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Il Manlio Sgalambro di Pierfranco Bruni passando per Nietzsche e giungendo a Eliot

Il Manlio Sgalambro di Pierfranco Bruni passando per Nietzsche e giungendo a Eliot

di PAOLA PASSARELLI – Nel corso della sua lunga carriera nei ruoli del MiC, Pierfranco Bruni ha seguito con sensibilità partecipante e passione lo sviluppo di una lunga serie di variegati progetti apparentemente anche molto distanti tra loro quanto ad ambito e a pertinenza territoriale.

A posteriori, si può affermare che tale ampio bagaglio di esperienze umane e professionali compone un tessuto poliedrico in cui il Nostro ha saputo versarsi, assecondando e affinando la propria intima attitudine alla transdisciplinarietà, che si è riflessa in maniera fedele e significativa nella sua ampia produzione, una produzione poliedrica che si pone oltre la convenzionale compartimentazione in generi. Da più voci Bruni è stato definito intellettuale del Mediterraneo.

E proprio come nel Mare nostrum storie e culture sono in un continuo rapporto di comunicazione e osmosi, così nella produzione dello studioso di san Lorenzo del Vallo i generi diventano liquidi che si stratificano e si mescolano in una stessa incommensurabile distesa.

Da direttrice generale Biblioteche e diritto d’autore, ho avuto modo di conoscere e apprezzare lo spessore della persona, ancorché dell’umanista, Pierfranco Bruni nel corso dello scorso anno, quando era il Presidente della giuria per la “Capitale italiana del libro 2024”.

Confesso tuttavia, comunque, che per me, profilo tecnico di formazione giuridico-amministrativa, il confronto con un’opera tanto lontana dai miei campi d’attività e dai miei interessi ha significato un cimento laborioso e al contempo prezioso proprio in virtù della sua eccezionalità.
Illustrare in maniera esauriente in poche righe la ricchezza e la densità di quest’opera sarebbe – ancorché un atto che potrebbe sciupare il plaisir du texte del lettore – un’impresa improba, a meno di non accontentarsi di una riduzione piatta e inerte di pagine, al contrario, irrequiete e penetranti.
Nel suo libro su Sgalambro (Manlio Sgalambro.

L’empietà del greco – siculo, Pellegrini editore, con il contributo di altri scritti) Bruni introduce il lettore in un’esperienza quasi iniziatica e sapienziale nel pensiero di Sgalambro; un’esperienza che sembra fondarsi sull’applicazione ricorsiva della visione sulle cose del pensatore di Lentini applicato alla sua stessa produzione. Ne scaturisce un dialogo interiore in cui l’Autore arriva a tratti a confondersi – come per sacro enthousiasmos – a Sgalambro. Per Bruni, proprio come per quest’ultimo, la spiegazione non rappresenta un modello euristico ed ermeneutico valido, dal momento che la spiegazione si fonda sul nesso causa-effetto, un approccio lineare alla conoscenza che esclude l’imprevedibile e, con esso, le cifrate tracce che interconnettono, per sincronicità, il quotidiano e lo straordinario. In questa stessa prospettiva, l’esposizione saggistica ordinaria lascia il posto a una scrittura “ispirata”, una prosa poetico-filosofica che può vantare come nobile antecedente – passando per Nietzsche – i frammenti dei presocratici.

Il libro si snoda fedele a una delle sentenze sgalambriane più suggestive richiamate negli eserghi che ne costellano le pagine: “Ci si trascina di notte per le vie e si parla tra sé. Il dialogo alligna di giorno e risuona dei suoi traffici ignobili. Di notte si monologa. Come dei re”.

Non a caso, i brevi paragrafi in cui si articola il testo costituiscono una sorta di rêveries d’un promeneur solitaire, meditazioni notturne in cui il pensiero è lasciato libero di correre alla ricerca di connessioni segrete tra libri e autori tra loro anche distanti, quanto a epoca o ad ambito. Si tratta di riflessioni i cui elementi sottili si addensano a poco a poco in illuminazioni ponderose e, al tempo stesso, precarie.

Nel labirinto di specchi che costituisce il reale, infatti, è possibile intravedere frammenti di verità solo contemplando la dissolvenza, vale a dire l’attimo fuggevole di passaggio tra la costruzione e il suo sfiorire, il momento in cui tramonto e aurora arrivano a sfiorarsi.

Per dirla con una celebre composizione di T.S. Eliot “In my beginning is my end. […] In my end is my beginning”.

[Paola Passarelli è direttore generale Beni Librari e Diritto D’autore del Ministero della Cultura]