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I 25 anni di Sacerdozio di Don Enzo Gabrieli

I 25 anni di Sacerdozio di Don Enzo Gabrieli

di PINO NANOCosa sono per un sacerdote 25 anni di sacerdozio? Una svolta? Un momento di riflessione su quello che si è fatto? Una pausa di silenzio per prepararsi al futuro? O forse, molto più semplicemente un’occasione di incontro e di festa con vecchi e nuovi amici di sempre? 

Da domani fino a giovedì 20 marzo la Chiesa cosentina si prepara a festeggiare le nozze d’argento di don Enzo Gabrieli, uno dei sacerdoti più effervescenti e più dinamici della Curia Arcivescovile di Cosenza. 

Vi ricordo che don Enzo Gabrieli, sacerdote e giornalista di vecchia data, è stato Vicepresidente della Federazione Italiana dei Settimanali cattolici (Fisc) e membro del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria. Oggi lui è direttore del settimanale diocesano di Cosenza-Bisignano “Parola di Vita” e dell’annessa radio Jobel InBlu. Scrittore e parroco di Mendicino, è un personaggio di grande cultura e di grande modernità.

– Don Enzo, domani saranno per lei 25 anni di sacerdozio. Come nasce la sua scelta di fare il prete?

«La mia vocazione è nata sotto Giovanni Paolo II del quale conservo sempre una grande memoria grata e una profonda devozione. Si è alimentata con gli insegnamenti di Papa Benedetto e trova una grande spinta pastorale nella testimonianza di Papa Francesco. Uno stimolo a fare meglio, a fare bene, a volgere lo sguardo alle povertà e agli ultimi. Questa tappa del mio sacerdozio è un’occasione per dire, come più volte ha detto lui, che guardando indietro rifarei la strada percorsa, tra luci e ombre, fragilità e sofferenze, fra attese e tantissimi doni di Dio, fatti di incontri, di volti e di provvidenza, perché non ricordo niente in cui non ci sia il Signore».

– Le faccio una domanda irriverente: se lei potesse tornare indietro rifarebbe il prete?

«Certamente. Ma non come mia scelta, ma perché mi sento scelto e chiamato a qualche cosa di molto più grande, ma allo stesso tempo immerso all’interno di un dono e di un mistero che mi supera, che mi sovrasta, che mi avvolge e che mi dà tanta gioia. Sono felice di essere stato chiamato a fare il sacerdote e di avere risposto, nonostante le mie fragilità, con il mio sì a Cristo nella Chiesa. Posso testimoniare che ci sia anche qualche rinuncia, qualche scelta l’ho dovuta fare, così come si fa in ogni scelta di vita, ma  ho ricevuto già il centuplo quaggiù, come ha promesso Gesù, a quanti hanno deciso di seguirlo». 

– A chi deve questa scelta?

«La mia vocazione è nata in una famiglia religiosa di emigranti calabresi rientrati con la mia nascita in Italia. Devo la mia vocazione alla fede dei miei genitori, semplice e profonda, senza fronzoli e senza troppe parole. Fatta dalla testimonianza di mio papà che oggi dal cielo continua a seguirmi, dalla mia mamma che posso dire che insieme al latte mi ha donato la fede e mi hai insegnato a pregare, a credere e a sperare, ma soprattutto a donare. La devo anche alla mia famiglia numerosa e alla mia parrocchia dove ho incontrato sacerdoti appassionati del Vangelo. Non posso dimenticare anche i due vescovi che mi hanno accompagnato all’altare. Monsignor Dino Trabalzini, che mi ha seguito negli anni di formazione e seminario, e poi monsignor Giuseppe Agostino che mi ha accolto come suo segretario e mi ha ordinato sacerdote, dandomi tanta fiducia».

– Qual è stato il suo giorno più felice da prete?

«Non voglio essere finto, oppure dare una risposta d’occasione. Ma posso testimoniarle che non c’è stato giorno al quale io non sia stato felice di essere sacerdote. Nei momenti faticosi proprio il sacerdozio mi ha permesso di fare un passo in più e di gioire. Di sentirmi amato da Dio e accompagnato dalla materna presenza di Maria. Quanti innumerevoli doni mi ha fatto il Signore! Anche quando sembrava che la vita riservasse delusioni, tradimenti e qualche momento di Croce».

– E il giorno invece più triste?

«No. Non ci sono stati giorni tristi. Ci sono stati giorni faticosi, questo sì, ma posso dire che alla sera, ogni volta che sono rientrato a casa, nella mia stanza, sono rientrato stanco ma felice. Mai prostrato e mai triste. Posso dire che qualche prova alla mia vita, dopo un piccolo quarto di secolo, c’è stata. Quando la giornata è stata un po’ più dura il Signore mi ha sempre regalato un Cielo stellato da contemplare, un sorriso incoraggiante, una parola che mi ha toccato il cuore. Gesù non mi ha mai lasciato solo, anche perché accanto al discepolo che Lui ama, ha messo la sua mamma. E Maria mi ha accompagnato e mi accompagna sempre. Sento la sua mano, sento la sua carezza, insieme a quella dei tanti santi e dei tanti testimoni della fede». 

– Leggo sul giornale che lei dirige che per il 25 esimo anniversario della sua ordinazione pregherete prima di tutto per Papa Francesco…

«Assolutamente sì, ma lo stiamo già facendo in questa fase di preparazione insieme a tutta la Chiesa sin dal primo giorno in cui è stato ricoverato al Gemelli unendoci a tutti i fratelli e sorelle di fede. Conosco bene quel grande ospedale non solo per la professionalità cercata e ricevuta, anche personalmente, ma ho avuto modo di vedere, di sperimentare, che quella cittadella di sanità e di cura sognata e realizzata da un frate, da un sacerdote, è un luogo di speranza, dove si lotta contro ogni speranza, dove tate lacrime sono asciugate. È uno dei santuari dell’umanità sofferente e oggi papa Francesco lo sta visitando non da pellegrino ma da malato e ci sta insegnando, anche da questa cattedra, a farlo per Lui, ma anche ad accompagnare con la preghiera che dona davvero forza nella malattia, a farlo per tanti che sono soli e forse un po’ dimenticati. Penso che questo sia una opera buona per questa quaresima e uno stile di vita cristiana».

– Si può dire ad un sacerdote “In bocca al lupo”?

«Se me lo dicesse le risponderei “Viva il lupo”». (pn)