I Lions di Roccella, Locri e Siderno hanno ricordano gli orrori della Shoah

di ARISTIDE BAVAI Lions club di Siderno, Locri e Roccella  hanno organizzato, in collaborazione con la 11esima Circoscrizione Lions e l’Istituto Comprensivo Gioiosa Ionica-Grotteria,   un interessante convegno sul tema Le Ragioni della Shoah in Calabria, che ha avuto per protagonista il dott. Giuseppe Ventra, figlio del deportato Rocco, calabrese sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen.

Il convegno coordinato da Nicodemo Vitetta, presidente del Club Unesco, si è svolto ieri mattina,  presso l’auditorium di Gioiosa Ionica  e si è aperto con i saluti istituzionali dell’assessore alla cultura Lidia Ritorno che non ha mancato di soffermarsi su alcune tematiche di stringente attualità per evidenziare agli studenti la necessità di scongiurare il ritorno al razzismo.

Dopo brevi interventi  di Lorenzo Maesano e Vincenzo Mollica rispettivamente presidenti dei Lions club di Roccella e Siderno che anch’essi si sono soffermati su talune delle triste vicende di “un passato che non si deve dimenticare”, è stata la docente Cristina Briguglio che, dopo aver portato il saluto della Dirigente scolastica Marilena Cherubino, si è ampiamente soffermata sugli orrori della Shoah, con una dettagliata relazione seguita attentamente dagli studenti, per introdurre la testimonianza di Giuseppe Ventra sulla base dei racconti del padre che ha fissato la sua deportazione e la sua storia in un libro dato alle stampe molti anni dopo il suo ritorno a casa. 

Un racconto – quello di Ventra – di grande impatto emotivo che è servito a mettere a fuoco anche la necessità di scongiurare il pericolo di un ritorno del razzismo. Ventra ha calamitato  l’attenzione degli studenti  parlando senza remore  del tormento del padre Rocco, sopravvissuto allo stermino e per lungo tempo rimasto in silenzio, quasi a voler cancellare dalla sua mente l’atrocità dei ricordi. Un silenzio  poi rotto dagli stimoli dei suoi figli sino ad affidare alle pagine di un libro i suoi ricordi.

I ricordi  di chi ha vissuto dal vivo un orrore finanche difficile da raccontare  ma necessario per aiutare i giovani a conoscere quelle atrocità e impedire il ripetersi di eventi così drammatici. Giuseppe Ventra nel suo racconto si è fatto aiutare da alcune slide con fotografie del campo di concentramento scattate da lui stesso in occasione di una visita, fortemente voluta, fatta unitamente alla sorella Giacoma nei luoghi della prigionia del padre.

Nel corso dell’incontro è stato rimarcato che il convegno si è tenuto non già il 27 gennaio “Giornata della memoria” ma in data diversa e più generalizzata perché il ricordo di quelle immani sciagure non si deve limitare a quella unica giornata ma deve essere presente in ogni giorno dell’anno.

Prima della conclusione una serie di domande, anche di carattere personale, che gli studenti hanno rivolto a Giuseppe Ventra che non ha mancato di dare precise risposte, fortemente convinto che sono proprio le nuove generazioni che devono tramandare gli orrori della Shoah per evitare nuovi orrori. (ab)

Giornata della Memoria, la Shoah tra storia e attualità

di PASQUALE AMATO – La Giornata della Memoria non deve servire solo per ricordare lo sterminio di sei milioni di Ebrei, ma anche quello dei malati, degli zingari, dei perseguitati politici, dei “diversi”, dei bambini. Abbiamo il dovere di ricordare. Non per fomentare odio verso gli aguzzini, ma per ammonirci, vicendevolmente, sugli esiti nefasti che l’intolleranza e il razzismo portano tragicamente con sè.

Più di 70 anni da, per le strade d’Europa si aggirò una tribù selvaggia e spietata, che diede la caccia ai bambini degli orfanotrofi, ai vecchi, ai malati, agli handicappati, agli zingari per bruciarli nei forni, annegarli nei fiumi, avvelenarli con i gas, seppellirli vivi in fosse comuni. Quella tribù selvaggia era un corpo statale, scelto e selezionato, della Nazione che, nel’700 e nell’800 era stata protagonista della cultura europea e che ora dava a quella “tribù” la piena copertura morale e materiale per compiere quell’incredibile scempio.

Non si può fare a meno di pensare ai troppi bambini annientati. Non si può pensare ad Auschwitz, a Buchenwald, a Mauthausen, abisso senza ritorno, dove l’umanità è sprofondata per sempre. Dobbiamo sforzarci di capire come si sia giunti a quei misfatti, e dobbiamo distinguere ogni comportamento umano alla luce delle circostanze e di tempo e di luogo- Quello che è accaduto può di nuovo accadere. Il razzismo è una malapianta difficile da estirpare. E, mentre preserviamo la memoria del passato, dobbiamo avere una coscienza critica sul presente.

Infatti, la tragica lezione della Shoah non è bastata. Nuovi razzismi si sono affacciati nei vari continenti. E, tuttora, divampano in vari territori del mondo. Una nuova ignobile formula si è affacciata alla soluzione finalepulizia etnica.

Tutte forme diverse dall’antisemitismo, ma ad esso apparentate, pur lontane come sono dalla sua perfezione scientifica di stampo teutonico. Sono razzismi etnici, religiosi o fondati su egoismi economici. Oggi, difficilmente potrebbe avvenire un’altra Shoah. Tuttavia, la storia recente, la cronaca quotidiana, ci sta mostrando che il pericolo di altri genocidi non è affatto scongiurato. È per questo che occorre ricordare, sempre, che «Là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini» scrive H. Heine.

Che almeno, per le vittime della furia selvaggia dell’uomo, non si compia la profezia che chiude una lirica ritrovata in un campo di sterminio: Morirò domani
con parole d’amore sulle labbra
nell’alba di una notte d’esilio
Solo di fronte al cielo indifferente
nessuno avrà saputo la mia fatica
per diventare uomo.

Occorre pensare come pensò la deportata Irene: «Mi hanno portato via i genitori, l’identità, il fratello e la sorella e i miei averi. C’è qualcosa che vogliono da me. E allora, ho pensato alla mia anima. Ho detto: non riusciranno a portarmela via, la mia anima».

È per questo che non bisogna mai lavarsi le mani, come denunciò Martin Niemoeller, pastore evangelico deportato a Dachau: «Prima vennero gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero per i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa». (rrc)