinguono per la qualità della raccolta differenziata, poiché il senso civico della gran parte dei cittadini di Vibo Valentia ci ha permesso di raggiungere percentuali tra le più elevate in Calabria in tema di raccolta differenziata».

Così il sindaco Maria Limardo annuncia la manifestazione di interesse per le premialità ideata dall’assessore all’Ambiente Vincenzo Bruni col supporto degli uffici comunali. Si tratta di un sistema premiante per riconoscere un bonus ai cittadini che vorranno partecipare, destinato a chi utilizza i centri di raccolta comunali per le categorie di rifiuto che, non essendo previste nel calendario della raccolta porta a porta, inopportunamente vengono conferite nell’indifferenziato. La procedura prenderà avvio a breve, non appena, nell’arco di qualche settimana, verrà aperto anche il centro di raccolta di Bivona, cui potrà fare riferimento tutta l’area costiera di Vibo Valentia, in maniera tale da concedere a tutti i cittadini le medesime opportunità.

Il budget messo a disposizione è di 10mila euro (metà per utenze domestiche e metà per non domestiche). Il sistema prevede l’attribuzione di eco-punti in funzione della tipologia di rifiuto e dei kg conferiti ai fini della graduatoria, con la previsione di una soglia minima e una soglia massima.

«Il grande lavoro che ormai da quattro anni viene condotto sulla raccolta differenziata, ormai arrivata ad una media annua di oltre il 70%, e più in generale sulla tutela ambientale – afferma l’assessore Bruni – è frutto certamente di una attenzione particolare dell’amministrazione, ma senza la imprescindibile collaborazione del cittadino nessun traguardo è raggiungibile. Vibo ha imboccato un percorso di crescita che oggi ci consente addirittura di pensare a delle premialità. Lo stanziamento economico, ovviamente, rientra nei limiti delle disponibilità finanziarie, ma è un segnale che l’ente vuole dare nel riconoscere il senso civico e l’attenzione del cittadino ad un tema di così fondamentale importanza».

Tutti i dettagli del progetto, con il modulo per la domanda e la manifestazione d’interesse, saranno presto scaricabili dal sito internet del Comune alla sezione Ambiente, e i termini, si ribadisce, si apriranno al momento dell’apertura del Crc di Bivona. (rvv)

TROPEA (VV) – Installati defibrillatori in città

Bella e vivace con l’arcobaleno di origami e nastri colorati a salutare il passaggio dei suoi ospiti lungo le stradine del salotto diffuso e cardioprotetta con gli 8 defibrillatori che diventeranno presto 10, distribuiti nei punti strategici della città.

«Continuiamo a fare di Tropea – sottolinea il sindaco Giovanni Macrì – una destinazione turistico – esperenziale attenta alla cultura della prevenzione per tutta la comunità di residenti ed ospiti e capace di garantire un pronto intervento in caso di arresto cardiaco e, quindi, sicurezza, serenità, qualità della vita e del soggiorno».
Già da qualche giorno sono stati installati e sono operativi 8 dei dieci defibrillatori, già attivi e geolocalizzati sulla piattaforma Google Maps.

Alla Marina, sono stati installati nel Piazzale Rosa dei venti (spiaggia Rocca Nettuno), sul Lungomare (grotta tra lido Calypso e Costa degli Dei), su via Maurits Cornelis Escher (Arcate), in Piazza Vittorio Veneto (Farmacia Paparatti).

Nel Centro Storico i defibrillatori sono stati posizionati in Piazza Cannone; su Corso Vittorio Emanuele (vicolo alle spalle Bar Carbone); in Largo Duomo (ristorante il Normanno); su Largo Antico Sedile.

Un’altra postazione sarà disponibile ed operativa fino al 31 di agosto, al punto di salvamento in mare lungo la spiaggia del Mare Piccolo ai piedi dello scoglio dell’Isola. Un altro defibrillatore sarà in dotazione alla Polizia Municipale. (rvv)

TROPEA (VV) – Pupi Avati incanta il pubblico del Tropea Film Festival con aneddoti e invettive contro i “ruffiani”

La quinta giornata del Tropea Film Festival sfoggia ospiti di prestigio come i due pilastri della produzione cinematografica italiana degli ultimi cinquant’anni: il maestro Pupi Avati e la produttrice Alessandra Infascelli.
La programmazione ha preso il via con la formazione dei giovani aspiranti attori che hanno partecipato alla lezione “Let’s use our immagination” tenuta da Francesco De Vito interprete di Pietro Apostolo nella Passione di Cristo di Mel Gibson.

A seguire a Palazzo Santa Chiara la proiezione di tre corti fuori concorso prodotti dalla Mediano Film. Prima di domani della regista Giulia Zanfino con gli attori Walter Cordopatri, Mariadea Galiano, Stefania De Cola; Giuseppe Letizia – La mafia non uccide i bambini della regista Giulia Zanfino con gli attori Annalisa Insardà, Rino Rodio, Gennaro Bertucci, Luigi Cantoro e Salvatore Bonavita, Ci vediamo di là scritto da Valentina Gemelli e diretto da Giulia Zanfino e Mauro Nigro con l’interpretazione di Valentina Gemelli e Francesco Rizzi.

Dei sei cortometraggi in gara, quello decretato vincitore della prima edizione del Tropea Film Festival è stato The Delay di Mattia Napoli. Ad assegnare il premio è stata la giuria presieduta da Salvatore Romano (regista) e composta da Annalisa Insardà (attrice), Giulia Zanfino (regista), Walter Cordopatri (attore) e Roberto Giordano (musicista), che si è espressa con questa motivazione: “Idea originale, che si distingue per la sua struttura e per la sua messa in scena, sempre dentro al tema. Ottima regia che ben fotografa il soggetto dell’opera e ne dilata i tempi in modo appropriato. Un’estrema considerazione del tempo che passa, che ritorna e si perde, nel marasma di oggi in cui nessuno veramente sembra sentirsi in orario”.

Nel corso della premiazione in maniera del tutto inattesa l’iniziativa della produttrice Alessandra Infascelli che ha pubblicamente assunto l’impegno di visionare i lavori di tutti i giovani artisti che hanno partecipato alla gara: «È questo il sostegno che possiamo dare ai giovani. Prestare attenzione ai loro prodotti e dissuadere chi non dimostra di avere un talento autentico in questo settore».

Ferrara, anni Settanta. Pupi Avati è impegnato a girare Thomas e gli indemoniati. Il set è una chiesa sconsacrata. L’attesa per l’avvenente attrice selezionata ai casting di Milano è grande, ma si presenta una ragazza molto diversa. Non era alta, non era bionda, né particolarmente attraente. Il maestro, deluso, le chiede di accomodarsi fuori. Lei esce dalla chiesa e si siede su un muretto. Resterà lì fino a sera quando, alla chiusura del set, il regista se la ritroverà davanti. Quella caparbia aspirante attrice era Mariangela Melato ed è stato così che il maestro impressionato dalla sua determinazione, le ha dato una chance: dal canto suo la donna è riuscita ad incantare l’intera troupe alla prima interpretazione.

Ecco che le storie del grande cinema italiano hanno costellato la quinta giornata del Tropea Film Festival, cofinanziato dalla Calabria Film Commission, con conversazioni e testimonianze che hanno oltrepassato le transenne, fino ad entrare nell’intimo degli ospiti. Il maestro Pupi Avati, la produttrice di Febbre da cavallo Alessandra Infascelli, Luca Manfredi, figlio del celebre attore, si sono raccontati e hanno raccontato il cinema di ieri e di oggi. Il primo protagonista è stato Avati autore di grande respiro che, dal ’68 ad oggi ha girato oltre quaranta film.

«Il cinema è lo specchio di quello che siamo, di quello che siamo stati e di quello che potremo essere. Ci osserva, ci racconta, ci critica come solo un maestro sa fare». Sul momento critico del settore: «Il cinema riflette in modo puntuale il paese” spiega. “Raccoglie quello che suggestiona ed esalta. Un mondo in cui la meritocrazia è diventata l’ultimo elemento per valutare una persona. Questa società produce privilegi, tanto che quando si apre la finestra su un’ipotesi di opportunità si pensa ad un amico». Avati entra nel vivo di una delle piaghe che ha danneggiato e danneggia tutt’ora l’arte cinematografica.

«Il mediocre vuole persone da controllare. C’è questa catena di incompetenza che ho constatato nell’arco di sessant’anni di cinema. Ho incontrato persone inadeguate al ruolo che avevano, che definisco ruffiani». Quanto alla tensione sentimentale che lo ha spinto a raccontare la nostra società per decenni, Avati spiega il suo legame con l’humanitas di Roberto Rossellini. «Il tentativo di condividere emozioni, questa è la parte autentica. Io mi emoziono di fronte a una scoperta e con spirito rosselliniano avverto di volerla condividere con gli altri e lo faccio con il cinema e la scrittura. La missione di Rossellini è stata condividere una gioia, un’emozione. Un percorso che ho intrapreso molto tardi, perché ho vissuto i primi decenni della mia vita impegnato in un progetto musicale. Il giorno che ho lasciato la musica, quando ho scoperto che non disponevo del talento per fare il musicista, è stato doloroso. Una sera ho convocato alla fine di una prova i miei amici con cui condividevo quell’avventura per comunicare che smettevo di suonare, nessuno di loro ha detto di no. Nessuno ha insistito a farmi cambiare idea».

A proposito di talento, dopo l’amara riflessione il regista spiega il suo metodo. «Per capire se i giovani hanno talento devi metterli alla prova. Dandogli in mano un testo, facendoli cimentare in un monologo. Ognuno dispone di un talento. Ma quando replicano: tanto io ho un piano B, trovo una risposta scadente. Una volta non avevamo paura. Più i sogni sono grandi e improbabili e più è possibile che si avverino. Io vendevo il pesce surgelato, ero distante anni luce dal cinema. Come potevo immaginare che avrei fatto 54 film? La fortuna non ha ruolo in questa vicenda».

Il maestro fa un accurato distinguo nella sua categoria spiegando che, a suo parere, ci sono due tipi di registi: «Quelli che producono per essere riconosciuti e quelli, come me, che invece lo fanno perché sentono l’esigenza di raccontare un’esperienza vissuta. Appartengo alla cultura contadina che racconta sempre» ci dice. E aggiunge: «Se racconto sto generando vita, sono come una donna incinta che ha un cuore che batte dentro al ventre. La storia è vita. Produce un’infinità di coinvolgimento di persone».

Avati si sofferma in una goliardica performace in cui tratteggia una conversazione avuta con Edwige Fenech. La proposta di farle interpretare un suo film, al telefono, la commuove al punto che scoppia in lacrime. «Scopri come dare gioia sia più bello di ricevere gioia». Il regista racconta la parabola che lo ha portato a varcare la soglia di Cinecittà, divenendo uno dei riferimenti italiani più noti e talentuosi. «Nel ’68 vendevo pesce surgelato» ricorda.

«8½ di Fellini mi ha cambiato la vita. Come è accaduto a tante altre persone. Questo fa capire le potenzialità del cinema. All’epoca sono corso dai miei amici al Bar Margherita e ho proposto di provare a fare un film. Iniziò un’avventura con il coinvolgimento di un finanziatore a cui hanno fatto “perdere” 170 milioni per la produzione del primo film, che Avati ebbe il coraggio di definire come una prova per ottenere altri 110 milioni per il secondo, Thomas e gli indemoniati. Neanche questo fu un successo».

Pupi Avati, dal Tropea Film Festival, ha ricevuto il Premio alla Carriera, realizzato dal maestro orafo Michele Affidato, e consegnato a Palazzo Santa Chiara dal Commissario di Calabria Film Commission, Anton Giulio Grande. L’impegno è quello di sdoganare la narrazione di queste terre da preconcetti e luoghi comuni:
«La Film Commission – esordisce – si sta impegnando per cambiare il trend produttivo della Calabria spesso stereotipata e raccontata come una terra di ’ndrangheta. Punta molto sull’attrattiva del turismo e sulla cultura che questa regione è in grado di esprimere. Si stanno avvicendando tantissimi set, circa cinquanta su 124 richieste, dove si narrano delle storie e un racconto cinematografico diverso dal solito cliché celebra la bellezza paesaggistica delle nostre suggestive location a cielo aperto».

Sul sostegno da accordare ai giovani autori emergenti e le nuove produzioni: «Abbiamo un database molto corposo e i nostri bandi sono aperti a tutti, a registi consolidati ed emergenti, a chi si vuole occupare di film, di documentari, di serie televisive su piattaforme. Un set aperto a chi vuole realizzare prodotti di qualità».
Sulla crisi creativa del cinema attuale: «La crisi dipende dal periodo pressapochista che stiamo vivendo. Dovuta soprattutto all’improvvisazione. Serve lo studio, la conoscenza del passato per scrivere una nuova pagina della cinematografia. I giovani talenti devono studiare e avere l’umiltà di attingere al passato dai grandi riferimenti intellettuali che hanno fatto la storia».

Celebrata anche la figura del grande Nino Manfredi, uno degli artisti italiani più iconici di sempre. Con i suoi cento e più film, per il grande e piccolo schermo, è riuscito a stupire, emozionare, far ridere e commuovere, entrando nelle case di tutti gli italiani con la naturalezza di un amico di famiglia. Il racconto è stato affidato al figlio dell’attore romano, Luca Manfredi che nelle pagine del libro Un friccico ner core. I cento volti di mio padre Nino pubblicato da Rai Libri, offre ai lettori uno scorcio inedito, privato, intimo dell’artista. Al centro della narrazione c’è un rapporto sofferto e complicato: «È stato un padre assente, sempre occupato sui set. Quando era a casa, si chiudeva nel suo studio con gli sceneggiatori. Il merito di portare avanti la famiglia è di mia madre Erminia, che ha sopportato e perdonato le sue varie “scappatelle”: ne ha fatte di cotte e di crude» dichiara durante la conversazione con Antonio Ludovico: «Abbiamo recuperato il rapporto in seguito, cominciando a lavorare insieme» aggiunge snocciolando poi una serie di aneddoti sulla condotta di Nino, all’anagrafe Saturnino Manfredi, sul set: «Era un perfezionista. Qualcuno lo definiva un orologiaio. Era un attore molto avanti rispetto agli altri. Artigiano della recitazione. Cesellatore del copione, sempre alla ricerca della battuta migliore fino al momento prima che partisse il “motore”».

Lo dipinge come un uomo orgoglioso che non sapeva mai chiedere scusa, con le radici ben impiantate nel mondo contadino della Ciociaria: «Mio padre si è fatto interprete della “perdenza”, dei personaggi sconfitti dalla vita, degli ultimi. Personaggi che cercano riscatto. Una sorta di collegamento con le sue origini contadine». Un uomo semplice, che non faceva troppi giri di parole, molto schietto al punto da non trattenersi dall’esprimere il proprio giudizio neppure di fronte al Papa: «Un giorno fu invitato in Vaticano, nell’appartamento di papa Giovanni Paolo II, per assistere alla lettura di una delle sue drammaturgie giovanili, La bottega dell’orefice. Alla fine della lettura, tutti i presenti si sperticarono in applausi e complimenti, in modo probabilmente eccessivo anche per lo stesso Wojtyla che rimase un po’ perplesso davanti a questa reazione. Perciò si rivolse a Nino e gli disse: “Manfredi, lei che ne pensa di questa commedia? Le è piaciuta?” Nino lo guardò con il suo sorriso e gli disse: “Santità, penso che abbia fatto bene a cambiare strada perché temo che come commediografo non sarebbe mai arrivato in alto come sta adesso”».

In qualche passaggio dell’intervista condotta da Marilù Simoneschi e Lorella Ridenti si è percepito un velo di malinconia: «Mi è mancato un padre amico e complice. Cerco di non commettere lo stesso errore con i miei figli. Cerco di non essere assente perché io ho sofferto per la sua mancanza. Non è mai venuto a vedere una mia gara di canoa».

A mettere il sigillo alla serata presentata da Linda Suriano e Andrea Santonastaso, è stato il concerto della pianista Gilda Buttà e il violoncellista Luca Pincini sulle musiche di Ennio Morricone. (rvv)

TROPEA (VV) – Al Film festival il ricordo di De Seta e la dura vita degli stunt-man

A scrivere la quarta pagina del Tropea Film Festival è stata la condivisione e la memoria. La condivisione di idee e progetti di una nuova ed emergente generazione di attori e registi e il ricordo di uno dei più grandi autori della storia del cinema mondiale, Vittorio De Seta, celebrato più volte dallo stesso Martin Scorsese che lo ha sempre ritenuto suo maestro.

Un intenso pomeriggio dedicato al mondo del cinema ha preso avvio con la formazione attoriale a cura della Scuola di Recitazione della Calabria diretta da Walter Cordopatri. La lezione è stata affidata a Paolo Asso, insegnante di recitazione, che ha argomentato su “L’obiettivo dell’attore”.

A prendersi la scena, poi, è stata la brillante e dinamica creatività dei giovani registi Andrea Belcastro e Sara Serinelli che hanno presentato al pubblico del Festival i loro cortometraggi, entrambi in concorso.

Lo sport nazionale prodotto da Lago Film con il sostegno di Calabria Film Commission, è stato girato interamente a Cosenza. Narra con originalità e ironia la ludopatia, una tematica che il disagio di un’intera generazione, quella dei trentenni di oggi, che ormai in maniera cronica si ritrovano senza lavoro e senza reali prospettive sul futuro e che, dunque, spesso cercano una “facile” via d’uscita. In questo caso la ricerca ossessiva del sistema perfetto delle scommesse calcistiche. Il messaggio del cortometraggio alimenta il sentimento della speranza: quando il protagonista, Alessio, capirà che tutti i suoi sforzi sono vani, finirà per mettersi nei guai coinvolgendo i suoi genitori e il suo migliore amico in una pericolosa truffa. Un lavoro che viene accostato alla commedia all’italiana, un genere poco frequentato nel mondo dei cortometraggi ma che ha consentito di raccontare tematiche importanti con una ironia imprescindibile in questo periodo storico senza, però, rinunciare a un certo formalismo estetico. Ci sono anche altri aspetti che permettono di sostenere questa tesi in quanto il cast è molto ampio e la struttura in tre atti, si può parlare quasi di un film in miniatura frutto di un lunghissimo lavoro di scrittura.

Tredici a tavola è un’opera divertente e spiritosa sulle credenze e le tradizioni popolari del nostro Paese. Il racconto si sviluppa interamente durante una cena di famiglia quando l’anziana padrona di casa è costretta a mettere da parte controvoglia le sue superstizioni per accogliere il 13 ospite a tavola. Accadrà di tutto e alla fine l’ospite indesiderato viene fatto sedere all’angolo. Il raduno della famiglia in un momento di convivialità non è solo un riferimento ad una consuetudine degli italiani, ma anche un richiamo all’arte. Qualche similitudine si potrebbe ritrovare ad esempio in “Ragazzo morso da un ramarro” e in “Cena in Emmaus” di Caravaggio. E ancora nell’”Ultima cena” d i L. Da Vinci e nell’atmosfera del film “Amarcord” di Federico Fellini.

Riflessione letteraria con libro che celebra la figura di Vittorio De Seta e ripercorrere la straordinaria eredità lasciata dall’autore, custodita per anni a Catanzaro, dalla “Cineteca della Calabria”. E non poteva che essere il regista Eugenio Attanasio, allievo legato da una profonda amicizia al grande maestro, a essere ideatore, custode e promotore di un’opera necessaria, quanto preziosa. Dalle pagine del libro “Vittorio De Seta. Lettere dal Sud”, presentato nella quarta giornata del Tropea Film Festival, manifestazione cofinanziata dalla Calabria Film Commission, affiora quel mondo perduto che lo ha reso immortale. La pesca del pesce spada, il rito di Santa Maria del Carretto, ma anche lettere inedite che raccontano il maestro sotto una luce più intima e sconosciuta. Un volume che raccoglie testimonianze della figlia Francesca e della nipote, Vera Dragone, attrice e cantante.

Un affresco di uno dei più grandi registi del mondo, ecclettico, profondo, capace di un punto di vista irripetibile, celebrato da Moravia e Pasolini. A dialogare con Eugenio Attanasio, nel corso della presentazione, il giornalista Luigi Stanizzi, il regista Domenico Cosco, anche lui allievo del maestro e direttore della Casa del Cinema di Catanzaro e l’amico e medico della famiglia De Seta, Domenico Levato. Lo stesso Levato ha dato un contributo personale al libro ed è consigliere della Cineteca della Calabria.

«Il rapporto di De Seta con la Calabria è molto conflittuale. Nel libro si parla anche delle origini del maestro. Nasce a Palermo da una famiglia calabrese, nobili originari di Belvedere Marittimo che si trasferiscono nel catanzarese nella metà dell’Ottocento. Il nonno diventa uno dei primi sindaci di Catanzaro che dà nuova veste alla città» spiega. Il dibattito si accende e scende in profondità, esplorando quanto De Seta sentisse le sue radici calabresi. «Quello con la sua terra è un rapporto molto forte» aggiunge «ritrovato nell’età della maturità quando da Roma si trasferisce a Sellia Marina, si riappacifica con il suo mondo, con i contadini che lui aveva ripreso negli anni Cinquanta e ritorna al cinema nella seconda fase girando anche in Calabria (lettere dal Sahara è un’opera scritta nella tenuta di Sellia Marina)».

L’autore del libro sottolinea il valore dell’opera, legato anche al rapporto molto forte e molto importante che De Seta aveva con la Calabria. «De Seta è un intellettuale del Sud, uno degli ultimi meridionalisti. Ci è sembrato doveroso dedicargli questa pubblicazione che raccoglie anche corrispondenza e materiale inedito di De Seta e su De Seta. Ho avuto la fortuna di averlo come maestro ed è stato un punto di riferimento anche in quello che abbiamo realizzato dopo. Anche la Cineteca della Calabria è nata in virtù di una sua lezione».

Il regista ricorda «quell’amore per il cinema e la voglia di riscoprire un cinema intimamente legato al territorio. Il territorio legato alla cultura calabrese voleva dire la civiltà contadina, proprio quella che era stata oggetto di rivalutazione e di riscoperta grazie all’opera di grandi intellettuali come Luigi Lombardi Satriani. Il regista ma anche l’uomo. Chi lo ha conosciuto sa che era un uomo difficile, volubile, complesso, molto in conflitto con se stesso. Proveniva da una famiglia nobile ma lui aveva aderito al marxismo. In questo conflitto esistenziale era nata poi questa figura di grande poeta contadino. Ha dato moltissimo sia al cinema che alla cultura nazionale».

“Un uomo a servizio del cinema”. Il regista Cosco ricorda il suo maestro con un aneddoto affettuoso mentre nell’impresa di girare Banditi a Orgosolo, opera pionieristica nella diffidente Sardegna pastorale degli anni Sessanta. De Seta portava a spalla cavalletto e telecamera, inerpicandosi tra le vette e i pendii dell’isola. «Un uomo che ha saputo raccontare un cinema che poi si è fatto negli anni un po’ troppo borghese, consolatorio» prosegue Cosco, e conclude «De Seta è riuscito ad arricchire il cinema italiano con uno sguardo che nessun autore è più stato capace di recuperare. Mi riferisco a quella parte che il neorealismo era riuscito a stendere e tratteggiare. Oggi è impensabile che un regista, sul set, prenda a spalla un cavalletto».

Nelle risposte alle domande della platea, Attanasio ha tracciato la parabola della riflessione esistenziale che si rispecchia nella produzione cinematografica dell’autore. «Quello di De Seta resta sempre un cinema moderno, perché ha l’umiltà di porsi come strumento di conoscenza e non solo come punto di arrivo. Oggi i ragazzi si illudono che conoscendo il mezzo tecnico si può fare cinema. Per fare del cinema devi fare delle esperienze, altrimenti non le puoi raccontare». Tra gli obiettivi, quello di custodire e diffondere il patrimonio del maestro. «Le sue opere circolano. Le ha la Cineteca di Bologna e la Filmoteca Siciliana». E spiega: «Noi come Cineteca della Calabria abbiamo voluto dedicare gran parte del nostro lavoro alla sua produzione cinematografica. Per primi, nel 2001, abbiamo ristampato i suoi documentari in 35 millimetri e li abbiamo anche digitalizzati. Prima delle edizioni di Feltrinelli le uniche copie in digitale a circolare erano quelle della nostra Cineteca. Non è detto che faremo una nuova digitalizzazione, magari in 4k, per riportarli allo splendore originale. È un lavoro stimolante perché da tutto il mondo ci hanno visto come punto di riferimento. Abbiamo portato i suoi lavori anche in Argentina, all’estero».

Il grande impegno di Eugenio Attanasio lo ha reso un riferimento mondiale per conoscere e accedere ai lavori del maestro De Seta. Una responsabilità che il regista ha accolto con entusiasmo, impegno e grande spirito di abnegazione. Sentimenti che sottendono l’affetto che ha legato per anni il maestro al suo allievo calabrese.

Tradizionalmente chiamati “cascatori”, sono stati gli stuntmen a chiudere i lavori della quarta serata del Tropea Film Festival, che ha ospitato due storici professionisti del campo. Così Marco Stefanelli e Massimo Vanni hanno acceso i riflettori dietro le quinte dei grandi film d’azione della nostra storia. Voli acrobatici, risse memorabili, inseguimenti rocamboleschi, salti tra un grattacielo e l’altro, fughe. La produzione cinematografica mondiale è costellata da scene mozzafiato, rimaste nella storia come spettacolari. Ma spesso a realizzarle non sono gli attori protagonisti, ma le loro controfigure. Uomini e donne che nella vita hanno scelto un ruolo nel cono d’ombra, perché presta il corpo per arrivare dove gli attori non potrebbero arrivare. In passato gli stuntmen erano anche “caratteristi”. Attori che riuscivano a interpretare scene acrobatiche. Sergio Leone ne ha valorizzato le doti in molti dei suoi film, mentre oggi lo scenario è cambiato e ha relegato questo mondo a quello delle controfigure tout court. E nell’incontro di ieri, presentato da Andrea Santanastasio, i due ex stunt, oggi maestri d’armi, hanno dialogato con il giornalista Paolo Di Giannantonio. Con il contributo dell’attore e direttore della Scuola di Recitazione della Calabria, Walter Cordopatri. Figlio del noto maestro d’armi e attore che ha lavorato ai western di Leone, Benito Stefanelli, Marco spiega quanto sia importante essere preparati per poter interpretare in tutta sicurezza il ruolo di controfigura in scene ad alto rischio.

«Nel nostro lavoro l’allenamento e la professionalità sono essenziali. Solo così si può lavorare in sicurezza”. I due maestri ricordano il passato da stuntmen, nei film di Bud Spencer e Terence Hill. Massimo Vanni ricorda quei set e le giornate passate a preparare le scene delle risse nei bar di quei film che hanno accompagnato intere generazioni. “La scena più difficile che ho girato» ricorda Vanni «è stata in un film con Giuliano Gemma, uno degli attori più bravi a lavorare senza controfigure. Ero sul tetto di un palazzo molto alto e lui mi teneva sospeso nel vuoto. Sotto non c’erano protezioni. È stata un’esperienza incredibile!».

Nel corso della serata, a intervallare il dibattito, le esibizioni canore di Demetra. E mentre le pellicole di Mucchio selvaggio, Bulldozer e Roma violenta scorrevano sullo schermo, i maestri d’armi hanno ringraziato gli organizzatori. «Non capita spesso di poter testimoniare la nostra esperienza al pubblico. Di solito siamo sempre dietro le quinte». (rvv)

TROPEA (VV) – Al film festival si discute di cinema indipendente

La manifestazione che sta calamitando l’attenzione di tutti i cinefili e gli amanti della bellezza e del bién vivre continua a proporre con successo gli appuntamenti del variegato carnet, sulla scia dell’intrattenimento ma anche della riflessione critica su tutto ciò che ruota intorno al mondo del cinema attuale, attraverso gli interventi dei protagonisti del grande schermo come Ettore Bassi, Saverio Vallone e Giorgio Colangeli.

Si conferma l’interesse per gli approfondimenti formativi curati dalla Scuola di Recitazione della Calabria diretta da Walter Cordopatri. Quello inserito nella programmazione della terza giornata della kermesse è stato incentrato su “Scherma e lotta scenica”. In cattedra il maestro Renzo Musmeci Greco, docente di scherma scenica. Dopo la lezione ospitata dall’Antico Sedile dei Nobili, gli allievi sono stati anche protagonisti di un flash mob nello spazio del suggestivo affaccio Raf Vallone, durante il quale hanno messo in scena la simulazione di un duello con interpretazione che richiama i “faccia a faccia” del 1500.

Poi in sala, a Palazzo Santa Chiara, per assistere alla proiezione di due cortometraggi in concorso.
Due generi diversi: Dark Compost della regista Alice Tamburrino con l’interpretazione dell’attrice Elena Stefanuto, un thriller e dark comedy, girato a Roma in cui la violenza e la morbosità che spingono una donna a commettere un rapimento e a tenere condotte crudeli fino all’esasperazione, pongono la riflessione sulla pericolosità dei rapporti malati.

Un thriller psicologico, invece, Inchiostro, scritto e interpretato da Marco Gistri con la regia di Armando Di Lillo e la partecipazione in post produzione di Paolo Guerrini. L’opera girata in Toscana racconta la storia di Francesco che vive nascosto da anni all’interno della sua camera da letto sommersa da fogli su sono impresse con l’inchiostro nero parole che riportano il protagonista indietro nel tempo. Nell’intimità di questo spazio angusto, l’uomo vive la sua inquietudine sulle tracce indelebili lasciate dall’inchiostro, esattamente come possono fare i giudizi e i pregiudizi.

L’attore Saverio Vallone, ospite del Tropea Film Festival, si racconta. Figlio del candidato al premio Oscar Raf Vallone, celebre per le sue interpretazioni nei film di Alberto Lattuada e Giuseppe De Santis, per il ruolo del cardinale Lamberto nel terzo atto del Padrino, capolavoro di Francis Ford Coppola. Vallone junior non ha seguito subito le orme del padre. Il figlio d’arte di una vera e propria icona del palcoscenico ha esordito nel mondo dello spettacolo dietro la macchina da presa. «Ero assistente di Pasqualino De Santis, premio Oscar per la fotografia. Poi ho cominciato a lavorare con il teatro Stabile di Palermo, per conto mio, poi con mio padre, cercando comunque di lavorare in modo indipendente. Con mio padre non c’è mai stato confronto, perché il suo livello era altissimo. È stato, tra l’altro, candidato al premio Oscar per la sua interpretazione nel film Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet. E questo, pur non facendo scattare la molla della competizione, mi ha spinto a dare sempre il massimo. A teatro ho lavorato con Arnoldo Foà, con Vittorio Gassman, con mio padre. Poi anche nel cinema con Bolognini, con Scola cercando di tenere alto il livello della professionalità. Oggi curo laboratori di teatro».

Sul rapporto con la città di Tropea che ha dato i natali a suo padre, Saverio Vallone ha espresso sentimenti di affetto. «C’è un legame fortissimo, anche se mio padre si è spostato a Torino e, in seguito, in tutto il mondo. Era sempre molto felice di tornare nella sua città di origine e mi ha trasmesso questo attaccamento. Vengo molto spesso, faccio parte del consiglio comunale e sono molto legato alla Calabria, in generale».

Dal padre ha ereditato l’amore per la natura e l’attenzione al dettaglio, la capacità di sapersi guardare intorno. «Mio padre mi ha trasmesso l’amore per lo sport, la natura, l’avere cura di me. Per essere forte, indipendente e avere la tempra del guerriero».

Altro protagonista del Tropea Film Festival è l’attore Ettore Bassi. Definito un artista poliedrico, capace di spaziare dai programmi per bambini alla fiction, dal teatro al cinema, è oggi impegnato a portare sui palcoscenici di tutta Italia la coraggiosa vicenda di Angelo Vassallo, sindaco pescatore del Cilento, freddato dai clan per le sue battaglie contro il malaffare. «Da sette anni porto in scena questa storia, con grandissima soddisfazione».

Ripensando alla parabola di una vita professionale intensa, Bassi confessa di avere un debole per il suo esordio. «I programmi per bambini sono stati un’esperienza bellissima, nella quale mi sono divertito molto e ho anche avuto modo di sentire un po’ quell’atmosfera di contatto e crescita per il pubblico dei piccoli. Averli in studio, creare con loro un rapporto, è stato molto bello. E oggi, dopo anni, mi fermano ragazzi e ragazze grandi e mi dicono di essere cresciuti con le mie trasmissioni. Questa cosa mi piace molto».

Da allora ad oggi sono passati vent’anni. E dopo il grande successo, l’attore ha fatto un percorso. «Si cambia ed è naturale. Il successo stesso cambia, ci sono ondate, ci sono movimenti. Prima, da giovane, avevo un altro modo di vivere le cose. Oggi a cinquant’anni posso dire che ne ho viste tante e, il mio trascorso, ha cambiato il mio modo di affrontare le cose». Spesso però, il mondo patinato dello spettacolo, può essere ingrato. E riservare momenti grigi anche alle carriere più brillanti.

«In un percorso di vita e di lavoro, come il nostro, ce ne sono di momenti grigi. Però l’importante è riuscire a trovare una prospettiva, una strada presso cui proiettarsi e creare movimento, così le cose poi accadono».

Nonostante tanti anni fa si sia trasferito a Roma, per motivi di lavoro, è rimasto legato al suo Sud. Tanto che oggi vive in Puglia. Di recente Bassi ha girato alcune fiction ma, tendenzialmente, questa è una fase professionale in cui il teatro è centrale. «Ho un progetto teatrale pronto, Trappola per topi di Agatha Christie, continuo a portare nei teatri la vicenda di Angelo Vassallo, avrò qualche data anche con Il mercante di luce, lo spettacolo tratto dal libro di Roberto Vecchioni con il quale ho debuttato quest’anno e che anche si è rivelato uno spettacolo di fortissimo impatto emotivo. Quindi sono molto contento di come stanno andando le cose”. Era il 1992 quando, quasi per caso, è stato eletto Il più bello d’Italia. “Quella fu un’avventura molto divertente, vissuta in totale inconsapevolezza, proprio perché io andai lì per fare il concorrente prestigiatore. Andaì lì, scoprendo che poi il terzo giorno c’era la sfilata per la votazione del più bello d’Italia. E mi ritrovai con lo scettro e la corona. Era un’altra fase, ero un’altra persona».

Spettacolare, conturbante, misterioso. Il fascino del cinema del passato ha riecheggiato tra le mura di Palazzo Santa Chiara, nella serata di chiusura della terza giornata del Tropea Film Festival. Cinema indipendente: il caso Italia è stato il tema al centro del dibattito, introdotto da Andrea Santonastaso. Ospiti del confronto, l’attore Ettore Bassi, il regista Fabrizio Giordani, gli attori Giorgio Colangeli e Saverio Vallone, lo scrittore Antonio Ludovico e il maestro di scherma Renzo Musmeci Greco. A moderare l’incontro, il giornalista Poalo Di Giannantonio.

La discussione è stata intervallata dall’esibizione canora di Martina Difonte. «Il cinema non ha più quel senso e quel posto nella nostra società. Prima gli attori erano come le divinità dell’Olimpo, difficili da raggiungere. Si provava venerazione per loro e questo consentiva loro di veicolare dei messaggi importanti», ha spiegato Giorgio Colangeli.

«Manca una società a cui gli sceneggiatori possano parlare. È difficile raccontare un mondo che si auto-omologa”, ha concluso. Non sono mancate le riflessioni sul cinema indipendente, un tempo pionieristico, un azzardo difficile da portare a compimento. “Oggi i giovani registi lavorano grazie alle piattaforme» spiega Giordani «perché la fruizione è cambiata, offrendo grosse opportunità. In passato l’indipendenza era una strada molto più difficile da perseguire». Ci si è poi soffermati sull’importanza dei finanziamenti pubblici, oggi spina dorsale della produzione cinematografica italiana. Come nel caso della pellicola Promessa d’amore, girata da Giordani nel 2004, con un giovanissimo Ettore Bassi nei panni del protagonista. La diffusione dell’opera, proiettata proprio ieri pomeriggio, però, è avvenuta a distanza di vent’anni. E non c’è mai stata un’uscita in sala. «Avevamo ottenuto i finanziamenti pubblici e avevamo un produttore molto giovane. Il Ministero ci aveva concesso anche i soldi per la distribuzione, che però poi non furono stanziati. Il produttore decise di fare causa al Ministero: cosa impensabile. Il film, a causa del contenzioso in atto, fu condannato a restare bloccato». (rvv)

TROPEA (VV) – Suggestioni nella seconda giornata del Tropea film festival

Seguendo il suo scopo principale, l’iniziativa diretta da Emanuele Bertucci anche nel secondo atto ha avuto avvio con un focus sulla formazione attoriale curata da Giorgio Colangeli, vincitore nel 2007 del David di Donatello come migliore attore non protagonista nel film L’aria Salata. In contemporanea si è tenuta la lezione per le maestranze del cinema all’interno di Palazzo Santa Chiara che ha poi ospitato la proiezione dei cortometraggi.

Dopo gli short movie fuori concorso della giornata inaugurale, si è entrati nel vivo della competizione con il lancio di due opere: The Delay di Mattia Napoli e La sedia sul mare di Elisa Faccioni. Entrambi i registi hanno presentato i propri lavori al pubblico spiegandone la genesi e le peculiarità.

The Delay è un racconto che segue la storia di Arturo, un uomo che viene coinvolto in un evento imprevedibile chiamato “fuori sync”, che lo fa uscire dai binari del tempo come lo conosciamo. Questo evento stravolge completamente la sua vita. Ciò che sembra essere un’incredibile limitazione si rivela però un’opportunità per osservare la realtà da una prospettiva completamente nuova. È stato girato interamente a Torino e ha vinto la 18esima edizione di Cortinametraggio.

La sedia sul mare ha vinto il Premio Mamma Roma come Miglior Cortometraggio paragonato dalla critica come “il principio di un racconto di Hemingway”. Girato in Sicilia, il piccolo film racconta la storia di un uomo estraneo al caos cittadino, che ritrova la pace soltanto nella nostalgica contemplazione dell’orizzonte quando siede in riva al mare. La sedia sul mare altro non è che una semplice rappresentazione di chi sa solo bearsi e soffocare nei ricordi di una vita passata. Di chi pensa a come sarebbe stato per evitare di pensare a ciò che è realmente. Antonio è un anziano pescivendolo del mercato di Catania, da che ne ha memoria è un uomo scontroso, intollerante e col tempo, divenuto solo.

A illustrare la modalità di selezione dei corti per l’accesso a questa prima edizione del Festival, è stata l’attrice Valentina Gemelli in qualità di curatrice della sezione. Per i tempi stretti, infatti, non è stato possibile emanare un bando, bensì sono state contattate direttamente le distribuzioni e le produzioni chiedendo espressamente la proposta di opere prodotte nel 2022. Non c’è un tema comune a legare i sei film in gara, tra cui, è stato inserito anche un lavoro cofinanziato dalla Film Commission Calabria. Le opere sono rappresentative di quasi tutto il territorio nazionale, dalla Toscana, Sicilia, Lazio, Piemonte e Calabria.
Fino al 29 giugno sullo schermo di Palazzo Santa Chiara scorreranno le immagini dei corti selezionati per poi arrivare venerdì 30 alla proclamazione del vincitore da parte della giuria tecnica presieduta da Salvatore Romano.

Stimolante l’incontro con un ospite d’eccezione, Annalisa Insardà, attrice, doppiatrice, insegnante di recitazione e conduttrice calabrese. Un vero talento capace di vedere l’arte nella sua più profonda forma intellettuale, schierata sui temi della giustizia sociale. Con un curriculum professionale di assoluto prestigio, ha recitato per il cinema e per fiction di successo. In un dialogo con Valentina Gemelli ha spiegato cosa significa nel contesto attuale svolgere il lavoro dell’attore, una professione che non si può improvvisare: «Il talento non basta. Serve un percorso di formazione che possa dare agli attori gli strumenti per diventare interpreti della condotta sociale», riconoscendo un ruolo di responsabilità in chi comunica stando sul set. «Sarei – ha aggiunto – per la creazione di un albo degli attori perché la formazione è struttura, oltre che cultura».

Sul suo approccio alla sceneggiatura ha raccontato: «Dopo essermi cimentata nella scrittura cinematografica, riconosco di non avere quelle competenze. Scrivere per il cinema richiede delle abilità specifiche che non hanno neppure tutti gli scrittori. Bisogna avere rispetto dei ruoli e fidarsi dei registi».

Sul valore pedagogico e terapeutico di guardare le pellicole in sala: «Il cinema resta una suggestione collettiva insostituibile. Credo che in ogni città ci dovrebbe essere una sala sempre aperta ad accogliere gli spettatori, quasi come fosse un ospedale, con le proiezioni mandate a rotazione continua. Perché il cinema cura l’anima».

Dopo aver spiccato il volo e ottenuto grandi soddisfazioni professionali, Annalisa Insardà non dimentica le sue origini: «Venire dalla Calabria è una risorsa, non un problema. I calabresi sono temprati. Per emergere dobbiamo lavorare il doppio, siamo abituati a faticare. La nostra è una terra che parla al presente per cui ha nelle sue corde una grande concretezza. Io mi definisco una donna di terra, saldamente ancorata alle mie radici».
Per fare questo lavoro serve spirito di sacrificio: «Essere attore significa anche mettere a disposizione, prestando attenzione alla salute, il proprio corpo per interpretare un ruolo: ingrassare, dimagrire, cambiare il look dei capelli. Un’altra frontiera da abbattere è quella legata al genere: alla donna può essere affidata anche la parte di un uomo».

Il momento letterario è stato dedicato alla presentazione del libro di Antonio Ludovico C’era una volta in Italia. La settima arte in 100 capolavori del cinema. Ludovico traccia la parabola della gloriosa storia del neorealismo, che ha incantato il mondo sin dal primo Dopoguerra. Dalla Roma Città Aperta di Roberto Rossellini, opera pionieristica capace di scavare tra le macerie di una capitale ancora sotto assedio, mostrando il volto autentico di un popolo sfiancato dalla guerra, al Vangelo Secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, capolavoro struggente e straordinario, girato nelle nostre terre. O, ancora, Accattone che dà voce al sottoproletariato di un’Italia nascosta. Dal cinema di Vittorio De Sica, che con La ciociara dipinge un’Italia tormentata dalla violenza del conflitto a quello di Rosi, che con Le mani sulla città denuncia gli intrecci e il decadimento della politica degli anni Sessanta. Sono innumerevoli gli autori trattati nell’opera di Ludovico, che apre una finestra su un patrimonio cinematografico inestimabile. Centrale il momento dedicato a Sergio Leone che con i suoi capolavori ha stravolto le regole della narrazione dei film del suo tempo, inventando un linguaggio nuovo che ha poi influenzato (e lo fa tutt’ora) la produzione delle grandi major del mondo intero.

Molti gli aneddoti emersi. Tra cui la straordinaria intuizione di Federico Fellini nell’individuare gli attori tra la gente comune, al punto che nel gergo comune, oggi, si usa l’espressione “tipo felliniano”. Altra caratteristica di quel cinema: era una sorta di documentario, un racconto di ciò che era realmente accaduto.
A dialogare con l’autore il giornalista Paolo Di Giannantonio che ha sottolineato la capacità del cinema di consegnare una fotografia autentica del dopoguerra, epoca in cui al cinema è stato affidato il racconto crudo di quegli anni.

Un accenno anche all’importanza del cinema di Leone e lo straordinario connubio del regista con Ennio Morricone. Nei suoi film le musiche diventano anch’esse personaggio. Così come i lunghi silenzi, spesso scanditi da giochi di sguardi molto intensi. Di Giannantonio e Ludovico hanno accompagnato il pubblico tra le strade polverose della New York del 1933. Quella del proibizionismo di C’era una volta in America. Non sono mancate le riflessioni sulla crisi attraversata dal cinema italiano che, solo da pochi anni, mostra timidi segni di ripresa. «I problemi del settore – ha spiegato Di Giannantonio – nascono dalla mancanza di grossi investimenti da parte dei produttori, un tempo spina dorsale del cinema italiano. Oggi la risorsa principale per realizzare un film sono i soldi pubblici» L’autore ha raccontato che la scintilla creativa è da ricondurre nel periodo di confinamento per la pandemia da Covid quando, riguardando le famose pellicole, ha avviato una sua riflessione che ha dato vita alla raccolta.

Ludovico ripercorre le orme di quel cinema brillante che ha portato alla ribalta Alberto Sordi, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman. Quella narrazione del Paese attraverso un’ironia acuta, capace di sottendere un’analisi critica senza sconti a quell’aspetto grottesco e stravagante di un intero popolo, ha contribuito spesso anche a stimolare il dibattito pubblico sui grandi temi sociali.

Stupore e incanto sono state le grandi protagoniste della serata con la messa in scena dello spettacolo I Bronzi (si) raccontano. Da Argos a Riace in viaggio con il mito, che ha ripercorso la storia dei Bronzi di Riace sotto una nuova e inedita luce. Intorno alle due statue di bronzo, rinvenute il 16 agosto del 1972 in località Porto Forticchio di Riace Marina, aleggia ancora oggi il mistero.

La narrazione, basata sulle scoperte archeologiche del professore Daniele Castrizio, offre forti suggestioni e nuovi paradigmi interpretativi sull’origine dei colossi in bronzo. Prima la performance dell’attrice Annalisa Insardà che, con una vibrante interpretazione, ha declamato i versi di una poesia. Uno spettacolo corale, in cui Castrizio, Paolo Di Giannantonio e Fulvio Cama (musica) prendono per mano lo spettatore, accompagnandolo nella grande Agorà di Argos, dove è stata scoperta la base di marmo su cui era collocata una delle statue. Dalla Calabria alla Grecia, per poi scendere tra gli abissi del Mediterraneo, dove i bronzi hanno riposato per secoli. A scandire il racconto, colpi di scena, rivelazioni inedite sostenute da accurati studi scientifici, una colonna sonora curata nel dettaglio che, insieme alle immagini, crea un intreccio con le immagini a cura di Saverio Autellitano.

Il tutto incorniciato dalla meraviglia che solo una storia come quella delle statue di Riace può offrire. Da qui una nuova traccia da seguire sull’origine delle due sculture la cui identità verrebbe ricondotta al mito dei Sette contro Tebe. Ai Bronzi verrebbe finalmente dato un nome: si tratterebbe dei fratelli Eteocle e Polinice, figli di Edipo. Questo spinge gli autori a nuove ricerche sulle tracce delle statue degli altri protagonisti della storia cioè la madre e la sorella dei due pretendenti al trono e il veggente Tiresia. (rvv)