di PINO NANO – Raccontare Giuseppe Berto non è cosa facile. Di Giuseppe Berto so quello che di lui racconta la gente.
Non l’ho mai conosciuto personalmente. Ero ancora troppo giovane, quando lui viveva tra Capo Vaticano e Ricadi perché la curiosità mi spingesse a cercarlo. Oggi me ne pento. Perché so che ne sarebbe valsa la pena.
Vi chiederete cosa c’entri Giuseppe Berto con la Calabria. Lui, che di calabrese non aveva nulla. Veneto di razza, nato a Mogliano, figlio di una cultura diversa dalla nostra, così altero, e statuario nella sua mole aristocratica, ma anche così riservato, quasi scontroso, a tratti anche diffidente. Quella diffidenza che però era ritrosia, gelosia della propria vita privata, paura di scoprirsi troppo. Eppure basta rileggere molte delle cose da lui scritte, soprattutto quelle scritte negli ultimi anni della sua vita, per capire che il suo nome sarebbe rimasto legato alla Calabria per sempre. Lui, che calabrese non era e che, a San Nicolò di Ricadi chiese invece di essere sepolto.
Bene, di tutto questo si è discusso a Roma in uno dei posti più suggestivi di Colle Oppio, in San Pietro in Vincoli, nella Sala degli affreschi della Sapienza che dà sul grande portico della facoltà di Ingegneria, e dove per iniziativa dell’avvocato Luigi Salvati Presidente della Associazione Calabresi Capitolini, lui originario di Cariati, si è appunto ricordato il ruolo fondamentale di Giuseppe Berto nel panorama della letteratura moderna italiana e non solo.
Un vero e proprio happening letterario dove i veri protagonisti della serata sono stati lo scrittore Pierfranco Bruni che su Berto ha scritto un bellissimo saggio critico e Marco Mottolese che di Berto ha portato in sala il respiro autentico dell’uomo che “arrivato in Calabria da Mogliano Veneto quasi per caso alla fine era diventato cosi calabrese da voler essere sepolto a Capo Vaticano”.
È stato lo stesso Marco Mottolese, giornalista editore e grande amico della famiglia Berto, a regalare ai calabresi di Luigi Salvati una perla rara, e cioè la testimonianza diretta e avvolgente della figlia dello scrittore veneto, Antonia Berto, facendo ascoltare in sala (gremitissima come non mai) l’ultima intervista di Antonia alla Rai che racconta la magia del Grande Festival che oggi porta il nome di Giuseppe Berto, e che si celebra ogni estate a Capo vaticano nella casa che Berto volle costruire sul Capo.
L’altra perla della serata l’ha regalata a tutti noi lo studioso Pierfranco Bruni che, da straordinario intellettuale dei giorni nostri, ha spiegato con una semplicità disarmante ma efficacissima il valore reale di opere come La Fantarca, Il Male Oscuro, Anonimo Venziano, soprattutto La Gloria, l’opera di Berto che riceve più recensioni di tutte le altre e in cui ne viene fuori un Berto cambiato, diverso, più uomo, un libro in cui lo scrittore veneto rivede il suo rapporto con Dio, «e se prima ci credeva poco, ora dice “Non è vero che non abbiamo più bisogno di Dio». Poi aggiunge, quieto: «Siamo senza Dio, ma abbiamo bisogno di Dio».
Le conclusioni sono state del professor Saverio Vita, ricercatore universitario di grande fascino e che a Berto ha dedicato tutti i suoi anni di post laurea, e che di Berto sa davvero tutto quello che nessuno ha ancora mai raccontato. Forse lui ne sa più di Marco Mottolese, ma guai a dirlo, conoscendo il carisma e il peso di Marco Mottolese nella storia di Berto.
«Una serata bellissima, piena di freschezza e soprattutto di tantissimi amici e figli di Calabria – sottolinea Luigi Salvati – che in queste occasioni non mancano mai, e che danno corpo fisico a tutte le nostre manifestazioni. “Vorrei ringraziare per tutto questo l’Associazione Inchiostro, a cui va il merito di aver messo in piedi Gli Stati Generali dell’Editoria, rassegna diretta fra gli altri da Elisa Zumpano che questa sera ci ha voluti qui in questa location cosi solenne».
Due gli annunci ufficiali della serata, l’appello di Marco Mottolese: «in estate se avete voglia e tempo venite a Capo Vaticano al nostro festival e non ve ne pentirete». Il secondo annuncio ufficiale è invece dello stesso Luigi Salvati «il nostro prossimo incontro lo dedicheremo a Corrado Alvaro e ai suoi anni trascorsi qui a Roma, e lo faremo ancora una volta con l’aiuto di questo straordinario scrittore calabrese che risponde al nome di Pierfranco Bruni». Arrivederci dunque a presto. (pn)