IL PUNTO DI SIMONA CARACCIOLO, ESPERTA DI POLITICHE DI GENERE, SULLE PARI OPPORTUNITÀ IN REGIONE;
Parità di genere

IL GRANDE VERO IMPEGNO DELLA CALABRIA
PERCHÉ SI GARANTISCA PARITÀ DI GENERE

di SIMONA CARACCIOLO – La Calabria dimostra grande sensibilità sul tema degli studi di genere che hanno aiutato a chiarire quei presupposti che sono falsamente universali e che rendono la donna invisibile e irrilevante. Sull’asse delle differenze di genere si giocano molto in termini di rispetto e pari dignità: chi ha accesso a cosa, chi può fare cosa, in termini politici, sociali, economici e culturali è ancora fortemente determinato dal genere. Quando si parla di genere una delle prime domande a cui si tenta dare risposta è se l’individuo sia biologicamente determinato o culturalmente costruito?

È indubbio che nasciamo biologicamente determinati e dal corpo si può dedurre tutta una serie di caratteristiche e di qualità sessuate, ma largamente prevedibili e in qualche misura automatiche. Da qui è facile scivolare nel riduzionismo naturalistico, per il quale il ruolo sociale della donna è iscritto e immutabile nella sua biologia e nell’adesione acritica a stereotipi discutibili e limitanti. Se invece siamo culturalmente costruiti, il nostro corpo è ridotto a qualcosa di accidentale e non sostanziale; perciò, è modificabile per accordarlo ai vissuti del soggetto o per provocarli. Un apporto imprescindibile degli studi di genere è la consapevolezza dello stesso come rapporto di potere in due direzioni: l’oppressione degli uomini sulle donne, attraverso la gerarchizzazione delle differenze, e la creazione di frontiere rigide tra le identità di genere.

Negli anni le cose sono cambiate e nella politica delle Nazioni Unite il concetto di genere è diventato lo strumento attraverso cui gruppi di minoranza hanno scippato alle donne non solo le armi, ma pure il campo di battaglia. La battaglia per “diritti” di una minoranza non deve assolutamente diventare «un magheggio con cui scompare la realtà dei corpi», di fatto discriminando direttamente più di metà della popolazione mondiale: le donne. Il femminismo degli anni Settanta lega la categoria di genere con le rivendicazioni politiche del movimento delle donne. Il genere è riletto come costruzione sociale e politica dei ruoli sessuati e modalità di configurare culturalmente i corpi. Secondo l’antropologa Gayle Rubin, il «sistema sesso/genere», nella quasi totalità delle società conosciute, si trova a fondamento della divisione sessuale del lavoro, dove le donne sono assegnate alla riproduzione mentre gli uomini alla produzione, e del contratto sessuale tra i generi per la sopravvivenza della specie; tale sistema è ritenuto responsabile dello sfruttamento esercitato sulle donne e dell’oppressione ai danni delle minoranze sessuali.

Nascono in quel periodo i primi gender studies che indagano i condizionamenti che soprattutto le donne subiscono in base alla cultura e che influiscono sul corso della propria vita. Le modifiche apportate dalla legge n. 162/2021 al Codice per le pari opportunità (D.Lgs. n. 198/2006) hanno introdotto la certificazione della parità di genere, una certificazione volontaria che attesta le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno dell’azienda. La certificazione della parità di genere si concentra su diversi aspetti, tra cui le opportunità di crescita in azienda, la parità salariale per mansioni equivalenti, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità. Questa certificazione rappresenta un passo importante per promuovere l’uguaglianza di genere e creare ambienti di lavoro inclusivi ed equi.

La Regione Calabria aveva già lo scorso anno, con la Legge regionale del 15 marzo 2022, n. 7, Misure per il superamento della discriminazione di genere e incentivi per l’occupazione femminile, voluto concretamente sostenere “il principio di parità di genere in tutte le sue declinazioni” e riconoscere “l’equiparazione dei diritti delle donne rispetto agli uomini e maggiori tutele alle donne lavoratrici», prevedendo «l’adozione di misure specifiche che tengano conto delle pari opportunità”. Esistono certamente posizioni che sostengono l’idea che ci si possa slegare da qualsiasi identità sessuale e di genere socialmente imposta abbandonando l’idea di natura e approdando alla costruzione di opzioni individuali plurali e in movimento.

Laddove tutto è virtualmente possibile, nulla è più reale, nessuna differenza è portatrice di valore, perché ciascuna resta irrimediabilmente legata a sé, alla propria estemporanea e solitaria manifestazione. Problematico è l’abbandono del concetto di natura, inteso come fondamento antropologico di un insieme di valori universali e condivisi (o almeno condivisibili). Rinunciarvi, vorrebbe dire consegnare davvero l’etica solo ai rapporti di forza. Ciò non toglie che tale concetto vada ripensato, rispetto a come lo si interpreta in funzione di un conservatorismo politico e teologico. Anche la Commissione per il diritto internazionale preme per modificare la definizione di genere contenuta nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, domandando una definizione di genere come «socialmente costruito», e così elevando l’orientamento sessuale e l’identità di genere a categorie protette del diritto internazionale. In questo modo ogni Paese subirebbe pressioni per riconoscere le «diverse varietà di genere» come «imperativo dei diritti umani».

Se questo dovesse accadere, ciascun individuo potrebbe descriversi inventando un genere proprio e qualsiasi ulteriore tentativo di definizione oggettiva si ridurrebbe a una discussione che non porterebbe da nessuna parte. Ciò avrebbe inevitabilmente conseguenze sul diritto internazionale, nonostante la Commissione di diritto internazionale non abbia di per sé l’autorità di modificare autonomamente lo Statuto di Roma. Le conseguenze di questi indebiti mutamenti linguistici sono però concretissime: donne e ragazze vengono cancellate dall’assistenza internazionale e messe da parte nella programmazione. (sc)

[Simona Caracciolo è esperta di Politiche di genere]