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Giornata della Memoria, la Shoah tra storia e attualità

di PASQUALE AMATO – La Giornata della Memoria non deve servire solo per ricordare lo sterminio di sei milioni di Ebrei, ma anche quello dei malati, degli zingari, dei perseguitati politici, dei “diversi”, dei bambini. Abbiamo il dovere di ricordare. Non per fomentare odio verso gli aguzzini, ma per ammonirci, vicendevolmente, sugli esiti nefasti che l’intolleranza e il razzismo portano tragicamente con sè.

Più di 70 anni da, per le strade d’Europa si aggirò una tribù selvaggia e spietata, che diede la caccia ai bambini degli orfanotrofi, ai vecchi, ai malati, agli handicappati, agli zingari per bruciarli nei forni, annegarli nei fiumi, avvelenarli con i gas, seppellirli vivi in fosse comuni. Quella tribù selvaggia era un corpo statale, scelto e selezionato, della Nazione che, nel’700 e nell’800 era stata protagonista della cultura europea e che ora dava a quella “tribù” la piena copertura morale e materiale per compiere quell’incredibile scempio.

Non si può fare a meno di pensare ai troppi bambini annientati. Non si può pensare ad Auschwitz, a Buchenwald, a Mauthausen, abisso senza ritorno, dove l’umanità è sprofondata per sempre. Dobbiamo sforzarci di capire come si sia giunti a quei misfatti, e dobbiamo distinguere ogni comportamento umano alla luce delle circostanze e di tempo e di luogo- Quello che è accaduto può di nuovo accadere. Il razzismo è una malapianta difficile da estirpare. E, mentre preserviamo la memoria del passato, dobbiamo avere una coscienza critica sul presente.

Infatti, la tragica lezione della Shoah non è bastata. Nuovi razzismi si sono affacciati nei vari continenti. E, tuttora, divampano in vari territori del mondo. Una nuova ignobile formula si è affacciata alla soluzione finalepulizia etnica.

Tutte forme diverse dall’antisemitismo, ma ad esso apparentate, pur lontane come sono dalla sua perfezione scientifica di stampo teutonico. Sono razzismi etnici, religiosi o fondati su egoismi economici. Oggi, difficilmente potrebbe avvenire un’altra Shoah. Tuttavia, la storia recente, la cronaca quotidiana, ci sta mostrando che il pericolo di altri genocidi non è affatto scongiurato. È per questo che occorre ricordare, sempre, che «Là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini» scrive H. Heine.

Che almeno, per le vittime della furia selvaggia dell’uomo, non si compia la profezia che chiude una lirica ritrovata in un campo di sterminio: Morirò domani
con parole d’amore sulle labbra
nell’alba di una notte d’esilio
Solo di fronte al cielo indifferente
nessuno avrà saputo la mia fatica
per diventare uomo.

Occorre pensare come pensò la deportata Irene: «Mi hanno portato via i genitori, l’identità, il fratello e la sorella e i miei averi. C’è qualcosa che vogliono da me. E allora, ho pensato alla mia anima. Ho detto: non riusciranno a portarmela via, la mia anima».

È per questo che non bisogna mai lavarsi le mani, come denunciò Martin Niemoeller, pastore evangelico deportato a Dachau: «Prima vennero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero per i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa». (rrc)